domenica 25 marzo 2018

Sessualità e amore: bisogni e giochi possibili



I giochi dell’amore: elaborazione dell’intervento svoltosi a Napoli il 18 marzo 2018. All’evento eravamo presenti, oltre all’organizzatrice dr.ssa Rosa Albano, il dr. Roberto Cavaliere e il sottoscritto, curatore di questo blog, dr. Giuseppe Ciardiello.

Tengo molto al tema trattato che è relativo alla violenza nelle cose d’amore.
Il punto è che, alla fine di ogni intervento di questo tipo, ho sempre l’impressione che non si sia riusciti a toccare i punti essenziali, quelli capaci di rappresentare la linea di demarcazione tra violenza, sopraffazione e amore. Allora ho bisogno di ritornare sui temi trattati cercando, con un ripensamento dell’incontro, fatto in solitudine, di rendermi più chiaro l’ambito trattato.
Lo ripropongo sul blog offrendolo come stimolo ad ulteriori diverse osservazioni così che i prossimi incontri, se ci saranno, saranno più immediatamente esplicativi delle diverse idee che si incontrano su questo tema così caldo e intenso.

L’amore



L’amore è un sentimento che nasce naturalmente da bisogni relazionali perché siamo esseri nati da un processo relazionale, in un incontro relazionale, in un momento di esplosione relazionale.

Questa natura abbaglia e confonde!

Uno dei bisogni essenziali della nostra esistenza, oltre al mangiare, bere e dormire, è il fare bene all’amore. Eppure ogni essere umano, pur consapevole di questa verità, mentre per mangiare, bere e dormire impegna la maggior parte della vita e dell’energia fisica e mentale, per fare bene l’amore si affida al caso o all’intuito o alla buona sorte o a nozioni tratte dalla pratica. Si ha  difficoltà a confidarsi, a consigliarsi, a raccontarsi la gioia di un orgasmo, il piacere di una notte d’amore.

In questi impegni essenziali per la vita si è tutti ugualmente diversi e, come i ciottoli di un fiume, ognuno conserva e agisce una diversità che lo caratterizza in tutti gli aspetti automatici, sia biologici che mentali (Gazzaniga, 2013). E' proprio questo modo di essere diversi, molto personale e soggettivo, che ci rende uguali e ciò significa che il nostro cervello organizza ed è strutturalmente organizzato da processi capaci di produrre effetti mentali in modo identico in ogni essere umano. Questo vale per tutti gli esseri! Dal mondo vegetale in poi, tutti gli esseri si differenziano per gli effetti che queste strutture, tutte uguali, riproducono.

Questa vita vissuta in automatico ci rende inconsapevolmente visibili agli altri differenziando quei tratti che rendono unici e che altrimenti, se così non fosse, confonderebbero le diverse identità uniformando l’origine culturale, familiare, di gruppo e di provenienza di ognuno.

L’uguaglianza e la diversità, o per meglio dire l’essere ugualmente diversi, è una caratteristica naturale e appartiene alla natura molto più di quanto si possa immaginare.
Si nasce uguali, tutti allo stesso modo, con lo stesso corredo genetico e con le stesse competenze maturate nell’arco della gestazione. Eppure, si è tutti ugualmente diversi come le tegole di un tetto, gli acini di un grappolo d’uva, le ciliege, le corolle delle margherite, i gusci svuotati dei ricci di mare… 

In natura tutto si somiglia e si replica diversificandosi in individui che, in quanto tali, sanciscono contemporaneamente la differenza e l’appartenenza. Si appartiene (a un gruppo, a un’istituzione, a una famiglia ecc.) in quanto uguali ma ci si riconosce perché diversi.

I neuroni specchio

Alla nascita si è composti da organi e funzioni massive che necessitano di modulazione e calibrazione relazionale. Per questo la natura ci ha forniti di sistemi capaci di produrre la comprensione delle differenze e formulare pensieri, idee e costrutti logici. Esistono neuroni, nel nostro sistema nervoso centrale, capaci di attivarsi come se fossero sollecitati da ciò che si osserva. Ciò permette di riprodurre configurazioni nervose corrispondenti a quelle che si sarebbero attivate se fossimo stati noi, in prima persona, a compiere quelle azioni. Tale configurazione è come un’eco che permette di capire lo svolgersi dell’azione (Rizzolatti, Vozza, 2008)

Ma capire lo svolgimento di un’azione non ne comporta necessariamente la comprensione. Possiamo capire che alcune persone stanno ridendo ma per provare la stessa emozione, e comprenderla nel senso di poterla spiegare e raccontare come un evento significativo, è necessario ricostruire un senso emotivo che è specifico per ogni occasione.


