giovedì 30 novembre 2017

Narciso ed Edipo

Dovrebbe ormai essersi consolidato nei pareri di tutti gli addetti ai lavori (psicologi, medici e psichiatri) l'idea per cui la nostra società è tansitata, da un cappello fantasmatico edipico, ad uno narcisistico.


Mancando la consapevolezza di tale evoluzione, si rischia di veder vanificato anche l'impegno terapeutico con discapito di ambedue i protagonisti della relazione.


Questo può essere uno dei motivi per cui tante psicoterapie stanno cedendo il passo a strumenti tecnici che badano ai sintomi piuttosto che ai vissuti e per cui tanti colleghi guardano con più fiducia e simpatia a questi strumenti anziché ai soliti percorsi di più lunga durata.


Ma è necessario e importante non perdere la fiducia nei paradigmi storici.


Primo, perché è comunque da essi che discendono questi strumenti che promettono una più immediata soluzione sintomatica. Secondo perché, anche quando si utilizza uno strumento tecnico con effetto limitato al sintomo, la modifica sintomatica avviene in una personalità complessa dove è impensabile che un intervento chirurgico possa veramente essere limitato.


Certamente da leggere un libro emblematico pubblicato già da qualche anno a questa parte:
"L'uomo senza inconscio", di Massimo Recalcati, RaffaelloCortina ed., 2010 con un'ottima sisntesi fatta da Anna Pancallo.


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martedì 10 ottobre 2017

CorpoMente o MenteCorpo. Una pacificazione finalmente possibile.

Nel suo libro: 'Molecole di emozioni' (TEA ed. 2015), di qualche anno fa (la prima edizione è del 2000), Candace B. Pert fa dire a Bob Gottesman le seguenti frasi:


...Oggi il concetto di informazione si sostituisce a energia e materia come denominatore comune per la comprensione di tutte le forma di vita biologica, e persino dei processi ambientali (pag. 307). ...le informazioni trascendono il tempo e lo spazio, collocandosi oltre i limiti angusti della materia e dell'energia (pag. 308). E dato che le informazioni, sotto forma di basi biochimiche delle emozioni, controllano tutti i sistemi del corpo, ciò significherebbe che anche le nostre emozioni devono provenire da un regno che trascende il mondo fisico (pag. 309).
Coloro che sono in grado di reagire in questo modo (che percepiscono la differenza che fa la differenza nel senso che ognuno di noi dà un senso personale alla realtà percepita per cui un prato è un campo di calcio per un giocatore e un buon pasto per una pecora. Nota mia!), di controllarsi da sé, guariscono più in fretta, perché nel loro organismo è più attiva l'intelligenza e circolano più informazioni destinate a produrre mutamenti che portano con sé il miglioramento (310).


Anche se ormai dovrebbe essere assodata l'equivalenza della mente e del corpo, in molti lavori i due processi continuano ad essere considerati eventi separati. Così in terapia si continua ad indagare il passato e gli eventi evolutivi bypassando le componenti motorie, quando si usa il media verbale, e quelle cognitive quando vengono usate esperienze motorie.


Questo accade anche se tutti sanno quanto possa influire sullo stato d'animo un malessere addominale e quanto, viceversa, possa far male la pancia quando si è in ansia o si è agitati e/o eccitati.


Ma, in sintonia con le scoperte delle neuroscienze, e in linea con le suddette note tratte dal libro di Pert, occuparsi della realtà mentecorpo vuol dire accettare anche l'idea di un inconscio preverbale che, già presente nelle prime fasi evolutive degli schemi ipotizzati da Piaget (1896 - 1980), nel diventare memoria implicita (Mancia, 1929 - 2007) si compone sia di componenti cognitive sia di quelle corporee rendendo opinabili i procedimenti che non tengono conto contemporaneamente dei due processi.


In tale contestazione rischiano di cadere anche tutte le pratiche che fanno riferimento a processi energetici che, non meglio identificati, di fatto si riferiscono all'energia biologica. In quanto tale sarebbe capace di conduzione elettrica (bioelettrica) ma gli elementi biologici portatori di energia rischierebbero di non essere riconosciuti come elementi informazionali.


Ciò che voglio dire è che probabilmente non è l'energia l'elemento basilare dell'organismo mentecorpo ma l'utilizzo che di essa viene fatto. Mentre l'energia può essere aumentata o diminuita ciecamente, le strutture che la utilizzano, micro e macro (cellule e organi e sistemi), la utilizzano con criteri di modulazione specifici, complessi e complementari.


Da qui l'idea che anche il sogno con la sua interpretazione è un processo individuale non legato al tempo né allo spazio. E' un unico processo legato ad eventi informativi che possono essere rintracciati unicamente dal creatore mentre li ri-costruisce.


E' questo punto di vista a sostenere l'interpretazione dei sogni con l'uso degli acting di vegetoterapia.


L'acting ripropone scansioni oculari che, legandosi alle immagini, richiamano vissuti a volte anche difficili da raccontare. Le immagini dei sogni a volte sono rappresentazioni fantastiche e impossibili che hanno un senso e un significato solo nel vissuto personale del protagonista.
E' questo che a volte rende non necessaria l'interpretazione del sogno; il senso, la valenza è conosciuta al sognatore ma resta impossibile la sua rappresentazione verbale. Peraltro è vero che nell'interpretazione dei sogni non è tanto importante capire il senso delle immagini e degli eventi rappresentati quanto comprenderle in quanto il cambiamento sta nell'essere consapevoli dell'informazione così da realizzare un'informazione consapevole!!!!


Giuseppe Ciardiello








venerdì 28 aprile 2017

Quando il corpo si muove produce echi!

Diario di lettura:  Corpo e mente in psicomotricità", di Eraldo Berti e Fabio Comunello, edito da Erickson nel 2011.


Completamente assordati dalle parole e dalle grida di rivendicazione, spesso ci si lascia distrarre e si perdono i riferimenti e i contatti anche con coloro che ci stanno vicini.
Le nuove terapie cognitive, come ieri la psicoanalisi, con le metafore e le sue affascinanti interpretazioni, ci distraggono ancora oggi e non ci si accorge dei cugini che condividono tradizioni e geni interpretativi.


Ho scoperto all'improvviso, dopo anni di avvisaglie e letture evidentemente disattente, quanto la psicomotricità cammini nella stessa direzione delle psicoterapie corporee.
Forse mi sono lasciato distrarre dall'obiettivo dichiarato della psicomotricità, che sembra orientato all'evoluzione infantile, e che mi ha distratto dall'aspetto relazionale che oggi si comincia a formalizzare con la Psicomotricità Relazionale. O forse mi sono potuto accorgere dell'aspetto relazionale della psicomotricità solo quando anch'io non ho più potuto tollerare l'idea di cercare la mente nel corpo piuttosto che nelle relazioni.
Fatto sta che mi è nato il desiderio di riportare, in quest'angolo di internet, alcuni pensieri trovati in un libro che sembra togliermi le parole di bocca quando racconto la materia vegetoterapeutica agli allievi terapeuti. Voglio farne una piccola raccolte di note.


Il libro in questione è: "Corpo e mente in psicomotricità", di Eraldo Berti e Fabio Comunello, edito da Erickson nel 2011.
Ne raccomando la lettura a tutti i colleghi vegetoterapeuti mentre, per sedurli maggiormente, presenterò brevemente i passaggi che mi hanno maggiormente intrigato e cercherò di commentarne alcuni.
Magari non mi accadrà di saperli commentare come meriterebbero nell'immediato perché tutto il libro è intenso e anche i più piccoli paragrafi sono impregnati di riferimenti importanti e significativi. Ma forse riuscirò a farlo nel tempo, così le brevi note che riporterò potranno rappresentare una falsariga sulla quale scrivere una specie di diario a cui ritornare anche nel futuro.
Segnerò le pagine delle diverse annotazioni così da poterle utilizzare come elementi di approfondimento e per poter risalire al pensiero originale. Questo perché penso che, quando si è alla presenza di teorie e punti di vista importanti, e specie quando si dicono le stesse cose utilizzando a volte anche le stesse parole, a volte il senso è diverso e si rischia di confondersi e non riuscire più a distinguersi e camminare vicini col rischio di sovrapporsi impropriamente.
Per esempio in psicoterapia si usa sempre più spesso il termine energia; però non sempre terapeuti di diversa estrazione intendono riferirsi agli stessi strumenti o alla stessa sostanza o agli stessi effetti e, ciononostante, poche volte ci si preoccupa di definirne il senso.




