domenica 25 luglio 2021

Comunicazione di Sé

 

Narrarsi e raccontarsi

Nello spazio del setting analitico la Vgt privilegia la lettura corporea al racconto verbale.

Questa preferenza non vuole significare che il comportamento verbale non sia considerato per niente.

Al contrario: si considera che, per qualunque narrazione di sé venga fatta in terapia, le emozioni ‘colorano’ le parole in modo specifico. Di conseguenza proprio quella coloritura emergente dalle emozioni, relative a  quello specifico contesto relazionale, sarà necessario leggere come se avesse una sua grammatica e sintassi.

E come le parole, anche gli ‘agiti’ (i comportamenti agiti) assumono gli stessi colori.

Nella consapevolezza dei pazienti che vogliono realizzare un desiderio, devono essere messi in luce i bisogni che reggono l’incontro e che si vestono, camuffandosi anch’essi, dell’arcobaleno dei colori emozionali.

In pratica in Vgt le parole sono viste come un altro modo per narrarsi, come un ulteriore comportamento comunicativo di tipo corporeo che, in pratica, non è dissimile da quello respiratorio o deambulatorio o gestuale.

Nel nostro contesto analitico le parole sono come perline infilate in una collana che viene composta e ricomposta ad ogni incontro per cogliere l’accezione di quel  un senso relazionale implicito specifico.

Per questo scopo sono usati tutti gli strumenti a disposizione e quindi gli spazi tra le perline, le perline stesse, la scelta della loro alternanza, la lunghezza della collana e tutti gli altri elementi contestuali considerati necessari per la realizzazione dell’effetto finale.

Fin quasi dall’inizio della sua attività di vegeto terapeuta, Navarro esprimeva la bontà di un intervento capace di curarsi anche dell’aspetto paraverbale. Rifacendosi però un po’ troppo fedelmente alle espressioni di Reich dell’’Analisi del Carattere’, nelle sue osservazioni mancano note relative alla risposta del terapeuta: il controtransfert. Sembra quasi che il comportamento del terapeuta sia dato per, implicitamente, sempre corretto a patto che venga considerato l’aspetto paraverbale dello strumento comunicativo.

Nella realtà, e restando ancora sulla metafora della collana, il paziente non vuole semplicemente sapere come ha infilato le perline e con quale e quanta maestria l’abbia fatto. Vuole anche sapere se il suo regalo è apprezzato, se è piaciuto e se lui è quindi capace di produrre qualcosa per sostenere l’intimità della relazione. Se è abile nell’approccio relazionale e se ha imparato a curarsi di sé e dell’altro nei modi dovuti (necessari nella cultura di appartenenza).

In pratica, nella risposta del terapeuta è in gioco la validazione del senso d’identità del paziente e il suo senso di Sé.

L’apprezzamento e le considerazioni (le risposte) che il paziente chiede in formati impliciti al terapeuta sulla propria narrazione (circa la sua vita), non possono essere espresse verbalmente per il motivo molto semplice che la narrazione non è una collana. Non si può confessargli apertamente della noia o dell’interesse che la sua narrazione ha suscitato, della paura che ha smosso o del piacere narcisistico che si è colto o della speranza che ha suscitato e delle fantasie prodotte e del loro potenziale energetico emozionale generato. Queste risposte rientrano nel catalogo del ‘personale’ del terapeuta e vengono di norma taciute. Anche se, una volta represse, non è che questi risvolti siano cancellati. Essi ricicciano nascondendosi negli ‘agiti’ del terapeuta, nei suoi modi di proporre l’acting, nei modi che ha di avvicinarsi o allontanarsi dal paziente, dalle parafrasi e intercalari usati nelle risposte o dal modo che avrà di usare un massaggio prima dell’esecuzione dell’acting successivo o nei diversi messaggi impliciti che ‘fantastica’ d’inviare per motivi del tutto diversi dai loro veri significati.

