venerdì 22 gennaio 2016

La dimensione corporea nella prevenzione e nella cura del Disturbo Panico (DAP).


Il disturbo  di panico nella relazione di cura. Dalla diagnosi alla psicoterapia.


 

                                                                                  Dr. Giuseppe Ciardiello[1]

 
Si è soliti leggere i disturbi ansiosi a partire delle manifestazioni sintomatiche ma, coloro che soffrono di questi disturbi, sanno meglio degli operatori che il panico, l’ansia, il disturbo fobico non possono essere ricondotti alle sole manifestazioni sintomatiche.

Come il congelamento in risposta ad una minaccia travolgente (Traumi e shok emotivi, Levine P.), corrisponde ad uno stato mentale specifico, anche le altre reazioni espressivo comportamentali sono attivate da dinamiche particolari che, ad un’accurata lettura diagnostica, si rivelano specifiche e soggettive.

 

Nel 2003 l’APA (Associazione Americana degli Psicologi) definì la diagnosi psicologica come consistente nella valutazione dei comportamenti e dei processi mentali e affettivi anormali, che risultano disadattivi e/o fonte di sofferenza attraverso la loro classificazione in un sistema diagnostico riconosciuto e l’individuazione dei meccanismi e dei fattori psicologici che li hanno originati e che li mantengono. Purtroppo ad oggi, pur riconoscendo che il panico ha una determinazione multifattoriale, biologica, genetica, cognitiva e dinamica, l’approccio d’elezione rimane quello chimico/medico che riconosce, nell’eliminazione dei sintomi, l’unico scopo perseguibile.

 

Questa risposta specialistica è possibile che risponda ad una domanda; ma può anche darsi che la provochi.

 

Un disturbo così subdolo, perché improvviso e ingiustificato, così anonimo, perché di difficile individuazione diagnostica, così inspiegabile, perché non corrisponde a traumi evidenti e storicamente determinati, si presta facilmente alle profferte e alle speranze di risoluzione miracolosa.

Come psicologi, l’adesione a progetti che si basano unicamente su diagnosi di sede o descrittiva, rendono difficile il riconoscimento di prassi che attengono all’effettivo progetto di cura; da un punto di vista psicoterapeutico è necessaria la formulazione di un progetto che, guardando alla persona nell’intero arco vitale e alle fasi della sua evoluzione, e a partire dai momenti di crisi, sappia ipotizzare una costruzione fenomenologica dei processi eziologici.

 

Un mito molto suggestivo, riportato da Igino, uno scrittore romano del II secolo d. C., ci parla di una dea molto singolare: Cura. Secondo il mito, mentre Cura stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; ne raccolse un po’ e cominciò a dargli forma. Era intenta ad osservare che cosa aveva fatto, quando intervenne Giove. Cura lo pregò di dare lo spirito alla forma: Giove acconsentì volentieri e la forma divenne un uomo. Cura allora pretese di imporre il proprio nome alla forma umana, ma Giove non acconsentì e volle che fosse imposto il proprio. I due disputavano sul nome, quando intervenne anche la Terra, reclamando che fosse imposto il proprio nome, perché lei aveva dato alla forma una parte di se stessa. I contendenti elessero Saturno a giudice, che emise la seguente salomonica sentenza: “Tu, Giove, hai dato lo spirito e al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra hai dato il corpo, e riceverai il corpo. Ma fu Cura che per prima diede forma a questo essere, e per questo fin che vive essa lo possederà”. (Sandro Spinsanti, presentazione al volume di Catello Parmentola, 2003 “Prendersi cura; il soggetto psicologico e il ‘senso dell’Altro’ tra clinica e sentimento”; Giuffré ed.) Vedi: Il disturbo da attacchi di panico 

 

Prendersi cura è un processo che guarda all’intera persona come soggetto, e non oggetto, della cura stessa. Il portatore di disturbo panico va salvaguardato nella sua complessità e nella sua variabilità di espressioni che si rivelano essere eventi sia relazionali sia corporei. È in funzione di queste due dimensioni, e in relazione ad esse, che vanno individuate le strategie di comprensione e cura.

 

Il presente seminario prende le mosse da queste considerazioni per arrivare a formulare un’ipotesi di lettura delle dimensioni che prendono la forma di comportamenti emessi nel disturbo panico. Una loro corretta lettura può condurre all’individuazione di dimensioni compensative e alle relative strategie che, riproposte e agite nello spazio terapeutico, possono contribuire alla risoluzione del disturbo stesso.



[1] Psicologo/psicoterapeuta, docente e analista/didatta S.I.A.R., consulente LIDAP per il Lazio.

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