La vegeoterapia
“Il concetto di embodiment
può erroneamente far pensare a una mente che preesiste al corpo e
successivamente se ne serve, abitandolo. In realtà mente e corpo sono due
livelli di descrizione di una stessa realtà che manifesta proprietà diverse a
seconda appunto del livello di descrizione prescelto e del linguaggio impiegato
per descriverla. Un pensiero o un’idea, una percezione o un’immagine mentale
non sono ovviamente né un muscolo né un neurone. Ma i loro contenuti sono
inconcepibili a prescindere dalla nostra situata corporeità.”
(“Lo schermo
empatico. Cinema e neuroscienze”. V. Gallese e M. Guerra,
RaffaelloCortinaEditore, 2015)
I sintomi che definiamo ansia,
panico e fobia, designano quindi un disturbo relazionale alle fonti del quale è
necessario risalire per comprendere il senso della disfunzione e per
organizzare, in maniera coerente, gli interventi necessari.
Pur essendo generalmente vero che
l’utilizzo di semplici esercizi respiratori hanno un effetto calmante, di fatto
non sono utilizzabili nei momenti di crisi di panico o di altre manifestazioni
ansiose dato che, l’effetto del disturbo, consiste proprio nella modifica dei
parametri vegetativi più automatici dell’organismo.
Da questo punto di vista non
bastano raccomandazioni e consigli per far fronte alle crisi d’ansia, di panico
e fobie. È necessario prevenire questi disturbi perché, una volta attivatisi, diventa
molto difficile contenerli e riportarli sotto la soglia critica senza agire un
intervento medico (intendo: senza l’uso di farmaci. Questa difficile ripresa
del controllo è quello che legittima l’interpretazione psichiatrica, anche se erroneamente
visto l’indirizzo esclusivamente sintomatico). La stessa prevenzione non può ridursi
alla precoce lettura delle avvisaglie perché la paura della paura è uno dei meccanismi più automatici che il
nostro organismo utilizza nella dinamica della sopravvivenza. Anche dopo una
sola volta, quest’automatismo interpretativo tiene ben lontani dal rischio di
ricadere nell’esperienza. Una volta attivatosi, questo meccanismo rende temuto tutto
quello che è spiacevole nel mondo che ci circonda, e quindi da evitare. Lo fa
in automatico e in una maniera così massiva e inconsapevole da formare la base
strutturante di alcune dinamiche comportamentali e arrivare anche a dare luogo
a credenze. Sembra che la stessa superstizione possa esservi ricondotta (Frith,
2009).
Prevenire, allora, non può che
voler dire curare e, nella relazione terapeutica, curare corrisponde
all’individuazione delle fasi e degli stadi che la relazione stessa attraversa
e, in questi parametri, agire comportamenti alternativi.
Una delle forme terapeutiche più
promettenti, per quanto riguarda questi disturbi, è la vegetoterapia che, fin
dai suoi esordi, è nata considerando l’intervento psicoterapeutico come
strumento di cura. Pur ereditando un approccio psicanalitico, perché allievo di
Freud, Reich si accorse presto dell’importanza di intervenire praticamente con i suoi pazienti e
cominciò a proporre agiti specifici, durante le sedute, che i pazienti dovevano
eseguire. L’esecuzione di questi agiti induceva vissuti analoghi, o simili, a
quelli che accompagnavano i disturbi e questa riedizione permetteva un
confronto dal quale si potevano dedurre spiegazioni dinamiche oppure
sperimentare programmi di comportamento alternativi.
Grazie agli autori succedutisi,
la vegetoterapia ha definito meglio il suo campo d’indagine ed è venuta
costituendosi con un suo metodo univoco e coerente (Mannella, 2014).
(La vegetoterapia) Come tecnica terapeutica si è sviluppata ideando acting il
più possibile simili a comportamenti primari. La logica che li sottende non è
l’abreazione, ma la fine modulazione del gesto che, agito con un movimento e un
ritmo congeniale alla necessità della persona (agente), permette la riedizione
di esperienze congelate nell’organismo. … La VGT ha intuito il modo per poter
proporre alle persone di ripercorrere metodicamente le esperienze che le hanno
formate tenendo presente che ogni esperienza coinvolge l’organismo complessivo
nell’espressione del suo aspetto comportamentale, cognitivo e biologico.