Ogni intervento, una volta effettuato, dev’essere sottoposto a revisione: vanno ricercati tanto i riflessi del controtransfert inevitabile quanto le espressioni di controtransfert più massicce. Senza eccezioni, il terapeuta scoprirà almeno un aspetto dell’intervento che non lo soddisfa. Potrebbe trattarsi di qualcosa che ha omesso, odi qualcosa che non ha espresso nella maniera giusta. Potrebbe essere una parola scelta male, o un segmento di materiale interpretato in modo falso. Potrebbe darsi che inavvertitamente abbia aggiunto un’osservazione personale o una parte di materiale che il paziente non aveva comunicato. Potrebbe anche aver fatto un intervento troppo lungo, oppure troppo breve.’ (R. Langs, ‘Interazioni. L’universo del transfret e del controtransfert’, Armando, 1988).

Nell’ambito del setting vegetoterapeutico qualunque tipo di agito è da considerarsi un atto comunicativo per cui ogni elemento, transferale o controtransferale, implicito o esplicito, è comunicazione. Lo sono le parole e lo è il comportamento quando asseconda il desiderio di concludere in anticipo un acting oppure quello che insiste nel proseguimento dello stesso, anche quando si manifestano difficoltà e sofferenza. Lo è quando si propone un acting e quando non lo si propone perché si decide per altro. Lo è ogni decisione presa o non presa!

Le risposte comportamentali che stanno dietro gli atteggiamenti del terapeuta sono evidentissime per i pazienti. Sono specialmente evidenti  nel modo in cui i terapeuti propongono gli acting, di fase e di livello, nei ‘momenti di passaggio’. Nel vissuto di ‘transito’, da un acting all’altro, c’è il modo con cui il terapeuta valuta il tipo di acting, la modalità con cui proporlo e, nelle scansioni temporali con cui proporlo, si nasconde tutto il corpo delle dimensioni psicologiche che il terapeuta vive nei confronti del paziente.

All’epoca del cenno che andremo a leggere di Navarro, sull’uso delle parole in terapia, si era all’inizio dell’applicazione generalizzata della sua sistematizzazione della Vgt. Forse non era ancora maturata l’idea di dover fare attenzione, oltre che alle parole e agli agiti del transfert, anche al verbale e al paraverbale del terapeuta come aspetti che caratterizzavano il suo, di  ‘agito’?

Può darsi!

Però il fatto è che nel corso degli anni in vegetoterapia questa mancanza non è stata colmata e il controtransfert, pur ammesso, non sempre è sempre stato considerato agire nel setting allo stesso modo del transfert. La Vgt sembra assumere un valore oggettivamente miracolo indipendentemente dal terapeuta.

In realtà, come in ogni psicoterapia, anche in Vgt ambedue gli eventi, transfert e e controtransfert,  sono eventi di processo corporeo che emergono negli agiti dei componenti la coppia terapeutica, piuttosto che nelle parole, nel momento in cui queste due persone interagiscono. Né prima né dopo.

Così contestualizzati diventa evidente che ambedue i processi sono imprevedibili. Ma appare anche evidente che, proprio perché non possono essere controllati, si debba essere motivati ad esercitarsi alla loro costante osservazione in modo da diventarne sempre più consapevoli e presenti al loro manifestarsi.

Giuseppe Ciardiello








martedì 20 luglio 2021

Sesso Amore Perversione in un articolo di Mirella Origlia

 

‘Amore e perversione’ di Mirella Origlia.

 

Periodicamente riprende lo scaricabarile, tra scuola, educatori, genitori e agenzie sociali, su chi dovrebbe occuparsi dell’educazione sessuale dei giovani.

Le ricorrenze storiche di quest’argomento si sono presentate come delle tappe sociali in cui si è realizzata, con molta fatica, quella libertà di divorzio, di aborto e di espressione della propria identità sessuale che però, con ancora molto vigore, le tendenze distorte dell’umanità cercano di cancellare.

