giovedì 10 dicembre 2015

Stress, panico e fobie. Terza parte


Stress, panico e fobie.



Terza parte




                                                                                       .... Il significato finale concordato dipende da       entrambi, e quindi in una certa misura, anche dall'individuo con cui si sta parlando. Il significato emerge da interazioni fra menti. (Frith, 2009)




La relazione e le sue dimensioni.

Ricordando che per i disturbi oggetto del presente lavoro non esistono sintomi specifici capaci, da soli, di orientare una scelta diagnostica (di dubbia specificità sono anche i sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione, solitamente addebitati alle manifestazioni paniche), si può aggiungere che gli stessi eventi scatenanti sono, spesso, anche significativamente soggettivi come soggettive e relazionali sono le risposte agli stessi farmaci. A tal proposito è fin dagli anni settanta che un esperimento di Schacter e Singer sostenne la legittimità del dubbio sull’efficacia dei trattamenti medicali. Dalla ricerca risultò che, a parità di sintomatologia, gli stessi farmaci producevano effetti diversi in persone poste in contesti diversi (Schacter e Singer del 1962 citati da S. Cipolletta, 2004). Inoltre è ormai diventato un luogo comune, almeno per gli addetti ai lavori, considerare che il cervello, processando le informazioni che gli vengono sia dal mondo di fuori sia dal proprio corpo, fa molte cose di cui non si è consapevoli e, così facendo, costruisce un mondo unico e irripetibile per ogni persona. Anche se poi ognuno si convince che sia uguale per tutti (Frith, 2009).

La costruzione soggettiva della realtà obbliga la psicoterapia, e tutte le professioni di cura, ad occuparsi della persona, quindi del soggetto nelle sue relazioni, e non dell’oggetto del disturbo (Ciardiello, 2015). Per cui, l’approccio diagnostico volto alle cause piuttosto che ai sintomi, cerca i motivi per cui, quando le persone chiedono aiuto, lo fanno  portando in consultazione i comportamenti emessi di cui sono consapevoli (i sintomi), mentre restano inconsapevoli i processi dinamici che li hanno prodotti. Essendo la coscienza stessa prodotta dalla relazione (Liotti, 2009), è possibile lo sia anche il disturbo denunciato che, proprio perché privo di cause apparenti, viene indagato in merito alla sua origine già nella prima fase della relazione diagnostica (nell’intento di realizzare una corretta analisi della domanda).

Le modalità relazionali si esprimono per mezzo della personalità, del carattere, del modo di essere e di fare, del modo di vivere e di esprimersi delle persone che portano, letteralmente sulle loro spalle, il disturbo. Il suo senso e significato è inscritto nelle dimensioni psicologiche[1] rappresentate nel comportamento di relazione. La nostra mente, che nasce dalla combinazione del funzionamento organismico in rapporto ad altri (relazione) (Liotti, id.), genera queste istanze che possono essere rintracciate e indagate nel comportamento agito.

Sintetizzando forse si potrebbe dire che le dimensioni psicologiche (DP) corrispondono a complesse configurazioni fisiche e psichiche che il cervello struttura, e la mente interpreta, generando le emozioni che sono, a loro volta, generatrici e portatrici dei significati personali (che accompagnano i sintomi). Le informazioni relative a quei significati saranno sempre di un organismo in movimento e in relazione, condizioni che consentono quell'apprendimento esperienziale che, come quando andiamo in bicicletta, per poter cambiare, nella mentalità e nell’espressività, non può che passare ulteriormente per la relazione.

Gli elementi più significativi del movimento e della relazione, per tutti i disturbi dello spettro ansioso, si presentano nella relazione terapeutica come in tutte le altre relazioni. È questa similitudine a rendere il rapporto terapeutico uno strumento importante ed efficace; uno strumento che si articola anche nella struttura di personalità dello stesso terapeuta, con i suoi intenti, i suoi fini, gli scopi che persegue, i motivi che lo spingono a realizzare questo lavoro e, infine, con la sua idea di Mente e del modo in cui ritiene che questa mente si realizzi nell'universo organismico. Per queste coloriture il setting terapeutico si rivela essere lo spazio privilegiato per il realizzarsi di una modalità di relazione capace di porsi al di sopra della relazione stessa e leggerne le dimensioni che la sostengono.

E quindi, quale uso fare di queste dimensioni?






[1] “… segnaliamo che l’unità funzionale non è soltanto il neurone, ma anche i circuiti neuromuscolari, neuro ghiandolari (neuro viscerali e neuroendocrini). Queste sono dunque le strutture funzionali portanti da cui nasce la dimensione psicologica.” (Ruggieri, id., pag. 23)




Bibliografia:


Cipolletta, S., "Le dimensioni del movimento", Guerini Ed., 2004.
Frith, C., “Inventare la mente”, Raffaello Cortina Ed., 2009.
Liotti, G., “La dimensione interpersonale della coscienza”, Carocci, 2009.






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