lunedì 23 novembre 2015

Stress, panico e fobie. Prima parte.


Stress, panico e fobie.

Aspetti diagnostci (prima parte)

Hans Selye (Vienna, 26 gennaio 1907Montréal, 16 ottobre 1982) fu il primo a parlare di Sindrome Generale di Adattamento (General Adaptation Syndrome o G.A.S.) pervenendo ad una spiegazione coerente del modo in cui l'organismo agisce e reagisce alle incombenze della realtà.
Il corredo genetico umano consente un adattamento sociale singolare per cui ci si abitua a specifiche interazioni umane ed oggettuali. Quando queste si rivelano diverse, la risposta diventa faticosa e l'organismo deve fare appello a impegni supplementari.
In un primo momento reagisce nel modo in cui ha appreso a reagire alle novità; attivano complesse reazioni che, pur non essendo tutte di allarme, gravano sullo stesso sistema fisico e psichico. Cambia il battito cardiaco e quello respiratorio e cambia anche il funzionamento di quei sistemi più silenziosi: il sistema digerente, vascolare e ghiandolare.
Dopo una prima impennata di resistenza e, riconosciuta la persistenza dello stimolo, l'organismo cerca un adattamento ulteriore mobilizzando energie supplementari a scapito anche del normale funzionamento. Questa richiesta aggiuntiva causa problemi quando si rivela prolungata nel tempo (stress cronico) portando anche a cadute immunitarie e al rischio di disturbi funzionali (lesioni d'organo e malattie autoimmuni).
La fase successiva all'attivazione generale, descritta di Selye, è quella della sua fine in cui, o le energie non sono completamente disperse e si avverte un senso di abbandono e calore pervasivo, con sensazioni di debolezza e spossatezza, con desiderio di riposo e bisogno di recupero. Oppure si avverte la completa mancanza di energie realizzando l'eccessivo impegno profuso. Subentra un grande bisogno di riposo prolungato.
Alcune persone si abituano talmente a queste fasi da diventarne dipendenti e necessitare di stimoli sempre più stressanti. Allo stesso modo si può diventare incapaci di concedersi una tregua. In questi casi è abbastanza comune ricorrere a rimedi artificiali, che spesso agiscono in maniera paradossale, determinando dipendenze che, se da un lato portano una certa calma, dall'altro stabilizzano consueti stati stressanti fatti di alternanza di sedazione e attivazione.


Il disturbo panico è catalogato tra i disturbi d'ansia, insieme alla paura più o meno generalizzata. L'ansia è generalmente vista come la manifestazione evidente di un conflitto inconscio. Quando cioè si presenta la necessità di una scelta, alcune persone possono restare incerte sul da farsi e questa indecisione innescherebbe meccanismi neurofisiologici disfunzionali rispetto all'equilibrio organismico (Infrasca, 2000). E' da considerare che i momenti di una scelta possono rivelarsi molto difficoltosi perché a volte ci si ritrova a dover scegliere tra elementi fin troppo simili. E' facile decidere quando gli elementi sono positivi o negativi, bianchi o neri; molto più difficile è quando gli elementi sono entrambi negativi o entrambi positivi. Le scelte esistenziali relative alla vita comune sono proprio di questa natura. Le scelte relative all'autonomia, gli studi da fare, il lavoro, le persone con cui vivere e persino le scelte d'amore, sono spesso fatte di opzioni ibride in cui gli aspetti negativi fanno il paio con quelli positivi. Quando queste condizioni di incertezza si prolungano, la conseguenza è quella descritta per il disturbo da stress.
Spesso di queste tensioni non si è consapevoli per cui il malessere conseguente si rivela all'improvviso con esaurimenti inspiegabili.
Ma mentre le persone stressate, o soggette a crisi di stress, rivelano comportamenti agitati, e si mostrano a volte presi da mille impegni e sempre con il piede sull'acceleratore, le persone che coltivano il disturbo panico sembrano piuttosto tese ad un atteggiamento conservatore. Sono poco disposte a concedersi esperienze alternative, che vivono come rischiose, e tendono all'abitudine. Il retroterra dinamico è colorato da un senso di insicurezza e di inadeguatezza, con paura costante della disapprovazione, che poggia su una debole costruzione della fiducia di base (ibidem, 2000). In ciò si esprime anche la necessità del controllo per cui, le cose tranquille e già conosciute, danno un maggiore senso di sicurezza in quanto si conoscono le strategie necessarie in caso di necessità. Queste caratteristiche, che possono assumere aspetti negativi, rendono comunque queste persone tenaci e forti tanto da impegnarsi, sia per il sostegno economico sia psicologico, nelle relazioni dando luogo a gruppi sociali interdipendenti. Un'ulteriore caratteristica, che è possibile anche leggere come partecipe di queste tendenza, è la paura della separazione che, insieme al bisogno di essere autonomi, potrebbe anche raccontare il senso della nascita dei gruppi di auto mutuo aiuto.