L’evento Covid19 ha esasperato i conflitti evidenti e latenti.

Laddove ci si era abituati a trascorrere la maggior parte del tempo della propria giornata fuori casa, e ciò vale per le donne e per gli uomini, oggi ci si accorge che la condivisione forzata degli spazi familiari li rende meno intimi o troppo intimi facendoli diventare asfissianti. Inoltre, abituati alla più moderna tecnologia e alla crescente richiesta attentiva, in spazi temporali sempre più ristretti, richieste che diventano sempre più invasive e che annullano i limiti degli spazi personali, si diventa sempre più ‘bionici’ nel senso del dipendere cognitivamente e intellettualmente dalle macchine costruite.

Con quest’andazzo si sta trasferendo nel mondo virtuale anche il piacere, e la sessualità sta perdendo le sue caratteristiche di aggressività (da adgredior), affermatività, carnalità, intimità, modularità e delicatezza.

In questi quasi due anni di pandemia, le coppie che non hanno più rapporti sessuali sono aumentate del 38% (Ordine Psicologi Lazio: Webinar del 18/06/2021 tenuto da Valentina Cosmi dal titolo ‘Sessualità nella terapia di coppia’) e i giovani e giovanissimi (12/14 anni) che fanno uso di pornografia e premono reciprocamente per avere foto di nudo, sono passati dal 6% del 2015 al 18% del 2021 (fonte RAI Gabanelli, in coda al tg7 delle 20.00 del 19/07/2021).

Allarmati, si torna a parlare dell’educazione sessuale e di chi dovrebbe occuparsene rischiando ancora e ancora di tornare a parlare del sesso degli angeli o dell’accoppiamento delle farfalle.

L’educazione sessuale dovrebbe definire il piacere sessuale e la gioia di viverlo. Dovrebbe spiegare come ottenere la completa soddisfazione sessuale e da cosa può dipendere la sua facilitazione o l’incapacità e/o impossibilità a realizzarlo. Dovrebbe raccontare quali sono le fasi evolutive fisiche e mentali attraversate da ogni singolo maschio e da ogni femmina. Ripeterne le similitudini e le differenze. Gli sviluppi psicologici che accompagnano le esperienze e che possono giustificare gli evitamenti e le facilitazioni.

Ai bambini e ai giovani interessa poco come si accoppiano gli animali mentre da subito gli interessano i risvolti del desiderio provato nei confronti delle persone di diverso genere e le motivazioni delle diverse risposte vissute e sperimentate.

Malgrado tutta questa necessità si avverte molta reticenza a parlare del sesso e finanche nei diversi movimenti reichiani questo tema sembra ormai in disuso. La materia sessuale sembra demandata solo agli specialisti della genitalizzazione. Perciò colpisce trovare, nel n.1 del 1982 della rivista ‘Energia Carattere e Società’, nella rivisitazione vegetoterapeutica della perversione, alcuni spunti importanti per una corretta definizione del sesso e della sessualità.

I lavori di Origlia suggeriscono molti altri spunti che sono anche più mirati alla corretta interpretazione ed esecuzione della Vegetoterapia (Vgt). Per esempio ci si può accorgere di quanto, pur utilizzando la Vgt, Origlia tiene in grande considerazione il dialogo all’interno del setting e all’espressione verbale anche dell’interpretazione, con l’accortezza però, di lasciare che sia il paziente a interpretare la propria esperienza.

Il vissuto indotto dall’acting, e sperimentato dal paziente, non è separato dalla propria ideazione che può essere una fantasia o un ricordo. È in tale situazione cognitiva che s'inserisce l’acting (esercizio di Vgt).