Un'ultima nota è relativa al motivo di fondo del mio interesse nei confronti della psicomotricità. Ciò che in vegetoterapia mi sembra assimilabile al lavoro dei colleghi psicomotricisti è l'attenzione alle dimensioni psicologiche vissute nei processi corporei e riconducibili alle sensazioni/emozioni.
Ho l'impressione che il modo in cui queste dimensioni sono utilizzate non siano circoscrivibili o riconducibili ai soli bambini, né che siano ascrivibili necessariamente alla loro abilità. Le dimensioni psicologiche (in vegetoterapia è lo stato psicologico evolutivo, vissuto da una persona, combinato al livello muscolare investito per quella relazione) sono riconducibili ai vissuti relazionali che accompagnano ogni relazione, in tutti i momenti della vita, e che solo arbitrariamente sono definibili come oggettive. Al contrario, anche quando comuni a più persone, sono sempre indagabili soggettivamente perché soggettivamente vissute.
Mentre in psicomotricità si parla di dimensioni primarie, come il vuoto, il pieno, il dentro, il fuori ecc, in vegetoterapia si può parlare di dimensioni più adulte (evolute?) come quella dell'equilibrio, della stabilità, dell'integrazione, della fiducia, della sicurezza ecc. quelle dimensioni la cui dinamica terapeutica ho cercato di descrivere dettagliatamente nella genesi del panico e che possono essere individuate per ogni disturbo o conflitto o disagio.
Anche se non sono esplicitate le diverse dimensioni in atto, è sulla base della loro individuazione, anche se implicita,  che vengono pianificati gli acting di vegetoterapia; è tenendo conto della loro presenza che ne viene modulata l'applicazione e il più delle volte l'interpretazione consiste semplicemente nella loro esplicitazione.
L'implicito di queste operazioni attiene al modo di essere soggetto conoscente che solo attraverso i propri vissuti conosce quelli degli altri e, viceversa, solo ammettendone negli altri può ipotizzare modalità piene di conoscenza!

"Alcune annotazioni strategiche e, forse, operative. In ciascuno di noi, per piccoli o incapaci che siamo, vi è un'attività di conoscenza, ovvero: ciascuno ha una sua conoscenza già attiva. Se noi la ignoriamo, sia nel ruolo di chi educa (insegnante, educatrice/tore, ecc.) che di chi è educato (studente, ecc.), rischiamo, pretendendo che vi sia un solo modo di conoscere (quello di chi educa), di impedire l'accesso alla conoscenza. Per evitare questo, occorre proporre e accogliere una pluralità di mediatori. La difficoltà maggiore è nell'accogliere le proposte di mediatori che vengono <<dall'altro>>, anche da chi è molto piccolo o vive con delle difficoltà e esprime le sue proposte agendole. ... Chi educa può, educando, agire la riflessione. E con questo trasmettere per induzione e non per riproduzione. "
(dalla prefazione di Andrea Canevaro, pag. 21)

Con l'avvento delle scuole di specializzazione in psicoterapia è tornato d'attualità il 'come' dell'insegnamento dato che tutte le scuole insegnano la stessa materia (la psicoterapia), ed ognuna lo fa a proprio modo, utilizzando strategie e strumenti non verificabili né verificati (C. Neri e R. M. Paniccia, "Analisi della domanda", Il Mulino, 2003). Inoltre non esiste un modo d'insegnare né i diversi modi di insegnamento sono vagliati alla luce dell'efficacia. Uno spazio logistico, mentale e temporale, da dedicare ai modi dell'insegnamento e dell'utilizzo degli strumenti, non ci starebbe male negli spazi della didattica specialistica, se non già previsto.

Per esempio, nello specifico della vegetoterapia, potrebbe essere interessante l'istituzione di un dibattito sulle modalità d'insegnamento della stessa vegetoterapia. Questa si avvale del massaggio, del dialogo tonico, del linguaggio non verbale, di un setting specifico (lettino), della somministrazione degli acting, di modalità interpretative specifiche (che possono rifarsi alla psicoanalisi e/o alla psicofisiologia e/o ad altri approcci) e di ulteriori attività riconducibili a processi relazionali che, una volta individuati e formalizzati, potrebbero essere fatti oggetto di indagine e di strumento protocollare trasmissibile. 

Dal capitolo 1: Fra soggettività e oggettività.

"L'attaccamento alle procedure standardizzate produce certezza nel ricercatore o nel terapista, e quindi sicurezza psicologica (sa cosa fare) e riconoscimento intersoggettivo (essere parte di una comunità), ma di per sé non produce nuova conoscenza.
I protocolli rischiano di trasformarsi da strumento in scopo, così che l'oggetto reale, per cui sono stati costruiti, tende a sparire sullo sfondo, oppure a essere costretto sul letto di Procuste delle definizioni protocollari." (pag. 39)

"La critica di Prodi ("La scienza, il potere, la critica" G. Prodi, 1974, Il Mulino, Bologna) al mito dei protocolli fa il paio con la critica che Bruner rivolge alla psicologia quando parla di <<metodolatria>> e di <<piccoli studi insignificanti dal punto di vista scientifico, ciascuno dei quali non è che la risposta ad altri lavoretti altrettanto insignificanti>> (J. Bruner, 1990, trad. it. 1992, p. 15, "La ricerca del significato - per una psicologia culturale", Boringhieri), trascurando così i grandi temi della psicologia quali la natura della mente, la costruzione dei significati, l'influenza della cultura sulla formazione della mente." (pagg. 39-40)

"L'ossessione protocollare fa dimenticare il ruolo centrale dell'ipotesi nel processo conoscitivo. L'induzione, cioè lo stabilire una regola generale a partire da una massa di rilevazioni osservative concordanti, considerata il meccanismo principe del metodo scientifico, è già stata messa in crisi da Popper con il famoso esempio dei cigni bianchi e dei cigni neri (K. Popper, "La logica della scoperta scientifica", Einaudi, 1970) (... il fatto che molti cigni siano bianchi non vuol dire che lo siano tutti..)
... Il primo a porre l'ipotesi, o abduzione, al centro del processo conoscitivo è stato Peirce, ritenuto il padre della semiotica: egli la considera anche il meccanismo base per la costruzione e interpretazione dei segni, <<L'abduzione parte dai fatti senza , all'inizio, avere di mira una particolare teoria, benché motivata dall'impressione che ci vuole una teoria per spiegare i fatti sorprendenti. [...] L'abduzione cerca una teoria. L'induzione cerca fatti. Nell'abduzione la considerazione dei fatti suggerisce l'ipotesi>>. (pag. 40)

L'oggetto della ricerca scientifica esula un po' dall'argomento che mi interessa sviluppare e che mi spinge in questo lavoro, ma gli è molto vicino.
Sempre più spesso, e specialmente in questi ultimi tempi, in cui le rivalutazioni dei processi energetici spingono chiunque a dire la propria opinione, e la crescita esponenziale degli strumenti mediatici ne permettono la generalizzazione, si parla di tutto e di più senza fare riferimento ai criteri usati come guida. Il rischio è che le ipotesi comincino ad essere trattate come fatti e la realtà a confondersi con la fantasia producendo una commistione pericolosa. L'esito ulteriore nelle persone che assistono a queste sovrapposizioni è l'ulteriore alimentazione dello scetticismo. Specie per gli psicoterapeuti corporei è di fondamentale importanza  dimostrare l'esistenza di legami tra processi cognitivi e corporei. Per questo è necessario privilegiare la modalità di ricerca deduttiva, che cerca di spiegare, a ritroso, processi coerenti, piuttosto che quella induttiva che spiega tutto (miracolosamente).
Più specificamente, i nostri autori si accalorano nella necessità di spiegare quanto sia necessario attenersi sia ai fatti sia ai fattori soggettivi cercando di venire fuori dalla necessità di generalizzare partendo da supposte ipotesi che non si attengono ai fatti:

