Ultime ricerche sulla depressione mostrano quanto e come la terapia metacognitiva possa essere utile per la risoluzione di questo disturbo. Gli autori di un importante articolo raccomandano agli operatori del settore di prestare attenzione al modo in cui si articola il pensiero, piuttosto che ai suoi contenuti, perché ritengono che il portare l'attenzione ai processi che sottostanno ai pensieri, e che ne costituiscono la forma, sembra rappresentare la strategia vincente per arrivare a modificare la ricorsività e l'insistente presenza dei pensieri depressivi.
Queste ricerche sembrano confermare anche gli approcci terapeutici con duplice attenzione, cognitiva e corporea, che si sono consolidati in alcune pratiche terapeutiche come la mindfulness, l'EMDR, ecc.
Gli strumenti utilizzati da un lato coinvolgono le dimensioni corporee, dall'altro sollecitano l'attenzione ai processi di pensiero che l'accompagnano così da produrre un'attenzione orientata maggiormente alla forma piuttosto che ai contenuti.
Tale atteggiamento, di osservazione dell'attività cognitiva, condurrebbe all'esperienza di un distacco dai contenuti e, quindi, a una disidentificazione dal vissuto corrispondente.
Questo modo di considerare i processi mentali e corporei, che distingue la forma dai contenuti e al modo di comporre e produrre i pensieri separandoli dal loro senso e significato, è probabile che funzioni per tutti i disturbi psicologici, e quindi non solo per quelli depressivi, perché ogni disturbo si accompagna anche ad una ricorsività di pensiero che potrebbe dipendere proprio dalla forma assunta.
Le terapie cognitive che oggi si sono esposte nell'utilizzo di aspetti legati ad agiti corporei si può dire che, in qualche modo, suggeriscano una convergenza verso un'apparente unificazione organismica.
Apparente perché, pur recuperando ai processi mentali qualche aspetto corporeo, di fatto questi ultimi continuano ad essere usati in maniera strumentale e solo per meglio individuare i processi cognitivi che si realizzano contemporaneamente e che, nell'idea cognitiva, non sono necessariamente ad essi corrispondenti.
In queste teorizzazioni manca l'idea dell'identità funzionale in cui: "... gli atteggiamenti muscolari e caratteriali nell'ingranaggio psichico hanno la stessa funzione; possono influenzarsi reciprocamente e sostituirsi vicendevolmente. In fondo sono inseparabili e nella loro funzione sono identici." (Reich, 1927, "La funzione dell'orgasmo").
Dal punto di vista reichiano il carattere è espressione anche di un aspetto cognitivo per cui, il modo di pensare e ciò che si pensa, sono coerentemente espressi nell'articolarsi degli atteggiamenti muscolari che modulano la relazione.
In psicologia i processi corporei sono sempre sembrati appartenere ad un livello organismico inferiore. Nelle diverse considerazioni accademiche, ma anche nelle semplici espressioni verbali, le diverse materie fisiologiche sono sempre state rigorosamente accostate agli aspetti anatomo funzionali e forse ciò ha contribuito a emarginare le diverse terapie corporee che si sono vissute in un ruolo ancellare rispetto sia a quelle cognitive sia psicoanalitiche.
In questa subalternità hanno rischiato di non riuscire a sostenere un ruolo specifico e definito nell'individuazione di elementi formali e concreti per intervenire sull'organismo complessivo. Infatti, anche quando gli strumenti terapeutici utilizzati si sono mostrati solidi e coerenti, come nella Psicoterapia Sensomotoria, la Psicomotricità Relazionale, la Bioenergetica, la Vegetoterapia, le Artiterapaie, ecc., è stato sempre con difficoltà che questi indirizzi si sono affermati e riscattati.
Questa specie di oscurantismo ha consentito che, gli stessi strumenti usati normalmente da queste scuole, e che non hanno mai suscitato grande interesse applicativo, oggi che sono usati in ambito cognitivo sono maggiormente riconosciuti come strumenti validi. Come per esempio gli acting oculari usati in Vegetoterapia.
La Vegetoterapia ha sempre perseguito una visione complessiva dell'organismo umano spesso anche prendendo implicitamente le distanze dalle classiche definizioni psicoanalitiche.
I meccanismi di difesa, il transfert e il controtransfert, il concetto dell'Io e del Sé, la relazione oggettuale, l'oggetto della relazione, lo schematismo della fasi evolutive, ecc, piuttosto che oggetti del pensiero, diventano processi di pensiero che, non necessariamente vincolati ai contenuti, da cui le interpretazioni psicoanalitiche, diventano forme corporee organizzate in comportamenti agiti e auto-interpretabili con l'utilizzo dei corrispondenti agiti relazionali (corporei).
Interessante da questo punto di vista, e in relazione al preambolo iniziale di questo articolo, è il fatto che tutte le terapie corporee, nell'utilizzo pratico delle proprie tecniche, hanno da sempre previsto, almeno implicitamente se non previsto dal paradigma di riferimento, di promuovere una maggiore attenzione al corpo, e alle sue forme esecutive ed espressive, alimentando una graduale distanza dai processi di pensiero. E in alcune esperienze vegetoterapeutiche tale intento è ancora più evidente.
Un esempio emblematico può essere il lavoro relativo all'interpretazione dei sogni con l'ausilio di un acting di vegetoterapia.
In tale contesto i movimenti oculari vengono usati come pretesti per dirottare l'impegno attentivo consapevole sul controllo oculare, così da lasciare i processi cognitivi liberi di realizzarsi senza l'attenzione consapevole e direttiva dell'Io.
Le persone sottoposti a questo tipo di esperienza, impegnati a tenere gli occhi fissi su un punto in movimento davanti ai loro occhi, sperimentano una disidentificazione dai processi mentali impegnati nell'elaborazione delle immagini del sogno che sono scelte preliminarmente per l'esperienza. In questo modo si realizza un processo mentale automatico e inconscio, nel senso di non preventivato nè controllato, che è sorprendentemente imprevedibile e spesso chiarificatore delle tematiche espresse metaforicamente.
Ma, ancora più interessante, si realizza anche una sorta di piacere nei confronti del processo di elaborazione delle proprie immagini, differente e indipendente dal sentimento che viene vissuto nei confronti dell'operatore che propone l'esperienza. Una sorta di transfert nei confronti dei propri prodotti di pensiero, che siano immagini fantastiche o costruzioni pindariche o giochi di forma e architetture logiche, si ravviva la fiducia di sé, nella propria creatività e nella capacità di coglierla nei suoi elementi processuali e di forma.
In realtà ogni acting, implicando l'attenzione all'esecuzione di un movimento specifico, presuppone un distanziamento dal processo di pensiero che l'accompagna il quale, a sua volta, si presta ad una autonoma rielaborazione.
Giuseppe Ciardiello
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