Ancora, l’acting non nasce dal vuoto del setting ma è proposto da una persona (il terapeuta) che, assumendosi la sua responsabilità, si concede anche licenze specifiche frutto di esperienza e di sapere personale. Gli acting pur essendo sempre gli stessi, possono essere eseguiti diversamente e, inoltre, possono essere anticipati e seguiti da ‘atti’ comportamentali veri e propri da parte del terapeuta. Atti che hanno un valore interpretativo cui il paziente potrà dare voce.

È ciò che accade quanto la terapeuta appoggia la mano del paziente sul proprio diaframma suggerendogli implicitamente un tocco ‘intimo’, nel senso di profondo. Un con-tatto con una diversa temperatura, un diverso ritmo (respiratorio), una diversa possibilità di toccarsi con le mani ma anche con l’alito, con il proprio respiro, intimo e personale perché leggero, profumato e soggettivo (pag. 34). È questo il caso in cui si può parlare di trasmissione energetica che dimostra che, per lavorare con l’energia organistica, non è sufficiente l’uso della Vgt.

Allo stesso modo il concetto dei blocchi energetici non rimandano necessariamente a un costrutto idraulico rappresentante una diga che impedisce il libero flusso di questo liquido energetico. I blocchi sono un innalzamento di tensione muscolare che, oltre a rendere meno sensibili perifericamente, rendono anche i movimenti meno fluidi e più meccanici. La tensione costantemente trattenuta, per paura, vergogna e altre emozioni, assume una modalità di scarica di tutto/niente. Quando ci sono blocchi muscolari/cognitivi alla libera espressione della propria umanità, l’aggressività diventa distruttiva trasformandosi in odio, livore, invidia, competizione, riscatto. Questa trasformazione si realizza con la modifica dei ritmi respiratori (pgg. 36/37).

Il plurale della frase che precede non è un refuso ma la considerazione del fatto che l’organismo umano non respira solo con i polmoni ma anche con la pelle e con tutti gli altri organi che, ritmicamente, col respiro cercano di armonizzarsi (… anche quello del pensiero).

In pratica, essere naturali significa cercare un equilibrio con la natura che siamo e che ci vive e che, specialmente nella pratica sessuale e nella sessualità, esprime il piacere e la gioia di vivere che si riduce, molto semplicemente, nel sapere come fare all’amore perché ‘fare l’amore fa bene all’amore’.

Giuseppe Ciardiello








martedì 13 luglio 2021

La bocca. Un oggetto ritrovato

 

Ho trovato alcuni vecchi numeri di ‘Energia Carattere e Società’ in cui ho scoperto che, fin dal nostro apparire, come cultori della materia Vegetoterapeutica, abbiamo insistito nel presentare argomenti sempre identici .

Forse per il bisogno di un’identità socialmente e scientificamente negata, abbiamo insistito a parlare di Energia, di Tratti Caratteriali, di Livelli Muscolari frammisti ad articoli che, almeno fino a tutti gli anni novanta, si occupavano della società nella quale si ipotizzavano gli stessi difetti di ‘circolazione energetica’ che si ipotizzavano nelle persone. Questo proponeva l’antico detto per cui, se vuoi cambiare la società devi cambiare te stesso.

Io credo che questo indirizzo, un po’ filosofico, un po’ mistico e un po’ scientifico, ci abbia distratti grossolanamente dalla relazione relegandoci ad un’osservazione esclusivamente intrasoggettiva che, almeno in alcuni gruppi, persevera ancora oggi.

Vorrei ripresentare alcuni articoli così che possano fungere da riferimento sia per posizioni abbandonate da noi stessi sia per posizioni che oggi vanno abbandonate perché terapeuticamente anguste.

I primi due articoli sono di due donne vissute in anni di formazione dei gruppi che si sono occupati di Vegetoterapia: Angela Russo e Giovanni D’Aci.  










Negli scritti dei cultori di Vegetoterapia si è sempre fatto riferimento al comportamento infantile quando si è reso necessario riferirsi ad una forza vitale, intrinseca all’individuo, che lo muoveva nei confronti della realtà. 