"La generalizzazione è un'operazione dell'osservatore, non una qualità delle cose: il generale è cercato e posto, non è dato. Non esiste la persona Down, bensì tante persone che condividono la sindrome Down, ognuna con caratteristiche individuali e la propria storia che la rende unica. La persona Down tipo è un'astrazione, per ottenere la quale si sono eliminati i tratti individuali e conservati solo quelli comuni; anche questi ultimi sono descrizioni effettuate dall'osservatore che li ha scelti come pertinenti e definiti nel proprio linguaggio. Usando un'espressione ormai consunta ma non per questo meno valida: sono una mappa non il territorio. E rilevare nel territorio solo gli elementi descritti dalla mappa, o peggio scambiare la mappa per il territorio è un errore in cui è molto facile incorrere anche per la tendenza specifica del linguaggio a <<cosificare>> ciò che descrive."  (pag. 42)

Specialmente con il materiale umano è necessario prestare attenzione ai fatti soggettivi che sono culturalmente modellati dai gruppi di appartenenza, dagli affetti e dall'aria che si respira. I moduli protocollari, e tutte le teorie che rimandano a forme oggettive di spiegazione del modo di essere umani, generalmente si ispirano al metodo induttivo e rischiano di presentarsi come lenti deformanti:


"Un dubbio simile è stato avanzato all'interno del tema specifico dell'autismo, confrontando quello che è definito <<autismo di laboratorio>> con <<l'autismo ecologico>>, cioè autistici reali, e non selezionati, nel loro ambiente reale. Il dubbio riguarda specificamente la Teoria della Mente (TOM) e le sue articolazioni [...] le cui conclusioni sono ottenute tutte tramite specifici esperimenti in laboratorio. Teoria che ha alla base la concezione della mente come insieme di moduli specifici, la cui funzione è quella di processare simboli astratti, cioè di utilizzare la logica proposizionale. Il risultato di questa teoria e dei suoi elementi sulla concezione generale dell'autismo è che questi <<da strumenti che aiutano a capire certe caratteristiche e certi limiti di fondo dell'esperienza autistica, vengono scambiati per strumenti di lettura dell'autismo, nel suo complesso>> (F. Barale e S. Uccelli, "La debolezza piena. Il disturbo autistico dall'infanzia all'età adulta" in F. Ballerini et al. (a cura di) Autismo. L'umanità nascosta, Einaudi, 2006, pag. 122)". (pag. 49)


Allora anche le dimensioni psicologiche, i caratteri, gli standard prestazionali di qualunque tipo e le diverse categorie diagnostiche sono solo riferimenti di massima e bastoni su cui appoggiarsi per cercare di meglio comprendere la realtà psicologica che ci appartiene. Ma ogni volta che se ne fa un uso generalizzante si commette un errore di massificazione. Così, anche quando si hanno idee chiare sullo sviluppo di un determinato disturbo, il fatto di averlo correttamente diagnosticato da un punto di vista psicoterapeutico non ne autorizza l'uso e la lettura categoriale ma va sempre indagato come fosse la prima volta.

Dal capitolo 2: Corpo e mente.


In merito alle localizzazioni cerebrali delle funzioni organismiche, gli autori sono estremamente critici:


"Ciò che non ci convince è che l'individuazione di aree, circuiti cerebrali e neuroni responsabili di comportamenti e caratteristiche umane sia una risposta esaustiva, tesi influenzata dal positivismo per cui è scientifico solo ciò di cui si ha evidenza materiale e risponde al principio di causa-effetto. [...] Il cervello non è semplicemente il padrone del vapore, né è solo una macchina funzionale o un elaboratore di informazioni; è anche una macchina sociale, evolutasi insieme al corpo di cui fa parte all'interno di una popolazione di corpi simili a lui, per costruire e comprendere eventi e atti sociali, e influenzato da questi fino nelle sue connessioni." Pag. 60)


La tentazione di parlare dell'area di Broca, dell'ipotalamo, del talamo, delle connessure, della sostanza reticolare ecc. è tantissima tanto che psichiatri, psicologi, terapeuti e psicoterapeuti, addetti alla formazione, sembra che ormai non sappiano più parlare della persona umana senza far riferimento a qualche sito cerebrale specifico dove si realizza la tale o tal'altra funzione (sociale). Ci si dimentica facilmente delle realtà relazionali e sembra che, parlando dell'uomo facendo riferimento alle capacità cerebrali, renda il discorso più affidabile.
Anche quando si riconosce l'influenza della cultura, e si ammette il ruolo materno e familiare nel formarsi del carattere delle persone, o quando si valorizzi il ruolo e la funzione del corpo descrivendo le esperienze che vi si memorizzano, la tendenza sia sempre quella di riferirsi a organi cerebrali visti come oggetti fissi e consolidati. Difficilmente si fa riferimento alle modalità soggettive che quei  siti realizzano, soggettività derivante dagli eventi esperienziali che, agenti su una struttura plastica, la modificano modificando a sua volta le sue modalità di processazione e realizzazione degli eventi.
In alcune affermazioni verrebbe da dire che questi autori siano più corporei degli stessi psicoterapeuti corporei:

"... il corpo umano è biologicamente un corpo relazionale e culturale. [...] Non a caso è stato Ajuraguerra a creare l'espressione <<dialogo tonico>> per indicare, in senso reale e non metaforico, il primitivo dialogo fra madre e bambino, costituito dai precoci scambi e adattamenti, spesso microadattamenti tonico posturali. Il tono muscolare, la più arcaica e automatica delle nostre risposte agli eventi del mondo (che condividiamo con gli altri mammiferi) veicola significati emotivi e affettivi fondamentali e complessi. I significati che il bambino apprende ad attribuire (non per via rappresentazionale, cioè simbolica) alle variazioni toniche e al tono prevalente della madre, si incideranno nei suoi muscoli e nelle sue connessioni neurali, influenzando le sue future interazioni con le persone che incontrerà, anche una volta adulto, e le valutazioni che di esse darà: il dialogo



tonico continua per tutta la vita." (Pag. 63)
"I mille modi di compiere un'azione sono variazioni, modulazioni e sfumature di due parametri: il tono muscolare e il tempo. Parametri che ... sono due degli strumenti principali sia dell'intervento che dell'osservazione psicomotoria. Anzi è nella percezione e nell'utilizzo di tutte le variazioni e sfumature del tono muscolare, quale primaria manifestazione dell'espressività e della comunicatività, che risiede una delle principali competenze specifiche della psicomotricità." Pag. 64)


Nei recessi dei dialoghi ad impronta cognitiva si smarrisce il senso del dialogo tonico e le stesse terapie corporee stentano a recuperare i riferimenti che le hanno fondate. Hanno difficoltà ad emanciparsi da un sapere che sempre di più afferma se stesso rivendicando processi distanti dalle sensazioni.


"Ciononostante, il corpo, i suoi movimenti, il suo tono muscolare, le sue azioni sono comunemente ancora considerate funzioni inferiori rispetto alla memoria, alla coscienza, al linguaggio: servi più o meno docili e abili delle funzioni mentali superiori. La sequenza classica è: sensazione, percezione, decisione, azione. [...] La psicomotricità invece ha da sempre scommesso che, proprio tramite le attività sensomotorie e motorie, sia possibile agire sul complesso delle altre funzioni." (Pag. 66) 


Definizioni queste davanti alle quali si resta perplessi e oggi ci si può chiedere come mai le psicoterapie corporee abbiano sempre fatto tanto la corte alla psicoanalisi lasciando da parte la psicomotricità la, invece a detta degli autori, fanno riferimento agli aspetti cognitivi fondamentalmente incarnati. Di quest'ultima affermazione i corporei hanno necessità della pratica piuttosto che della teoria. Non basta affermare di credere nella corporeità. Bisogna dimostrare di potere e volere individuare gli eventi corporei che accompagnano i processi mentali e non che si cerca di essere corporei solo perché si negano i processi mentali. I processi, mentali e corporei, si dispiegano in una mutualità di reciproco rimando dal concepimento alla morte:


"Lakoff e Johnson, invece, propongono da punti di vista complementari (linguistico e filosofico) la teoria che le nostre categorie concettuali, la struttura logica del pensiero e la semantica sono motivate dall'esperienza corporea: non sono il risultato di una corrispondenza fra l'attività di una mente disincarnata e gli oggetti e stati del mondo, bensì dell'interazione continua fra una mente incorporata e l'ambiente. Noi categorizziamo, pensiamo e immaginiamo in base a schemi generali fondati sulle nostre attività sensomotorie. Il linguaggio stesso, nella sua struttura e nei suoi significati, è una proiezione metaforica dal dominio dell'esperienza fisica al dominio simbolico o astratto (l'opera di Jhonson si intitola infatti The Bosy in the Mind)." (Pag. 71) 
Allo stesso modo non si può lavorare con il corpo baipassando i processi mentali. Se i processi organismici sono processi che si sostengono mutualmente, allora un lavoro organismico di tipo psichico deve necessariamente cercare strumenti comprensivi dei due tipi di processi e, siccome i due tipi di processi comunicano perché sono reciproci, bisogna trovare gli strumenti per la decodifica.
La vegetoterapia è uno di questi strumenti e perciò con il suo impiego si opera realizzando tutti i processi psicoterapeutici, dall'analisi della domanda all'interpretazione, dall'individuazione dei meccanismi di difesa alla risoluzione dei conflitti. In pratica, sembra di capire, realizzando gli stessi obiettivi che si cerca di realizzare con l'impiego della psicomotricità.

