mercoledì 9 aprile 2025

A proposito dei cultori della Vegetoterapia e del loro mondo

 

Tecnica psicoterapeutica basata sull'analisi ed elaborazione delle emozioni attraverso il linguaggio del corpo, da quando W. Reich (24 Marzo 1897 3 novembre 1957) ne ha fondato le basi, in tutti questi anni  la vegetoterapia ha guadagnato molte attenzioni e seguaci.

Ciononostante, uno che gli aspetti più preoccupanti di questo movimento, resta il modo in cui i cultori si confrontano tra di loro; modo che rischia di impoverire il metodo stesso e renderlo incapace di un adeguamento culturale costante. Il risultato finale è un grosso rischio: quello che la vegetoterapia possa rivelarsi inadeguata, perché impreparata e quindi incapace ed inefficace, nei confronti delle problematiche emergenti dall’evoluzione culturale.

Inquietante è il fatto che tutto il movimento anziché arricchirsi il più delle volte si carica di conflitti e polemiche.

Viene da chiedersi come mai questo tipo di deriva in un movimento che si dice ‘cultore di moderazione’ (vedi la comune voce: la bioenergetica cerca di rompere la corazza, la vegetoterapia di scioglierla).



Differenze


Ogni disciplina terapeutica ha le sue sfumature e i suoi fondamenti teorici su quali si basa la lettura della personalità umana e la sua evoluzione. A ben vedere in vegetoterapia queste basi sono rimaste sempre le stesse fin da quando Reich ne ha delineato i riferimenti dell’evoluzione organismica, culturale e sociale. Ciò che cambia nei cultori succedutisi sono le diverse considerazioni circa l'applicazione  pratica degli strumenti interpretativi e del modo in cui gli acting (agiti comportamentali) vanno condotti e realizzati. Inoltre, ad ogni nuova generazione di terapeuti, gli apporti di altre discipline fanno capolino per ibridare gli schemi tradizionali della vegetoterapia e renderla più attuale. Senza legittimazione al confronto con i terapeuti collaudati e più anziani, i giovani terapeuti devono decidere da soli come integrare i nuovi approcci.

Quello che lascia perplessi in questo movimento è l'incapacità di vedere che la mancanza di un costante confronto costruttivo (interno ed esterno) rischia di ostacolare il progresso della stessa teoria. L’impedimento del dibattito, anche solo tecnico ed operativo, intralcia l’evoluzione di tutto il complesso sistema formativo, esplicativo, didattico e funzionale che così rischia di diventare obsoleto.


La presunzione


Stranamente è proprio nel campo della salute e del benessere mentale che il concetto di narcisismo professionale diventa più rilevante. Il bisogno di affermarsi come terapeuti esperti e capaci, può spingere molti psicoterapeuti, e vegetoterapeuti nel nostro caso, a negare la validità delle teorie altrui fino al punto da non vedere, e spesso convincersi dell’inutilità o della mancanza di funzionalità, delle modifiche perseguite individualmente dai singoli terapeuti anche quando questi appartengono alla propria formazione. Questo implicito narcisismo può creare una barriera anche solo all'ascolto delle modalità alternative che possono darsi nell'applicazione pratica degli acting.

Un esempio, forse nemmeno tra i più validi perché il suo approccio si diversifica anche negli intenti terapeutici, lo si può trarre da Lowen che è stato allievo di Reich: nell’ideare la bioenergetica, che semplicemente impiega gli stessi acting della vegetoterapia ma in condizione fisica diversa (in piedi piuttosto che distesi su un lettino), ha elaborato un diverso sistema di impiego degli acting piuttosto che suggerirne una modifica nell’ambito della stessa procedura.

In definitiva cosa costerebbe a noi oggi discutere per esempio sulla bontà di un acting fatto da disteso oppure da seduto? Sapere che nello svolgimento di un acting oculare c’è chi usa una ‘penna luminosa, magari di un certo colore piuttosto che di un altro e che altri ancora usano le dita della propria mano (del terapeuta) piuttosto che una lucina come oggetto da seguire? Confrontarsi non sarebbe altro che un arricchimento individuale e professionale.