L’energia supposta è sempre stata vista come un fiume che, nell’incontro con i diversi ostacoli presentati dalla realtà, prendeva di conseguenza una forma di adattamento funzionale alla sua sopravvivenza. Questa forma era il carattere che era anche condizionato dal tipo di ostacoli incontrati. Questi ostacoli erano diversificati dal periodo dell’incontro perché ogni periodo storico individuale presentava un’erogeneicità differente. Così, se un ostacolo sociale si presentava nel periodo di preminenza orale o muscolare, non potendosi realizzare la naturale forma caratteriale, l’aspetto orale o muscolare prendeva una forma diversa dalla ‘normalità’ di sviluppo.

Al di là del fatto che i presupposti da cui si partiva non erano supportati da osservazioni controllate né da riferimenti scientifici adeguati, appariva evidente che si considerava esistente una normalità di riferimento che, in quanto tale, assumeva le caratteristiche dell’oggettività.

Forse era l’uso del termine ‘energia’ che, riferito al comportamento acquisito interattivamente, dava l’impressione di osservare oggettivamente (scientificamente) il comportamento.

In realtà non c’era e non c’è nessuna evidenza scientifica capace di dimostrare un legame, più o meno stretto, tra la mancanza di montata lattea e l’incapacità del futuro adulto di ‘nutrirsi’ adeguatamente delle opportunità che la realtà gli offre. Oppure tra l’incapacità di nutrire il figlio, da parte di una donna frustrata o arrabbiata o menomata, e la depressione del futuro uomo. Forse il legame c’è ma non dipende dal solo aspetto energetico genericamente inteso.

Oggi è necessario fornirsi di un quadro di riferimento più ampio per poter spiegare fenomeni sociali perché più ampio e dettagliato è l’assetto di discrimine e integrazione che la realtà scientifica ci impone.

Le osservazioni derivanti dalle neuroscienze e dalla materia quantistica se da un lato ci indicano la soggettività fenomenologica dei vissuti, dall’altro ci obbligano a smettere i panni dell’osservazione oggettiva dato che esiste solo una realtà soggettiva che deriva da una costante relazione ed interazione tra persone che assumono, l’uno per l’altro, senso e significato così da dare luogo alla nascita dei processi mentali. In pratica non esiste una realtà normale perché non esiste ‘il significato’ ma tanti significati diversi in relazione a interazioni diverse in momenti e stati diversi.

Allora le problematiche fin’ora definite ‘orali’, ‘oculari’ ecc., solitamente indicate come  ‘blocchi energetici’, vanno ridefinite come difficoltà relazionali che nello scambio interattivo trovano la loro definizione. Per la descrizione di questi aspetti interattivi è molto più utile l’utilizzo delle Dimensioni Psicologiche che sono in grado di cogliere tutti gli aspetti  comportamentali delle persone:  emotivi, cognitivi e corporei.

Se manca lo scambio relazionale, manca il comportamento e vengono a mancare anche il ‘lettore’ e ‘l’osservatore’: ‘Il ripensamento del mondo a cui ci forzano i quanti cambia i termini della questione. Se il mondo è relazione, se capiamo la realtà fisica in termini di fenomeni che si manifestano a sisemi fisici, allora non esiste descrizione del mondo dall’esterno. Le descrizioni del mondo possibili sono, in ultima analisi, tutte dal suo interno. (…) Se immaginiamo la totalità delle cose, stiamo immaginando di essere fuori dall’universo a guardare… Il punto di vista dall’esterno è un punto di vista che non c’è. Il mondo visto dal di fuori non esiste: esistono solo prospettive interne al mondo, parziali, chesi riflettono a vicenda. Il mondo è questo reciproco riflettersi di prospettive.’ ( Carlo Rovelli, ‘Helgoland’, Adelphi, 2020)







Giuseppe Ciardiello


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