Dal capitolo 3: L'intersoggettività.

"Quanto avviene nelle persone è strettamente connesso, e spesso dipendente, da ciò che avviene tra esse; infatti, l'essere umano, prima e più che a risolvere problemi, è costantemente impegnato ad attribuire e condividere significati, soprattutto relazionali. Ma l'intersoggettività si realizza primariamente e principalmente nell'azione condivisa, ovvero uno spazio comune che include azioni, intenzioni, scopi, valori, significati, affetti, ecc. Ciò implica anche considerare la relazione interpersonale come il luogo, il fine e lo strumento del proprio intervento terapeutico e preventivo." Pag. 75)
"La psicomotricità ha avuto il merito di proporre la centralità della relazione interpersonale tramite azioni motorie e sensomotorie, superando tre concezioni scientifiche e culturali. La prima, come si è visto, che l'apparato motorio avesse una funzione puramente esecutiva, senza  alcuna influenza sugli aspetti cognitivi, percettivi o emotivi; le connessioni neurali, comportamentali e simboliche erano concepite unicamente come connessioni unidirezionali dall'alto in basso.
La seconda si basava su una visione culturale più ampia e più antica che ha influenzato direttamente temi, concetti e metodologie della ricerca psicologica: l'idea riguardava la concezione dell'uomo quale individuo racchiuso nell'involucro della propria pelle, e della mente racchiusa nel cranio, in coabitazione con il cervello. Quindi, un sostanziale isolamento, parzialmente superato solo tramite sistemi e linguaggi simbolici di cui si sottolineava l'aspetto razionale e convenzionale. Di qui l'accento posto, a volte ossessivamente, sull'Io o sul Sé, per cui l'identità era un processo o un problema essenzialmente infrasoggettivo, in cui l'altro era chiamato in causa solo come pietra di paragone da cui differenziarsi. in tal modo si <<cosificava>> una realtà linguistica (<<io>>) in un'entità extralinguistica (l'Io), trascurando un dato ben sottolineato dai linguisti, e cioè che non si può né pensare né dire <<io>> senza un'implicazione diretta e coinvolgente di un <<tu>>. E che anche un <<esso>> o un <<lui>> (il famoso discorso in terza persona della ricerca scientifica ) può essere individuato e detto solo sulla base di un <<io-tu>> cioè di un <<noi>>.
[...]
La terza concezione era che le diverse funzioni mentali fossero nettamente distinte le une dalle altre, e fossero governate da aree cerebrali non solo differenti ma anche pressoché autonome: così le aree premotoria e motoria per i movimenti, l'ippocampo per la memoria a lungo termine, il sistema limbico e in particolare l'amigdala per le emozioni e i valori, e le aree associative con il compito di coordinare i segnali provenienti dalle diverse parti. Tutto questo ha generato dei <<confini concettuali rigidi tra pensiero, azione ed emozione quasi si trattasse di regioni della mente>> (J. Bruner, "La mente a più dimensioni", Laterza, 1988, pag. 131). Lo sviluppo, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, selle ricerche sulla relazione precoce madre-bambino prima e poi la scoperta dei neuroni specchio hanno modificato radicalmente tutto ciò e spinto a costruire <<dei "ponti concettuali" per rimettere in collegamento ciò che non si sarebbe mai dovuto separare>> (Id.) Pag. 75/76)

Quella che all'inizio degli anni Ottanta era ancora un'ipotesi, anche se altamente plausibile, e cioè che la relazione precoce sarebbe la vera radice dello sviluppo mentale, ormai è un fatto assodato: la soggettività nasce dall'intersoggettività, o meglio sono le due facce di una stessa medaglia. Questo vale nello sviluppo del Sé, nell'apprendimento linguistico, nella regolazione e manifestazione degli stati affettivi. L'intersoggettività compie un salto di qualità dopo quello che è stato definito <<il miracolo dei 9 mesi>>, quando il bambino comincia ad avere la consapevolezza di sé e degli altri quali agenti intenzionali. Il meccanismo tramite cui ciò avviene è quello dell'attenzione congiunta. <<Attenzione congiunta verso un oggetto significa adesso che il bambino non solo è consapevole dell'oggetto, ma è contemporaneamente consapevole dell'attenzione che l'altra persona rivolge all'oggetto [...]. A questa età la consapevolezza che il bambino ha dell'attenzione dell'adulto è operativa anche quando è lui stesso l'oggetto di tale attenzione>>. (M. Tomasello, "Le origini interpersonali del concetto di sé", in U. Neisser (a cura di), "La percezione del sé" Bollati Boringhieri, 1999, pp.198-209). (pag. 78)
[...] Ossia, le esperienze svolgono un ruolo importante non solo nel determinare quali informazioni arrivano alla mente ma influenzano anche il modo in cui la mente le elabora. <<Le relazioni interpersonali svolgono [...] un ruolo centrale nel determinare lo sviluppo delle strutture cerebrali nelle prime fasi della nostra vita [...]. Il potenziale genetico viene espresso all'interno di esperienze sociali che esercitano effetti diretti sulle modalità con cui le cellule vengono collegate fra di loro in questo modo le "connessioni umane" portano alla creazione di connessioni neurali>> (D. Siegel, "La mente relazionale", Raffaello Corina, 2001). (pag. 81)
 :
La prevedibilità va ben oltre la costruzione di rituali condivisi. proprio perché la mente è una macchina per fare ipotesi, lo psicomotricista ha la necessità di rendere prevedibili le proprie azioni e iniziative perché il significato siapiù chiaro e il bambino possa organizzare meglio la propria risposta (se l'iniziativa è partita dall'adulto) o possa comprendere meglio che quella dell'adulto è la risposta a una sua azione. La prevedibilità può essere data dall'annuncio verbale come da un assetto posturale, uno sguardo protratto o un accenno di azione. Se è vero che, grazie ai neuroni specchio, siamo in grado di comprendere l'azione dell'altro anche solo vedendone una parte o gli effetti, un'azione accennata pone le condizioni perché il bambino possa entrare in <<orgasmo interpretativo>>: ipotizzare cosa sta per fare l'adulto, attivare una connessione di causa-effetto, anticipare la propria risposta. (pag. 84)


Vi è un aspetto della psicoterapia che viene poco considerato nella pratica pur essendo enunciato nella teoria. O, per meglio dire, non si spiega come tenerne conto. E' quell'aspetto della relazione che dovrebbe considerare l'estrazione culturale del paziente, il contenuto della sua evoluzione e della modalità con cui è stato conseguito nel corso della sua evoluzione, la sua competenza relazionale, il grado di istruzione. In Vgt lo si attua tenendo conto del "dialogo tonico", della soggettività delle scansioni temporali e ritmiche e dell'utilizzo dei sottoacting, che sono gli acting di transizione, e che, spostando il paziente da un livello muscolare all'altro e da una fase evolutiva all'altra, si presentano con un combinazione di movimenti gradualmente differenziati dal livello precedente al successivo. Sono gli stessi acting che in vgt tengono maggiormente conto dei processi di separazione e approdo. Mi sembra che queste modalità, dell'individuazione e utilizzazione dei sottoacting, o acting di passaggio, possono essere ricondotti ai processi di calibrazione della relazione in psicomotricità:

"Come la madre con il figlio, lo psicomotricista seleziona il proprio repertorio comportamentale, anche se in modo diverso; infatti, quello materno sembra avere una base biologica se è vero ad esempio che il baby talking di una madre giapponese e di una americana hanno la stessa curva prosodica, anche se le due lingue sono molto diverse da questo punto di vista. Inoltre, la madre ha di fronte a sé un essere umano molto limitto dal punto di vista motorio e dipendente per la sopravvivenza, per cui l'aspetto comunicativo-relazionale e quello di accudimento sono intimamente intrecciati e, in certi momenti, indistinguibili.
Lo psicomotricista invece seleziona il proprio repertorio comportamentale finalizzandolo alla chiarezza e comprensibilità dei messaggi, sulla base di una formazione professionale e culturale, e secondo l'età, il tipo e la gravità della disabilità del bambino: più è piccolo, più il repertorio si avvicina a quello materno, ad esempio per quanto riguarda il contatto corporeo, ma sempre con le differenze accennate.
I due tipi di repertorio hanno però alcune caratteristiche simili. Innanzitutto vi è un aumento della ridondanza comunicativa ed espressiva. Lo stesso messaggio è veicolato da più canali e ripetutamente (parola, gesto, mimica, tempo). Vi è una modifica generale del proprio tempo di azione  ed enunciazione, caratterizzata soprattutto da un rallentamento e un aumento delle pause. Compare un'accresciuta enfatizzazione gestuale, mimica e prosodica. Come la madre, lo psicomotricista è attento a modulare il proprio tono muscolare su quello del bambino, riattualizzando il dialogo tonico primitivo. <<La modulazione tonica è la valenza comunicativa che il tono assume nella relazione; è una risposta affettivo-emozionale che implica la presenza e che percorre la gamma tensione/distensione come qualità>>. (Berti E., Comunello F., Nicolodi G., "Il labirinto e le tracce", Giuffré ed., 1988, pagg. 67-68)" (pag. 85)


Continuando la precedente nota, per cui la similitudine con la vgt consiste nel considerare la dotazione organica soggettiva, del terapeuta, accortamente calibrata sugli aspetti di personalità del soggetto terapeutico, si può giungere fino a considerare la possibilità di individuare nelle dimensioni corporee dei due componenti la coppia, il realizzarsi dei processi transferali e controtransferali.

"La particolare attenzione e consapevolezza del tono muscolare proprio e del bambino è una caratteristica specifica dello psicomotricista, il quale tiene sotto controllo la <<risonanza>> immediata che il tono dell'altro ha sul proprio <<vissuto tonico>> (espressione di Ajuraguerra) per evitare di dare una risposta automatica. Infatti il tono muscolare è il canale primario con cui ogni animale reagisce agli eventi esterni, segnale biologico di allarme o di sicurezza, di preparazione o di cessazione dell'azione. Su questa dotazione/funzione di base si innesta progressivamente il <<vissuto tonico>> (il modo in cui lo utilizza e interpreta) costruito dalla storia relazionale dell'individuato fino a iscriversi materialmente nei suoi assetti tonico-posturali abituali. <<Il tono può essere allora definito come il principio informatore della relazione del soggetto con il mondo, ciò che trasforma una posizione in una postura, determina l'organizzazione e la qualità del movimento e, tramite questo, informa delle connotazioni affettive di cui sono stati investiti il tempo e lo spazio>> (Berti, Comunello e Nicolodi, 1988, pp. 66-67). E ciò si trasforma subito in un giudizio, anche se spesso inconsapevole, sulla natura e lo stato dell'interazione e della relazione." (pag. 86)


Così finalmente i due processi transferali smettono di essere considerati solo mentali e acquistano senso nella dimensione corporea.

"Per realizzare ciò non è sufficiente sapersi <<occupare del corpo>>, come fa chiunque eserciti una professione che implica una qualche forma di interazione o contatto con un corpo altro, ma è necessario imparare a <<stare con il corpo>>, cioè a proporsi attraverso il proprio assetto tonico/posturale, a utilizzare lo spazio a disposizione, gestire il tempo, modulare la voce, usare gli oggetti in funzione dell'altro o di un gruppo. Non basta saper <<stare con il corpo>>, ma è necessario <<parlare al corpo>> e ancora <<parlare dal corpo>>..." pag. 86


Giuseppe Ciardiello

































lunedì 10 aprile 2017

Depressione e trauma negli/degli occhi

Ultime ricerche sulla depressione mostrano quanto e come la terapia metacognitiva possa essere utile per la risoluzione di questo disturbo. Gli autori di un importante articolo raccomandano agli operatori del settore di prestare attenzione al modo in cui si articola il pensiero, piuttosto che ai suoi contenuti,  perché ritengono che il portare l'attenzione ai processi che sottostanno ai pensieri, e che ne costituiscono la forma, sembra rappresentare la strategia vincente per arrivare a modificare la ricorsività e l'insistente presenza dei pensieri depressivi.


Queste ricerche sembrano confermare anche gli approcci terapeutici con duplice attenzione, cognitiva e corporea, che si sono consolidati in alcune pratiche terapeutiche come la mindfulness, l'EMDR,  ecc.


Gli strumenti utilizzati da un lato coinvolgono le dimensioni corporee, dall'altro sollecitano l'attenzione ai processi di pensiero che l'accompagnano così da produrre un'attenzione orientata maggiormente alla forma piuttosto che ai contenuti.
Tale atteggiamento, di osservazione dell'attività cognitiva, condurrebbe all'esperienza di un distacco dai contenuti e, quindi, a una disidentificazione dal vissuto corrispondente.

Questo modo di considerare i processi mentali e corporei, che distingue la forma dai contenuti e al modo di comporre e produrre i pensieri separandoli dal loro senso e significato, è probabile che funzioni per tutti i disturbi psicologici, e quindi non solo per quelli depressivi, perché ogni disturbo si accompagna anche ad una ricorsività di pensiero che potrebbe dipendere proprio dalla forma assunta.

Le terapie cognitive che oggi si sono esposte nell'utilizzo di aspetti legati ad agiti corporei si può dire che, in qualche modo, suggeriscano una convergenza verso un'apparente unificazione organismica.
Apparente perché, pur recuperando ai processi mentali qualche aspetto corporeo, di fatto questi ultimi continuano ad essere usati in maniera strumentale e solo per meglio individuare i processi cognitivi che si realizzano contemporaneamente e che, nell'idea cognitiva, non sono necessariamente ad essi corrispondenti.

In queste teorizzazioni manca l'idea dell'identità funzionale in cui: "... gli atteggiamenti muscolari e caratteriali nell'ingranaggio psichico hanno la stessa funzione; possono influenzarsi reciprocamente e sostituirsi vicendevolmente. In fondo sono inseparabili e nella loro funzione sono identici." (Reich, 1927, "La funzione dell'orgasmo").
Dal punto di vista reichiano il carattere è espressione anche di un aspetto cognitivo per cui, il modo di pensare e ciò che si pensa, sono coerentemente espressi nell'articolarsi degli atteggiamenti muscolari che modulano la relazione.



In psicologia i processi corporei sono sempre sembrati appartenere ad un livello organismico inferiore. Nelle diverse considerazioni accademiche, ma anche nelle semplici espressioni verbali, le diverse materie fisiologiche sono sempre state rigorosamente accostate agli aspetti anatomo funzionali e forse ciò ha contribuito a emarginare le diverse terapie corporee che si sono vissute in un ruolo ancellare rispetto sia a quelle cognitive sia psicoanalitiche.
In questa subalternità hanno rischiato di non riuscire a sostenere un ruolo specifico e definito nell'individuazione di elementi formali e concreti per intervenire sull'organismo complessivo. Infatti, anche quando gli strumenti terapeutici utilizzati si sono mostrati solidi e coerenti, come nella Psicoterapia Sensomotoria, la Psicomotricità Relazionale, la Bioenergetica, la Vegetoterapia, le Artiterapaie, ecc., è stato sempre con difficoltà che questi indirizzi si sono affermati e riscattati.
Questa specie di oscurantismo ha consentito che, gli stessi strumenti usati normalmente da queste scuole, e che non hanno mai suscitato grande interesse applicativo, oggi che sono usati in ambito cognitivo sono maggiormente riconosciuti come strumenti validi. Come per esempio gli acting oculari usati in Vegetoterapia.

La Vegetoterapia ha sempre perseguito una visione complessiva dell'organismo umano spesso anche prendendo implicitamente le distanze dalle classiche definizioni psicoanalitiche.
I meccanismi di difesa, il transfert e il controtransfert, il concetto dell'Io e del Sé, la relazione oggettuale, l'oggetto della relazione, lo schematismo della fasi evolutive, ecc, piuttosto che oggetti del pensiero, diventano processi di pensiero che, non necessariamente vincolati ai contenuti, da cui le interpretazioni psicoanalitiche, diventano forme corporee organizzate in comportamenti agiti e auto-interpretabili con l'utilizzo dei corrispondenti agiti relazionali (corporei).