Da questo punto di vista è possibile che i neuroni specchio da soli rendano comprensibili i bisogni ma non i desideri che attengono a stati e livelli diversi e per la cui formazione partecipa la fantasia e l’immaginazione.




Come nell’amore e nel sesso!

E qual’è la differenza? Semplice: se si ha bisogno di nutrirsi, di riempire lo stomaco, per cui qualsiasi alimento va bene, si è in presenza di un bisogno. Se invece c’è necessità di una cena romantica, a lume di candela, si può dire che questo sia un desiderio.

Questo ci fa dire che la ‘scopata’ non appartiene all’amore… a meno che il bisogno di scopare non si è trasformato in desiderio nel crogiolo della condivisione fantasmatica di coppia.

Ma se questa fantasia è individuale e si impone nella dinamica relazionale così che la reciprocità è una finta o una forzatura, allora si è davanti ad un sopruso, al rischio di una manipolazione, di una sopraffazione, forse anche inconsapevole ma non per questo giustificabile.

Perché anche nei giochi dell’amore si è tutti ugualmente diversi e questa diversità impone la condivisione delle fantasie e la co-costruzione di storie partecipate. Fantasie costruite insieme e modulate dai reciproci bisogni e desideri.
Quando invece si realizza la fantasia di uno solo degli attori in gioco, e anche se questa fantasia si realizza con la partecipazione dell’altro che la consente, la tollera o la permette, di fatto resta un abuso perché rimane un agito di coppia dove le dimensioni psicologiche attivate restano confuse e non permettono una chiarificazione integrativa.

Non permettono il sentimento dell’amore!

Le emozioni

Tutta la natura umana procede per integrazioni e differenziazioni. Le stesse emozioni che albergano nel corpo alla nascita sono una serie di sensazioni gratificanti e afflittive. Nel corso del tempo si impara a riconoscerle e a dargli un nome così da potersi comunicare ciò che si suscita reciprocamente.

Spesso si rimane poco curiosi di queste cose accontentandosi di termini generici come quando tuttto confluisce nel termine emozione.  Mi sono emozionato vedendo un film, mi sono emozionato alla partita, mi provochi un’emozione profonda…

Tutte le emozioni possono essere nominate, hanno sempre un nome anche se è vero che possiamo viverne di talmente confuse da non poterle distinguere. A volte la coloritura è imprecisa e può avvalersi di sensi e significati diversi, come nel caso della gelosia e dell’invidia o come nel caso della rabbia e della collera, dell’odio e del rancore. Ma un nome ce l’hanno sempre.

Anche la violenza spesso non si capisce perché si è confusi nel dargli un nome.

Non si conosce la differenza tra La violenza, la passione, la sensualità, l’amore, l’amicizia, l’aggressività. Ogni espressione veemente rischia di essere interpretata come violenza così come ogni atteggiamento violento, di possesso, isolamento, sopraffazione, rischia di essere interpretato come un atto di desiderio e di passione.

Forse questo accade perché si è troppo distratti per occuparci di quello che accade nell’intimità del rapporto. Si è talmente presi dal passato e dal futuro che ogni elemento del presente, per diventare degno di attenzione, deve appartenere ai tempi del passato.

Forse, come dicono i buddisti, è veramente questa assenza al momento presente a destinarci ad una presenza fantasticata in cui si vive alla costante presenza di oggetti non reali, costruiti solo nella mente e che, manipolati adeguatamente, possono renderci vittime anche consenzienti della violenza altrui. Bisogni di riscatto del passato e desideri di riparazione del futuro vengono usati come occhiali capaci di dare un colore allettante alla vita. Solo che spesso non ci si accorge di indossarli o ci se ne dimentica perché, come lenti a contatto, sono diventati parti di noi.

Così si diventa oggetti manipolabili incapaci di vedere che la realtà è diversa dalla nostra speranza, dai nostri bisogni e desideri e ci si distrae dalla parte reale di sé perdendo il senso di appartenere a sé stessi.

