martedì 19 marzo 2019

'La principessa che aveva fame d'amore', di Maria Chiara Gritti

Venerdi scorso, 15/03/2019, nella splendida cornice parmense del Palazzo Dalla Rosa Prati, la LIDAP, nelle persone di Alma Chiavarini e di Amalia Prunotto (Lega Italiana contro i Disturbi d'Ansia, d'Agorafobia e da Attacchi di Panico) si è fatta promotrice dell'iniziativa avente per oggetto la presentazione del libro “La principessa che aveva fame d’amore”.
Questa bella fiaba per adulti è opera di Maria Chiara Gritti e racconta per metafore le vicissitudini di una bambina che cerca, nei modi dettati dalla sua evoluzione, di venire a capo del suo bisogno d’amore.

Palazzo Dalla Rosa Prati - Parma
L'incontro si inserisce in un lavoro più ampio che prende il nome di "Amori 4.0" e che prevede manifestazioni analoghe in campo nazionale estendendosi nell’ulteriore progetto "Le ferite di Ercole" che prenderà in esame problematiche più prettamente maschili.
All'incontro hanno preso parte, oltre al sottoscritto, Samantha Vitale, della rete "Genitori 4.0", e  Paolo Migone, condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane.

‘Tempi duri per i troppo buoni’, recitava un detto di qualche anno fa. Oggi, la ‘love addiction’ rappresenta la condizione di generale dipendenza che le persone si trovano a vivere in condizioni di innamoramento anche degradato.
Anche la principessa protagonista del racconto vive una condizione simile.
Ereditando dai genitori l’incapacità di distinguere il guardare dal vedere le persone che le si rapportano, nel corso della sua evoluzione commette molti errori nella scelta degli uomini da amare.

Il corso del racconto si sviluppa intorno a dimensioni sensoriali e fisiche che prendono la forma di pani utili per il nutrimento di emozioni particolari.
È evidente la metafora del nutrimento che presuppone, a livello di organismo umano, l’impossibilità di vivere senza i pani delle emozioni e dei sentimenti.
A fare da contrappunto ai bisogni emozionali ci sono gli automatismi psicologici per cui, alla fame d’amore si sovrappone il bisogno di prossimità che, non potendosi avvalere di una capacità di distinguere il guardare dal vedere, si accontenta di qualunque promessa di vicinanza affettiva senza riuscire a vedere nella profondità dell’animo delle persone.
Ma la confusione degli organi sensoriali non è l’unica ad apparire. Anche le voci di dentro si accavallano determinando confusioni di mezzi e di fini. La ragazza non sa quali voci seguire e quale fame appagare scoprendo a proprie spese che la sazietà non porta necessariamente alla gratificazione come la soddisfazione dei bisogni non necessariamente appaga.

Nella vita le necessità affettive si scontrano con le possibilità d’incontro e di scambio che si possono avere con le persone che ci circondano. Possibilità a loro volta condizionate dai tempi e dagli spazi che la quotidianeità destina alle relazioni. A loro volta le relazioni spesso si affidano alle parole che, pur catalogando e facendo riferimento ai sentimenti, si rivelano essere la versione ridotta e camuffata delle emozioni. Mentre i sentimenti sono espressi dal corpo e con il corpo, al punto da potersi dire che sia il corpo ad essere vissuto da queste forme di energia, che rappresenta direttamente ciò che si vuole esprimere, le parole puntano alla comprensione dell’altro. Per cui il senso delle parole, cane, bianco, nero, vecchio, bianco ecc. dipende dalla copresenza sia del tono dell’emittente sia dall’interpretazione che il ricevente fa di quelle parole.

Le parole sono simboli e, come tali, possono essere usate sia per descrivere oggetti e situazioni, assumendo quindi funzione narrativa, sia come cose e oggetti anche capaci di ferire. Le parole possono anche diventare pietre tirate per offendere.

Solo nel corpo si può fare affidamento, nel corpo che vive, che soffre e che, quando soffre, non te lo manda a dire ma deperisce, invecchia, scalpita, si affloscia.
Allora l’intero percorso evolutivo della principessa si dispiega come una disamina corporea, come quando la principessa scopre che oltre a essere nutrito, il suo corpo necessita della vitalità dell'amore perché è l'amore il motore energetico dell'organismo e il suo vero nutrimento.
Così quest'energia, invisibile come in tutte le sue altre manifestazioni fisiche e psichiche, si rivela nei gesti, nelle azioni e nei comportamenti rappresentando l'espressione vissuta dai nostri cuori e che prende la forma del sostegno, della cura, della condivisione, dell'appoggio, dell'affidarsi, delle richieste e delle risposte, dello scambio, del dono e del piacere di condividere.

E' questo che ci rende uguali nella nostra singolare diversità.
In queste manifestazioni, sensoriali e comportamentali, si dispiega il nostro essere tutti diversamente uguali. 

... e si è tutti diversamente uguali in particolare nei giochi dell'amore dove è necessario riservare e conservare la curiosità, perché la diversità dell'altro possa esprimersi nella certezza della condivisione e accettazione acritica. Ciò riporta al presente, all'oggi, all'esserci nella presente condizione spazio temporale dove è veramente possibile esprimere curiosità, passione, gioia e amore perché le altre condizioni, quelle del passato e del futuro, sono le condizioni della manipolazione. Sono le condizioni in cui si è più frequentemente, e che rappresentano il rammarico e la speranza, che diventano attrattori mentali autonomi, e perciò svincolati dal corpo, a legarci a condizioni di desiderio e bisogno lontani dal momento presente e dal vissuto reale. questo vivere nel sogno o nella fantasia ci destina alla facile manipolazione perché in questi processi solo mentali, il bisogno e il rammarico coprono come lenti i nostri occhi che arrivano a chiudersi alla realtà relazionale e a limitarsi al solo guardare ciò che si dovrebbe anche vedere.
Giuseppe Ciardiello







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