Interessante da questo punto di vista, e in relazione al preambolo iniziale di questo articolo, è il fatto che tutte le terapie corporee, nell'utilizzo pratico delle proprie tecniche, hanno da sempre previsto, almeno implicitamente se non previsto dal paradigma di riferimento, di promuovere una maggiore attenzione al corpo, e alle sue forme esecutive ed espressive, alimentando una graduale distanza dai processi di pensiero. E in alcune esperienze vegetoterapeutiche tale intento è ancora più evidente.


Un esempio emblematico può essere il lavoro relativo all'interpretazione dei sogni con l'ausilio di un acting di vegetoterapia.

In tale contesto i movimenti oculari vengono usati come pretesti per dirottare l'impegno attentivo consapevole sul controllo oculare, così da lasciare i processi cognitivi liberi di realizzarsi senza l'attenzione consapevole e direttiva dell'Io.
Le persone sottoposti a questo tipo di esperienza, impegnati a tenere gli occhi fissi su un punto in movimento davanti ai loro occhi, sperimentano una disidentificazione dai processi mentali impegnati nell'elaborazione delle immagini del sogno che sono scelte preliminarmente per l'esperienza. In questo modo si realizza un processo mentale automatico e inconscio, nel senso di non preventivato nè controllato, che è sorprendentemente imprevedibile e spesso chiarificatore delle tematiche espresse metaforicamente.
Ma, ancora più interessante, si realizza anche una sorta di piacere nei confronti del processo di elaborazione delle proprie immagini, differente e indipendente dal sentimento che viene vissuto nei confronti dell'operatore che propone l'esperienza. Una sorta di transfert nei confronti dei propri prodotti di pensiero, che siano immagini fantastiche o costruzioni pindariche o giochi di forma e architetture logiche, si ravviva la fiducia di sé, nella propria creatività e nella capacità di coglierla nei suoi elementi processuali e di forma.

In realtà ogni acting, implicando l'attenzione all'esecuzione di un movimento specifico, presuppone un distanziamento dal processo di pensiero che l'accompagna il quale, a sua volta, si presta ad una autonoma rielaborazione.











Giuseppe Ciardiello



























martedì 28 marzo 2017

La difficile scelta della scuola di psicoterapia

L'inflazione della professione psicoterapeutica ha anticipato di poco l'idea di proporre qualcosa di analogo e, al contempo, diverso. Sono nate scuole di counselor ex novo e, di rimando, scuole di vecchia tradizione si sono proposte per questo nuovo approccio.





Ma è veramente un nuovo approccio? O è solamente un nuovo elemento di confusione?





La materia psicologica nasce ambigua per diversi ordini di motivi. Il primo è probabilmente dovuto alla sua tradizione che la vuole figlia della filosofia e della necessità di ricevere consigli. La cura dell'educazione, dell'insegnamento e dell'accudimento si è sempre confuso con la cura all'educazione, all'insegnamento e all'accudimento. Insegnare ad accudire è diverso dall'accudire ma questa distinzione, che prevede anche l'attenzione agli strumenti e alle modalità dell'accudire, è poco curata e spesso si superficializza, il che è come dare per scontato di sapere in cosa consista sia un aspetto che l'altro.

books in my mind:




Altri aspetti possono derivare da motivi pratici quali la difficoltà a spiegare gli strumenti che vengono usati per raggiungere quali finalità. Così le scuole di psicoterapia, che formano professionisti diversi dagli psicologi, spesso non prevedono la possibilità di entrare nello specifico della formazione e, anche quando si pubblicizzano, lasciano largo margine all'immaginazione per quanto attiene alle differenze operative che distinguono gli psicoterapeuti dalle altre professioni e finanche tra i differenti approcci.



Una più puntuale descrizione di queste mancanze è data dalle seguenti righe:


"Sottolineiamo la diffidenza rivolta allo psicologo, perché propone al contempo la ricerca d'aiuto,  di sollievo dai problemi, di soluzione alle difficoltà individuali o sociali, di guarigione da profondi sconvolgimenti emozionali, quali ansietà, angoscia, paura, rabbia, panico, odio, abbandono, solitudine... e la perplessità sulla reale competenza dello psicologo ad affrontare e risolvere quest'ordine di problemi. Spesso, nel contesto sociale, si fa riferimento allo psicologo come al <<medico dell'anima>>, a colui ce si occupa dei disturbi emozionali dei singoli,  della coppia o della famiglia, senza peraltro mai accennare agli strumenti che lo psicologo può usare per affrontare un tale ordine di problemi. Si sa, sia pur per grandi linee, come opera il medico: si conosce la necessità di porre una diagnosi, al fine di decidere quale sia il presidio terapeutico più efficace per quella specifica malattia, individuata diagnosticamente; si conosce la relazione stretta che il medico pone tra diagnosi causale della malattia e farmaco o intervento chirurgico utilizzato per la stessa. In altri termini si sa, sia pur con approssimazione, come opera il medico e quali siano i fondamenti scientifici che ne legittimano l'azione. Non è così per lo psicologo, spesso confuso con lo psicoterapista; qui le cose si fanno particolarmente complesse per una comprensione, da parte del profano, circa i fondamenti scientifici dell'azione psicologica e circa la sua credibilità. Differenti forme di psicoterapia, quali la psicoanalisi, la terapia cognitiva, quella transazionalista, quella sistemica, si rivolgono a persone con la medesima domanda di partenza, utilizzando vari metodi, con durate, costi, modalità pragmatiche molto diverse tra loro; a volte, differendo anche nel fine. Tutto ciò è difficile da comprendere e da accettare per chi fa l'ipotesi di rivolgersi allo psicologo. La scelta, il più delle volte, avviene in base ai consigli, indicazioni di parenti o conoscenti, notorietà dello psicologo, suggerimenti provenienti da altri professionisti stimati, in primo luogo il medico cui ci si rivolge abitualmente. In altri termini, lo psicologo viene scelto entro un contesto, quello degli psicologi appunto, di cui non ci si fida, perché non si conosce e si ritiene poco credibile. Ciò porta all'idealizzazione dello psicologo che si è scelto, e sappiamo che tale processo viene messo in atto per tenere a bada l'aggressività, della quale sarebbe oggetto la figura idealizzata se non fosse, appunto, al riparo dell'idealizzazione. In altri termini, lo psicologo è, nella stragrande maggioranza delle relazioni di domanda, oggetto di emozioni ambivalenti molto forti."



(pagg. 237/238; "Analisi della domanda; teoria e tecnica dell'intervento in psicologia clinica", Renzo Carli e Rosa Maria Paniccia, Il Mulino, 2003)






Allo stesso modo si ignora spesso l'esigenza etica che richiede la professione che ci siamo dati.


Il mestiere dello psicoterapeuta si esplica anche nel proprio agito esistenziale. Lo psicologo e lo psicoterapeuta sono anche figure umane che, nell'immaginario sicuramente, ma anche nella realtà della vita pratica, devono dare dimostrazione della possibilità di quello che vendono.




Al contrario delle altre professioni, per la materia psicologica lo psicologo e il terapeuta sono i primi esempi della validità delle proprie teorie proprio come, per i figli, lo sono i genitori.


"Al limite, un ingegnere o un medico possono essere bravi anche se la loro tendenza ideologica li rende propensi al razzismo, alla discriminazione dei più deboli, dei diversi. Per uno psicologo questo non è possibile: se lo psicologo avesse posizioni ideologiche contrarie all'innovazione, all'accettazione della diversità quale risorsa, se non condannasse ogni forma di discriminazione entro i processi di convivenza, se non fosse critico nei confronti del potere senza competenza e del suo imporsi entro i sistemi sociali, lo psicologo potrebbe giustificare l'atteggiamento di diffidenza nei suoi confronti. Accettare la diffidenza nella domanda, non reagire collusivamente ad essa, guardare ironicamente alle provocazioni che evoca nell'interlocutore, aiutarlo ad un pensiero sull'emozione e sugli agiti che la diffidenza induce entro la relazione di domanda, tutto questo è possibile solo se lo psicologo non viene coinvolto nella relazione, in base alla sua adesione ideologica. Al posto dell'ideologia qualificante e condizionante entro le relazioni sociali, lo psicologo può vivere la fiducia in se stesso sulla base della competenza, della tolleranza verso le provocazioni alle quali l'altro spesso lo sottopone, della speranzo in un ingresso del pensiero emozionato là dove, al momento, c'è solo emozionalità agita." (pagg. 242/243; idem!)