Eppure è questo senso di appartenere a sé stessi che rende la vita degna di essere vissuta.
Solo che questa dimensione, come il rispetto di sé, la dignità, l’amore di sé non sono strutture o organi del nostro corpo ma sono funzioni che esistono solo quando vengono svolte, esercitate ed agite.
Quando queste funzioni non vengono esercitate semplicemente smettono di esistere… e noi con loro!

La proiezione

Quando il mondo interno diventa così attraente perché fatto di bisogni, rende anche un cattivo servizio al fenomeno della proiezione.

Tale funzione, al pari delle altre, deriva dalla biologia del nostro organismo come quando siamo in grado di proiettare alla periferia del corpo sensazioni che costruiamo a livello centrale (immaginazione e fantasie). Un semplice esempio è dato dalle persone affette da cecità che proiettano la capacità di vedere sui polpastrelli delle proprie dita o addirittura sulla punta di un bastone.

L’immaginazione e la fantasia sono funzioni che si avvalgono delle funzioni emotive. Come accennato più sopra parlando dei neuroni specchio, le emozioni contribuiscono a dare senso alle immagini e alle azioni umane che, alla luce della modulazione emozionale, diventano soggettivamente comprensibili e si possono comprendere.

Si può dire che tutti gli stimoli sono emotigeni nel senso che, quando è necessario interpretare uno stimolo come per esempio un urlo, un rumore improvviso, uno scricchiolio nel buio di una strada, di fatto lo si fa a seconda dell’emozione che si associa in automatico a quegli eventi. Perciò, se nella storia personale le urla si sono associate alla violenza, ogni volta che sentiamo un urlo è possibile che si risvegli in noi anche il timore che la violenza sollecita. E quando queste associazioni non sono comprese ci rendono facilmente manipolabili.
Perciò vivere di bisogni, e non riconoscere gli automatismi che ci contraddistinguono, rischia di falsare le relazioni e di mettere incondizionatamente in mano ad altri la nostra felicità.

Le persone abusanti sono acute e molto bravi nell’individuare fin dai primi incontri le potenziali vittime intuendo subito quali sono i bisogni essenziali di queste persone e usando la loro emotività per manipolarli (Heryigoien, 2005, Filippini, 2005).
Smettere di giustificarsi, finalmente arrabbiarsi e, riconoscendosi vittima di un sortilegio relazionale, accettare di farsi aiutare da chi non è direttamente coinvolto, sono le strategie suggerite da Herigoyen nel suo bel libro con cui mostra i modi diretti e indiretti con cui fin troppo spesso ci si lascia sopraffare.


Disambiguarsi

Si può venire fuori dall’ambiguità quando impariamo a leggere i messaggi sia verbali che quelli non verbali. Come dobbiamo imparare a distinguere le emozioni, allo stesso modo bisogna imparare a distinguere, e quindi a leggere, i messaggi che i corpi lanciano. Perché non ci sia confusione né ambiguità sia il corpo che le parole devono procedere con lo stesso ritmo, lo stesso timbro, la stessa vibrazione.
I gesti d’amore si rivelano nel sostegno, nella cura, nella condivisione, nell’appoggio, nell’affidarsi, nel chiedere, nello scambio, nella ricerca, nella proposta dei giochi, nella loro condivisione, nel rispetto delle regole, nel loro svolgersi, nel donare, nel passeggiare, nell’assumere un aspetto e un’espressione per ogni emozione…

Rispettare/si è guardarsi reciprocamente negli occhi affermando sé stessi e, riconoscendo la diversità dell’altro, essere consapevoli del fatto che: la differenza più grande tra esseri umani, quella che una volta accettata ci consente di accettare qualsiasi altra differenza umana riconoscendoci ugualmente diversi, è quella tra maschi e femmine, uomini e donne, realtà maschile e realtà femminile.

Bibliografia

S. Filippini, Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia”, FrancoAngeli, 2005.

M., Gazzaniga, “Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio”, Codice ed., 2013.

M. F. Hirigoyen, “Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro”, Saggi Mondadori, 2015.


G. Rizzolatti, L. Vozza, “Nella mente degli altri”, Zanichelli, 2008.


Giuseppe Ciardiello

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