La fobia in sè non ha niente di naturale, o, potremmo dire, di normale.
In questa manifestazione, la paura, da evento normale e protettore, che nasce da esperienze più o meno traumatiche, e che quindi lasciano una traccia più o meno forte nei ricordi delle persone, diventa un qualcosa di molto pervasivo manifestandosi anche in situazioni apparentemente innocue. Ciò dipende dal fatto che, le situazioni vissute, possono essere caricate di significati personali. E' questo a designare le fobie con aspetti simbolici e, i simboli, si sa, si collegano facilmente tra loro.
Per comprendere la fobia un esempio pratico può essere quello del sogno. In questa esperienza avviene che l'inconscio, privo di espressioni verbali perchè l'inibizione somatica a salvaguardia del sonno è pressochè totale, si avvale di immagini per rappresentarsi l'elaborazione della vita emotiva. Nel mondo onirico le immagini e i pensieri portati alla mente significano, contemporaneamente, sé stessi e altro, con intensità e significati assolutamente soggettivi. Il senso delle storie e degli oggetti rappresentati sono talmente personali che, spesso, non si trovano nemmeno le parole adeguate per descriverle. Ogni immagine, sovradeterminata soggettivamente, riporta ad altre immagini analogamente sovradeterminate e il senso di queste storie, non è affatto logico bensì emozionale. Il più delle volte le forme del sogno sono concettuali e, le immagini e/o i pensieri che le accompagnano, sono tentativi razionali di spiegarne il senso in forma logica. Nella fobia accade qualcosa di simile. Affetti paurosi, ansie, preoccupazioni e timori, sono inconsapevolmente trasferiti su oggetti che, in origine, erano innocui. 
Un oggetto importante di questo disturbo è la paura degli spazi aperti; il termine specifico, agorafobia (..e panico), designa un comportamento che spesso si associa al panico anche se non sistematicamente. In realtà, chi coltiva il panico, tendendo ad esercitare il controllo degli eventi che possono tiranneggiarlo, tende anche a controllare l'eventualità di una ricaduta (perchè il panico è sempre improvviso, accidentale e non preventivabile) e, in tal caso, ci si assicura che ci siano anche condizioni di sostegno a portata di ...corpo! In tal caso, quindi, non c'è paura degli spazi aperti, bensì si paventa il rischio di non poter essere soccorsi tempestivamente in caso di crisi di panico.
Analogamente alle esperienze traumatiche, tali perchè intense in un periodo di tempo ristretto, alcune esperienze, anche se meno intense nell'arco di un tempo ristretto, possono assumere valenza significativa per il fatto di essersi protratte nel tempo. Possono essere esperienze già significativamente negative oppure che generano un disagio derivante proprio dal fatto di protrarsi nel tempo. In tal caso non si è consapevoli di un trauma ma si vivono tutti i disagi da esso derivanti (PTSDc - Disturbo Post-traumatico Complesso di G. Liotti).

Giuseppe Ciardiello

Bibliografia

Infrasca, R., "Il disturbo da attacchi di panico", FrancoAngeli Ed., 2006.

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