Sapendo spiegare cosa accade nell'animo umano è necessario imparare a spiegare, anche pubblicamente, come si tratta questo materiale perché il trattamento che gli si riserva attiene all'identità professionale che, a sua volta, riflette la fiducia che ognuno ha nel metodo che usa.



Purtroppo anche gli ex allievi, oggi terapeuti, sembra dimentichino gli anni precedenti l'iscrizione e le difficoltà incontrate per decidere quale scuola scegliere. Una volta formati sembra che il lavoro li distragga dalla necessità di raccontarsi al grande pubblico e far comprendere con semplicità il proprio modo di lavorare.





Giuseppe Ciardiello

giovedì 23 marzo 2017

Sogno, immagini, occhi e vegetoterapia

"I sogni sono messaggi diretti che arrivano dall'unità corpo/mente, fornendo informazioni preziose su quello che accade sul piano fisiologico, oltreché emozionale. Prendere coscienza dei propri sogni è un modo per origliare la conversazione che è in corso tra psiche e soma, corpo e mente, e raggiungere livelli di consapevolezza che in genere sono al di là della nostra capacità di percezione.

Che cosa avviene quando si sogna? Le varie parti dell'unità corpo/mente si scambiano informazioni, il contenuto delle quali giunge alla nostra coscienza sotto forma di storia, completa di intreccio e personaggi tratti dalla lingua della coscienza quotidiana. A livello fisiologico, la rete psicosomatica si sintonizza nuovamente ogni notte, in vista del giorno successivo. I cambiamenti si verificano nei circuiti di feedback man mano che i peptidi si riversano nell'organismo e legano con i recettori per avviare le attività necessarie all'omeostasi, o per tornare alla normalità. Le informazioni su questi aggiustamenti penetrano nella coscienza sotto forma di sogno e, dal momento che questi sono gli elementi biochimici dell'emozione, il sogno non è fatto solamente di contenuti, ma anche di sensazioni."


("Molecole di emozioni", Candice B. Pert, TEA ed., 2005) 

La pratica clinica non può eludere il tema del sogno.

Ogni esperienza analitica deve fare i conti con l'esperienza onirica che, tutte le notti, diventa protagonista della vita delle persone al posto della realtà.

Questa sostituzione avviene anche compromettendo il senso di lucidità che ci caratterizza e che è dato dalla costante consapevolezza dello stato mentale. A volte i sogni sono talmente veri da sovrapporsi al senso che si ha del reale per cui è preferibile dimenticarli e fingere di non accorgersi del turbamento che provocano.

Un ulteriore disagio può essere offerto dal materiale che si presenta nello stato di sonno. Il sonno è la condizione in cui le difese sono allentate e la fantasia può esprimersi in tutta la sua forza realizzando relazioni magiche tra le cose psichiche.
Queste soluzioni hanno valore di metafora per la vita quotidiana.

Nell'approccio Analitico Reichiano anche per l'interpretazione dei sogni si può usare lo strumento vegetoterapeutico.

Per questo scopo possono essere usati gli acting oculari; in particolar modo i movimenti orizzontali e obliqui degli occhi.

L'approccio analitico classico al sogno prevede l'interpretazione univoca ed oggettiva delle immagini oniriche sia in senso freudiano sia junghiano. Ambedue questi approcci assumono le immagini oniriche come sovradeterminate e il loro senso, da cui l'interpretazione, è detenuto dall'operatore (analista).

In Vgt questi punti di vista oggettivi vanno rigorosamente tenuti a bada.

Non potendo far finta di non conoscerli, vanno tenuti a mente ma non espressi mentre si cerca il senso soggettivo delle immagini.
Così l'immagine onirica, anche quando è facilmente riconducibile ad interpretazioni classiche, resta un oggetto che rappresenta solo l'esperienza soggettiva. Per esempio, un oggetto cavo, vuoto o contenente materiale specifico, viene riproposto invariato alla fantasia della persona che deciderà autonomamente il tipo di trasformazione da imprimergli.
Sarà proprio il tipo di trasformazione dell'oggetto a suggerire il senso dell'interpretazione. Questo sarà dato dalla forma che l'oggetto si troverà ad assumere, dal suo contenuto, dalla posizione, dai colori, dalla posizione circa il contesto e dall'uso che ne faranno i protagonisti nell'intero percorso. L'intero processo assume un senso dinamico in concomitanza con l'elaborazione che, legata ai movimenti oculari proposti dall'operatore, si colora anche relazionalmente.

Questo modo di trattare il materiale onirico, da un punto di vista concettuale è molto più vicino al sogno da svegli guidato di Desoille (Desoille, R., "Teoria e pratica del sogno da svegli guidato", ed. Astrolabio, 1974) che lascia i protagonisti liberi di stabilire il percorso narrativo da seguire mentre l'operatore svolge la sola funzione di facilitarne l'esposizione.

In Vgt si parte da un'immagine fissa del sogno come fosse un fotogramma cinematografico.
Ogni step narrativo è seguito da un movimento oculare per un numero fisso di oscillazioni. Questo numero fisso è soggettivo e sembra dipendere dagli aspetti di personalità. Ci sono persone che con poche oscillazioni oculari producono molti cambiamenti negli oggetti della fantasia mentre altri richiedono un maggior numero di movimenti.

Questo è uno degli aspetti più intriganti del metodo e che si sta cercando di monitorare.

Un altro aspetto interessante è il vissuto complessivo che si riscontra alla conclusione dell'analisi delle sogno.

A fronte dei vari vissuti transferali, sembra che l'interpretazione dei sogni svolta con l'ausilio della Vgt, nella persona che analizza il sogno comporti un accresciuto interesse circa l'analisi stessa del sogno. Aumenta la curiosità e si ha l'impressione che sorga un senso d'affetto nei confronti del sogno piuttosto che nei confronti dell'operatore.

Questa pratica si presta inoltre anche a costruire un ponte con gli aspetti più propriamente cognitivi da parte delle pratiche motorie e comportamentali.
E' facile verificare quanto il processo interpretativo legato al movimento oculare sia legato sia alla rappresentazione quanto all'immaginazione.
Se si prova, con gli occhi chiusi, a rappresentarsi parti del proprio corpo ci si accorge che gli occhi si dirigeranno nella direzione in cui sono posizionati gli organi rappresentati. Se si cerca di rappresentarsi l'indice della mano destra, che è appoggiata sul ginocchio destro, sarà difficile rappresentarlo tenendo lo sguardo a sinistra o immobile.
Lo stesso vale per l'immaginazione. La corsa di una lepre, immaginata in un bosco mentre ci attraversa la strada, sarà impossibile rappresentarsela tenendo bloccato il movimento degli occhi.
L'immaginazione e la rappresentazione, degli oggetti, delle persone e di noi nello spazio, sono eventi corporei e cognitivi.   

L'interpretazione dei sogni con l'ausilio di un acting di vgt, è stata effettuata per qualche anno nell'ambito della Scuola Italiana di Analisi Reichiana (S.I.A.R. di Roma). Nata come pratica seminariale, per motivi diversi questa proposta è stata poi abortita trovando seguito in ulteriori pochi incontri di laboratorio.
Ad oggi si svolge solo in ambito privato ma, visti i risultati e i risvolti teorici, sarebbe oltremodo interessante se si riuscisse a costituire un gruppo di vegetoterapeuti interessati a proseguire questa ricerca.

Giuseppe Ciardiello





giovedì 5 gennaio 2017

Sistema funzionale e dimensioni psicologiche


Anche in Vegetoterapia (Vgt) è piuttosto frequente l'uso del termine funzionale.

Spesso è usato genericamente riferendosi al controllo/conflitto di istanze psicologiche (... la capacità di gestire funzionalmente la propria corazza) o alla loro integrazione (identità funzionale) o alla meccanica distribuzione dell'energia (...una distribuzione più funzionale della libido).
Gli stessi processi cerebrali, normalmente poco considerati in Vgt perché assimilati ai movimenti corporei (vedi l'identità funzionale), vengono considerati un attributo del pensiero funzionale lasciando un debito esplicativo nei confronti del pensiero che funzionale non è; ci si potrebbe chiedere se un processo cerebrale elementare, inserito in un complesso mentale con esito disfunzionale, sarebbe a sua volta disfunzionale? O, al contrario, un organo disfunzionale rende l'intero sistema disfunzionale o l'adattamento complessivo rimane funzionale?


