Proviamo a dire pane al pane anche in psicoterapia…
Capita di trovare in internet elogi circa una psicoterapia o l’altra e trovarsi un po' disorientati. Non parliamo poi di quando ci si trova a leggere di elogi circa ‘strumenti’ specifici che niente hanno dei modelli psicoterapeutici. Approfondendo la questione ci si accorge che perfino gli addetti ai lavori hanno idee un po' confuse circa la differenza tra un modello psicoterapeutico, le tecniche e gli strumenti usati in quest’ambito e, quando e se ne parlano, li sovrappongono superficialmente.
Nel presente contesto, e senza nulla togliere alla validità degli strumenti e tecniche che andremo ad elencare, ci teniamo a rimarcare la differenza fondamentale tra gli strumenti e il modello all’interno del quale tali strumenti sono usati.
Parliamo innanzitutto di quegli accorgimenti operativi che oggi vanno per la maggiore: PNL (Programmazione Neuro-Linguistica), EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). Sono strumenti tecnici utili in ambito psicoterapeutico, ma sebbene frequentemente utilizzati in ambito clinico, è importante sottolineare che non rappresentano modelli psicoterapeutici completi. Sono tecniche o metodologie che possono essere integrate all'interno di approcci psicoterapeutici (modelli) anche diversamente strutturati.
La PNL, sviluppata negli anni ’70 da Richard Bandler e John Grinder, si propone come un insieme di tecniche finalizzate a migliorare la comunicazione e favorire il cambiamento comportamentale; tuttavia, numerosi studi ne hanno messo in discussione la validità scientifica e l’hanno collocata al di fuori dei modelli evidence-based (Sharpley, 1987; Witkowski, 2010).
L’EMDR, invece, si è affermato come intervento efficace nel trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) e di altri traumi, ricevendo anche il riconoscimento di linee guida internazionali (APA, 2017). Nonostante ciò, l’EMDR è una tecnica, e non un sistema teorico globale, come nel caso della terapia cognitivo-comportamentale o della psicoterapia psicodinamica.
Anche quella che oggi, sempre più comunemente, si conosce come mindfulness, non è una psicoterapia in sé ma una pratica o tecnica che può essere integrata nei modelli psicoterapeutici. Malgrado abbia ricevuto crescente attenzione per la sua efficacia clinica, soprattutto nel trattamento di disturbi legati all’ansia, alla depressione e allo stress, è necessario distinguere tra la pratica della mindfulness in senso generale (ad esempio quella derivata dal buddhismo o impiegata per il benessere personale) e gli interventi basati sulla mindfulness, e sviluppati in ambito clinico primariamente da John Kabat Zinn (come l’MBSR e l’MBCT). Pur essendo standardizzati, queste tecniche non costituiscono da sole approcci psicoterapeutici completi, ma protocolli psicoeducativi o tecniche di supporto.
Pertanto, si può ribadire che, pur risultando utili e in alcuni casi clinicamente molto efficaci, PNL, EMDR e Mindfulness non possono essere considerati, da soli, approcci psicoterapeutici autonomi e riconosciuti dalle principali istituzioni accademiche e professionali (es. APA, OMS, Ordine degli Psicologi).
Andando ancora più a ritroso, anche l’ipnosi (o ipnoterapia) non è, di per sé, un modello psicoterapeutico bensì una tecnica clinica utilizzata in diversi contesti terapeutici. Lo stesso si può dire dell’ippoterapia, ludoterapia e delle Arti Terapie in genere (musicoterapia in primis).
L’ipnosi è spesso impiegata in integrazione con modelli riconosciuti, come la terapia cognitivo-comportamentale, la psicoterapia psicodinamica o la psicoterapia breve strategica, ma come le altre non costituisce un approccio teorico autosufficiente perché manca di un sistema teorico articolato su psicopatologia, diagnosi, relazione terapeutica e sviluppo della personalità.
Anche l’Ordine degli Psicologi italiano e le principali società scientifiche (come la SII – Società Italiana di Ipnosi, fondata da Franco Granone) la definiscono una tecnica clinica, che possono usare solo professionisti formati, ma non può essere considerata un modello psicoterapeutico autonomo.
Ecco che ci si trova allora a dover distinguere tra modelli, tecniche e strumenti psicoterapeutici che molto spesso, specie nel mondo di internet, sono usati in modo intercambiabile.
Un Modello psicoterapeutico è una cornice teorica e applicativa completa che comprende una visione della mente, della psicopatologia, della diagnosi, del cambiamento e della relazione terapeutica. Dispone quindi di una elaborazione teorica e pratica, di tipo relazionale, che prevede utilizzi specifici di spazi fisici e temporali. Il setting è dettagliatamente descritto come preambolo ad una relazione che per il suo tramite induce una rivisitazione, non solo del comportamento, ma del carattere formatosi per mezzo delle altre relazioni che l’hanno preceduta.
Esempi: psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicodinamica, sistemico-relazionale, analitico-transazionale, bioenergetica, vegetoterapia, ecc.
Le
Tecniche psicoterapeutiche sono metodologie
strutturate basate
su evidenze, cliniche e/o sperimentali, che possono essere utilizzate
all’interno di
modelli per
favorire specifici obiettivi (es. riduzione dell’ansia,
rivisitazione del trauma, gestione dello stress).