… Nell’ambito terapeutico della VGT si
realizza un dialogo primario non-verbale fatto di sensazioni e di ritmi, di
contrazioni e morbidezze che rimandano alle memorie implicite e ai primi
contatti non verbali, attivanti le parti profondamente radicate nella psiche
della persona.
(Ciardiello, 2012)
Fin dai suoi primi passi l’impianto
vegetoterapeutico vede nel corpo la riedizione della mente e nella relazione il
realizzarsi di strutture e forme tipicamente soggettive (vedi Analisi del carattere di Reich, 1933).
Gli acting sono agiti che veicolano
un’esperienza consapevole così da mettere sotto inchiesta il senso del proprio
vissuto (infatti, nell’intento di stimolare la consapevolezza, che non viene
esplicitamente raccomandata, ogni acting è indagato nei pensieri, nelle
sensazioni e nei sentimenti che l’accompagnano).
Per ogni momento terapeutico la
vegetoterapia si occupa di comprendere quali dimensioni psicologiche si sono
organizzate per quella persona, in quel momento, in quella situazione; cerca di
capirne le dinamiche relazionali, il senso della loro organizzazione
psicofisica, l’origine storico evolutiva e, alla fine, cerca d’individuare gli
acting opportuni per portare questi processi a consapevolezza e ad esame. In
tal modo il lavoro vegetoterapeutico si rivela essere fondamentalmente un
lavoro di decostruzione e ricostruzione dei vissuti relazionali, che non solo
procede per fasi soggettive ma, proponendosi esperienzialmente, prevede un
intervento interpretativo più sul versante dell’analogia che del simbolico. Le
cose sono più “come se” piuttosto che “è così!” cosa che rende
l’individuazione dell’acting adeguato più immediata e vicina al vissuto
emozional-cognitivo.
Queste premesse epistemiche hanno
permesso di considerare il panico come diverso dalle altre esperienze ansiose. È
stato possibile ricostruire una genesi specifica che lo individua come disturbo
relazionale e il cui esito insiste in dimensioni diverse da quelle degli altri
due disturbi (Ciardiello, 2013). La certezza che esistano complesse
configurazioni dimensionali specifiche, probabilmente ugualmente di tipo
relazionale, anche per l’ansia, che sia o meno da stress, e per le fobie, fa ben
sperare a proposito del fatto che anche l’apporto medicale riuscirà a
differenziarsi per questi disturbi e arrivi ad offrire una gamma di interventi più
specifici e mirati, ancorchè momentanei, per l’adeguato affiancamento all’intervento
privilegiato: la psicoterapia.
Giuseppe Ciardiello
Bibliografia
Ciardiello, 2012, http://www.analisi-reichiana.it/psicoterapiaanaliticareichiana/index.php/numero-1-96208/6-rivista/numero-2-2012/43-l-esperienza-della-vegetoterapia
Ciardiello, 2013, http://www.analisi-reichiana.it/psicoterapiaanaliticareichiana/index.php/numero-2/8-rivista/numero-2-2013/95-il-disturbo-di-attacco-di-panico
Ciardiello, 2015, http://www.analisi-reichiana.it/psicoterapiaanaliticareichiana/index.php/23-rivista/numero-2-2015/166-e-amore-cio-che-e-nel-tuo-cervello
Cipolletta, S., "Le dimensioni del movimento",
Guerini Ed., 2004.
Frith, C., “Inventare
la mente”, Raffaello Cortina Ed., 2009.
Infrasca, R., "Il disturbo da attacchi di panico",
FrancoAngeli Ed., 2006.
Liotti, G., “La
dimensione interpersonale della coscienza”, Carocci, 2009.
Mannella, M., “Wilhelm
Reich. Il dramma e il genio”, Alpes, 2014.
Maturana, H., F., Varela, "L'albero della conoscenza",
Garzanti, 1987.
Ruggieri, V. & Coll., (2011), Struttura dell’Io tra
soggettività e fisiologia corporea. Roma: EUR.
Nessun commento:
Posta un commento