Mancando di una chiarificazione, il normale uso del termine funzionale sembra riferirsi, da un lato, al migliore adattamento contestuale, senza però specificare se il riferimento è agli elementi che compongono il sistema o al sistema nel suo complesso e, dall'altro, fa riferimento alle funzioni che gli elementi svolgono e, si presume, in relazione agli organi o agli elementi costituenti.

In ambedue i casi non sembra possibile prescindere dall'obiettivo che il sistema persegue.


Il problema non è di poco conto perché l'intelligenza di un sistema, che si realizza nell'adattamento alla realtà, consiste nell'usare gli elementi costitutivi in funzione dell'obiettivo. Gli elementi saranno funzionali se contribuiscono alla realizzazione dell'obiettivo dell'intero sistema il quale, a sua volta, sarà un sistema funzionale.

Ciò vuol dire che, per definire la funzionalità di un sistema, è necessario conoscerne l'obiettivo.


Guardando da vicino questo termine così semplicisticamente usato in ogni ambito, il dubbio che possiamo assumere è che nelle intenzioni di Reich scienziato ci fosse quella di un suo uso generalizzato.

Contemporaneo di Reich (24 marzo 1897; 3 novembre 1957), Anochin Pëtr Kuzmič (14 gennaio 1898; 6 marzo 1974) si occupava di fisiologia e nello studio dell'arco riflesso definì il sistema funzionale.


Nella sua definizione il termine funzionale designa processi complessi capaci di autocorreggersi in relazione al contesto.
Il sistema funzionale di Anochin inquadra le singole risposte fisiologiche e comportamentali in un più ampio contesto funzionale collegando l’input e l’output. Esso è uno schema operativo che descrive, a partire dall’arco riflesso, il processo generativo di atti fisiologici e comportamentali. Esso è costituito a livello cerebrale da:
  1. Una sintesi di afferenze sensoriali (vie nervose afferenti 
  2. Una presa di decisione 
  3. Una programmazione della attività periferica sia neurovegetativa che senso-motoria, che possono costituire l’impalcatura dell’azione 
  4. La realizzazione dell’azione programmata attraverso vie nervose efferenti che stimolano l’attività motoria e secretoria di muscoli e ghiandole 
  5. La verifica della corretta esecuzione del programma attraverso re-afferentazioni neurologiche di ritorno (feedback).

  
Un sistema funzionale è un sistema di coordinamento applicabile ai singoli apparati fisiologici (es. sistema cardiocircolatorio, respiratori ecc.), a “più apparati” coordinati tra loro e ad azioni (la cui componente strutturale è costituita dall’attività muscolare-motoria vegetativa). Il sistema funzionale costituisce l’impalcatura di contesti funzionali complessi che, per praticità, chiamiamo “psicologici”. Secondo questa ottica l’Io è un sistema funzionale sovraimposto a tutte le funzioni dell’individuo. Esso svolge la sua attività attraverso complessi ed articolati rapporti con i sistemi funzionali dell’organismo ed i loro sistemi di coordinazione. Rispetto al modello di Anochin, l’Io, in quanto sistema funzionale integrato, attraverso la sintesi integrata delle afferenze sensoriali, presenta il fenomeno della coscienza (autoconsapevolezza) che genera la comparsa della dimensione psicologica. Spesso succede che, ponendo attenzione alla base neurologica (l’equivalente delle corde di una chitarra nell’esempio del rapporto struttura-funzionale), non si pone abbastanza attenzione al fatto che la dimensione psicologica è presente in ogni atto percettivo, poiché esso implica una operazione di lettura di un evento da parte di un soggetto.


 Da: (Ruggieri, Vezio, “Riflessioni psicofisiologiche su L’Epistemologia romantica di Christian Rittelmeyer,”, in Politecnico le scienze, le arti; Numero 1-3 Anno 2012, Alpes ed.). Nota al Sistema Funzionale di Anochin.(Anochin, P. K., Biologia e neurofisiologia del riflesso condizionato, Bulzoni, Roma, 1975)

Le note di Ruggieri rendono più comprensibile il termine funzionale riconducendo tale definizione ai sistemi complessi che a) cercano di adattarsi all'ambiente e b) rimangono funzionali anche quando c'è un deficit di elementi e così c) realizzano un nuovo adattamento. 

Possiamo affermare che un sistema è funzionale quando realizza compiutamente l'obiettivo per cui è stato realizzato.

Analogamente, un elemento del sistema è funzionale quando svolge compiutamente la funzione per cui è realizzato.

Il termine compiutamente non può che prevedere un range, tra un minimo e massimo, all'interno del quale il funzionamento dell'elemento non pregiudica la realizzazione dell'obiettivo. 
Da quest'ottica il pensiero è a) sempre funzionale (non smette di esserlo solo perchè non piace), b) dipende dal contesto (la relazione) e c) dà luogo a quella funzione particolare, riconducibile alla coscienza, capace di generare la dimensione psicologica (DP)
La DP sarà la modalità soggettiva e personale che le persone adottano nel loro rapporto specifico con la realtà.

Le DP, come prodotto della funzione della coscienza, saranno sempre funzionali perchè corrispondenti agli elementi che il sistema "Io" utilizza per il perseguimento degli obiettivi relazionali.

La valutazione della loro funzionalità sarà sempre soggettiva perchè sarà corrispondente al range che l'Io stesso avrà stabilito di tollerare in funzione del perseguimento dell'obiettivo finale.

Per esempio, la dimensione dell'equilibrio nel Disturbo Panico, si presenta sia come dimensione psicologica (equilibrio psicologico) sia come dimensione corporea (controllo equilibrato del proprio corpo in relazione) sia come dimensione neurologica (controllo dell'equilibrio fisico). 

In momenti di crisi l'Io perde la capacità di controllare la propria integrità e ciò si manifesta sia a livello fisico che psichico.

La non integrazione di quei momenti non è riconosciuta in quanto tale ma vissuta come disintegrazione. 

Riconoscendo tale DP nel panico diventa possibile pensare un intervento terapeutico che preveda una reintegrazione degli elementi costituenti (cognitivi, relazionali e fisico corporei) agendo sia con metodi cognitivi, sia comportamentali sia corporei. In tal modo l'intervento diventerebbe un'esperienza e si caratterizzerebbe dell'aspetto relazionale.

Ciò varrebbe per tutti i disturbi in quanto ogni disturbo è relazionale e mette in campo insiemi di DP che l'Io utilizza come elementi più o meno funzionali.
Le diverse DP compongono le persone e le caratterizzano nelle loro scelte e nel modo di leggere e costruire la realtà; sono come capi d'abbigliamento che si è imparato a indossare nel corso della propria esistenza, dal concepimento all'età adulta.
Corrispondono alla storia relazionale di ognuno costruitasi e confermatasi in tutte le relazioni.
Sono gli abiti nei quali ci si sente a proprio agio, quelli che con più dimestichezza si è imparato ad indossare in momenti specifici e particolari e quelli che si sceglie d'indossare a seconda delle relazioni e dei contesti con cui ci si confronta.

Le DP caratterizzano le persone nelle relazioni normali e in quelle disturbate e le corrispondenti modalità interattive saranno indicative dei tratti di personalità.

Da questo punto di vista le DP possono essere considerate elementi sovradeterminati rispetto alle personalità nel senso che, ogni personalità, darà la propria impronta alla dimensione rappresentata nel comportamento agito.

Le DP sono allora anche gli elementi costituenti del sistema Io e, pertanto, sono sempre funzionali alla realizzazione di un certo tipo di personalità.
La disfunzione potrà essere avvertita solo al momento della rottura collusiva; momento in cui le persone avvertono una distanza tra l'obiettivo comportamentale e l'agito. Comprensione che può essere resa agendo sulle DP nelle loro espressioni metaforiche (cognitive e corporee).
Così, una volta individuate le DP di cui una persona si avvale, l'indagine corporea e verbale metterà a confronto la persona con le proprie modalità di realizzazione delle stesse DP favorendone la disamina, la rielaborazione, la ricostruzione o la sostituzione.



Giuseppe Ciardiello




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