Ne sono
esempi: EMDR,
ipnosi, mindfulness, esposizione graduale, ristrutturazione
cognitiva.
Gli
Strumenti psicoterapeutici sono
mezzi operativi che il terapeuta usa
in modo trasversale
ai modelli, come il
linguaggio, il
silenzio, il contatto corporeo (in alcuni contesti), la postura, il
tono di voce,
ecc.
Questi non
sono tecniche strutturate né modelli
ma componenti della
relazione terapeutica
o mezzi comunicativi
usati consapevolmente a seconda del setting e dell’approccio.
A seconda della formazione, e dell’approfondimento specifico soggettivo e individuale, l’efficacia di questi strumenti dipende dall’abilità del terapeuta che può avere più o meno dimestichezza nell’uso della parola e/o del silenzio.
Il silenzio e la parola sono strumenti psicoterapeutici tanto impliciti che spesso non si avverte neanche la necessità di renderli materia didattica. Anzi, a volte, l’uso dell’uno è caldeggiato a sfavore dell’altro.
In ambito vegetoterapeutico è sempre stato enfatizzato il silenzio. Già Navarro (1925-2002) raccomandava di astenersi dall’uso delle parole nel setting vegetoterapeutico. Personalmente dubito che fosse un’indicazione assolutista mentre altri colleghi ritenevano di doversi affidare esclusivamente all’esecuzione degli acting. … penso sia stato per questo che nel corso della mia seconda psicoterapia non ho mai capito qual’era il tono di voce del mio terapeuta né se il suo sottrarsi dallo scambio verbale dipendesse dalla timidezza o dal timore del confronto.
Piuttosto che la completa negazione della parola, credo che Navarro suggerisse una sorta di moderazione dell’intervento verbale, e quindi una sua modulazione specificamente finalizzata. Questa raccomandazione credo tendesse a sollecitare la pretesa di sapere quale valore dare all’intervento verbale in relazione all’intento per il quale sarebbe stato utilizzato.
Tutto ciò anche perché, oltre che per l’agito, la psicoterapia passa per il comprendere; non ci si può affidare unicamente al silenzio perché la comprensione pretende la spiegazione e l’eventuale sottrarcisi denuncia l’incapacità di essere lineari, semplici e convincenti. Dimostra di non aver capito quello di cui si sta parlando o di non aver compreso, non il silenzio, ma quello per cui si sta tacendo. Tacere può voler anche dire che ci si riferisce ad un taciuto che non trova corrispondenza nella relazione ed espone comunque ad un dubbio che necessita della parola per disvelarsi.
Per noi cultori della vegetoterapia è quindi importante cogliere in questi due aspetti della relazione, nella parola e nel silenzio, il valore evidente dell’abilità nel loro utilizzo. È importante cogliere il fatto che non è lo strumento di per sé ad essere ‘abile’ ma l’uso che se ne può fare: sarà quindi l’operatore ad essere un abile utilizzatore del silenzio, al momento opportuno, e della parola, se la usa, se e quando è necessaria, nel modo opportuno.
Ben venga allora anche una didattica (particolarmente in vegetoterapia) sull’uso del silenzio che si associ alle sue condizioni d’uso: per esempio il silenzio s’accompagna, quasi sempre, ad un attenta e sistematica utilizzazione dello sguardo. Anche ad occhi chiusi, lo sguardo non è solo interno ma assume anche un significato relazionale. E vedere non significa solo avere gli occhi aperti, bensì essere attenti e consapevolmente presenti a quello specifico vedere. Sapere cosa si sta guardando, in che modo lo si sta facendo (mentre si ascolta i nostri occhi si spostano continuamente e scandagliano il volto e il torace dell’interlocutore) e sapere di sapere che lo si sta facendo e così essere consapevoli di cosa si sta provando, ecc.
Quindi, per concludere, enfatizzare il valore dell’uno o dell’altro, come cosa a sé, dimostra solo una cattiva comprensione strumentale del modello vegetoterapeutico stesso!
Giuseppe Ciardiello
Bibliografia
Granone, F. (1998). Ipnosi e psicoterapia. Edizioni Minerva Medica.
Loriedo, C. (2010). Ipnosi medica e psicoterapia. Franco Angeli.
Caparrotta,
L. (2002). L’ipnosi
nella pratica clinica.
Alpes Italia.
Chiesa,
A., & Crescentini, C. (a cura di). Gli
interventi basati sulla mindfulness. Quali sono, come agiscono,
quando utilizzarli,
Giovanni Fioriti Editore, II ed. 2023.
Montano,
A. Mindfulness.
Guida alla meditazione come terapia,
Ecomind, 2007.
Guida
pratica che chiarisce come la mindfulness funzioni come
tecnica, illustrandone l’integrazione nei modelli della terapia
cognitiva.
Witkowski,
T. (2010).
Thirty-Five Years of Research on Neuro-Linguistic
Programming. NLP Research Data Base. State of the Art or
Pseudoscientific Decoration? Polish Psychological Bulletin,
41(2), 58–66.
Una
revisione critica della letteratura sulla PNL, che conclude che essa
manca di fondamento empirico.
Shapiro,
F. (2001). Eye Movement Desensitization and
Reprocessing: Basic Principles, Protocols, and Procedures.
Guilford Press.
Il
testo fondativo dell’EMDR, utile per comprendere come si struttura
la tecnica e i protocolli applicativi.