La paura della critiche


Singolarmente, proprio nell’ambiente culturale dove maggiormente si discute di salute mentale, si riscontrano più facilmente emergenze di conflitti emozionali. Che poi diventano relazionali per la difficoltà ad accettare la critica. 

Confrontarsi con la divergenza rispetto al proprio punto di vista, rispetto all’applicazione teorico – pratica della tecnica, maturata negli anni di formazione e di sperimentazione personale e soggettiva, diventa difficile quando non si è cresciuti e maturati confrontandosi con costanza ed onestà professionale. Confrontarsi con opinioni diverse quando non si è abituati al dinamismo evolutivo, viene vissuto un pò come un mettere in discussione le proprie competenze e credibilità e, implicitamente, la propria identità professionale. Non ci si accorge che così facendo si rischia di restare inconsapevoli del fatto che questa identità professionale, che non ha opportunità di crescita ed emanciparsi in confronti dialettici, rischia di rimanere involuta e bloccata nella difesa delle proprie posizioni.


La polarizzazione


Lo specchio sociale in cui attualmente si vive è quello di una riproduzione, nei piccoli gruppi associativi, della società contemporanea in cui è crescente una tendenza a polarizzare le posizioni e i punti di vista che sono poi accentuati dall'uso dei social media. Questo atteggiamento piuttosto globale è polarizzante e può riflettersi anche nel mondo della vegetoterapia. Le opinioni possono diventare bipolari ed estremizzarsi in atteggiamento specifici piuttosto che guardare ad un ventaglio di possibilità differenziate per paziente o per preferenza personale (del terapeuta).

In queste condizioni, e invece di privilegiare il dialogo, si tende a creare “tributi” di seguaci e di persone unidirezionali che, invece di volgersi al dialogo, rischiano di vedere il mondo in termini di bianco e nero piuttosto che esplorarne le sfumature. Queste posizioni alimentano ancora di più il conflitto piuttosto che smussarne gli spigoli e tendere ad una integrazione reciproca delle posizioni.

Da queste posizioni l’aspetto identitario riappare mostrando quanta vulnerabilità ci sia al cospetto anche della visibilità. Una volta formatisi questa vulnerabilità, saranno quegli stessi terapeuti che vivranno come minaccia alla loro reputazione e alla loro visibilità qualsiasi forma di confronto. Inconsapevolmente, il focus si sposta dalla crescita personale e professionale al riconoscimento e ogni critica verrà interpretata come una minaccia all'"essere" terapeuta.


Conclusione


Come gli anni trascorsi hanno dimostrato, il mondo della vegetoterapia è ricco di potenziale di crescita e innovazione al punto che molti spunti, come quelli relativi ai movimenti oculari, alla corazza caratteriale, al costante rimando alla complessità organismica (comprendente il mondo corporeo, cognitivo ed emotivo) sono stati adoperati con evidenti vantaggi da altri epistemi.

È evidente allora che, tra tutti coloro che si autodichiarano reichiani (i cultori della vegetoterapia), è mancato il dialogo e che questo ha ostacolato notevolmente l’integrazione ostacolandone il progresso o rendendolo monodirezionale.

Gli anni che stiamo vivendo forse sono proprio quelli in cui prendere consapevolezza dell’isolamento culturale autoprodotto da una chiusura al confronto e alla valorizzazione di prospettive diverse dalle proprie convinzioni. Alla fine potrebbe essere proprio questo isolamento a far emergere la possibilità del dialogo, rispettoso e aperto, capace di costruire un campo di crescita personale e collettiva della vegetoterapia? In questo periodo storico, reso ancora più difficile dalle guerre e dai conflitti geopolitici, riusciremo (noi reichiani) a fornire la società degli strumenti di cui siamo portatori per una comprensione (anche della vegetoterapia) più globale ed equilibrata?

Giuseppe Ciardiello




Translate

Cerca nel blog