I giochi dell’amore: elaborazione dell’intervento
svoltosi a Napoli il 18 marzo 2018. All’evento eravamo presenti, oltre all’organizzatrice
dr.ssa Rosa Albano, il dr. Roberto Cavaliere e il sottoscritto, curatore di
questo blog, dr. Giuseppe Ciardiello.
Tengo
molto al tema trattato che è relativo alla violenza nelle cose d’amore.
Il
punto è che, alla fine di ogni intervento di questo tipo, ho sempre l’impressione
che non si sia riusciti a toccare i punti essenziali, quelli capaci di rappresentare
la linea di demarcazione tra violenza, sopraffazione e amore. Allora ho bisogno
di ritornare sui temi trattati cercando, con un ripensamento dell’incontro, fatto
in solitudine, di rendermi più chiaro l’ambito trattato.
Lo
ripropongo sul blog offrendolo come stimolo ad ulteriori diverse osservazioni
così che i prossimi incontri, se ci saranno, saranno più immediatamente
esplicativi delle diverse idee che si incontrano su questo tema così caldo e
intenso.
L’amore
L’amore
è un sentimento che nasce naturalmente da bisogni relazionali perché siamo
esseri nati da un processo relazionale, in un incontro relazionale, in un
momento di esplosione relazionale.
Questa
natura abbaglia e confonde!
Uno
dei bisogni essenziali della nostra esistenza, oltre al mangiare, bere e
dormire, è il fare bene all’amore. Eppure ogni essere umano, pur consapevole di
questa verità, mentre per mangiare, bere e dormire impegna la maggior parte
della vita e dell’energia fisica e mentale, per fare bene l’amore si affida al
caso o all’intuito o alla buona sorte o a nozioni tratte dalla pratica. Si ha difficoltà a confidarsi, a consigliarsi, a
raccontarsi la gioia di un orgasmo, il piacere di una notte d’amore.
In
questi impegni essenziali per la vita si è tutti ugualmente diversi e, come i
ciottoli di un fiume, ognuno conserva e agisce una diversità che lo caratterizza
in tutti gli aspetti automatici, sia biologici che mentali (Gazzaniga, 2013). E' proprio questo modo di essere diversi, molto personale e soggettivo, che ci rende uguali e ciò significa che il nostro cervello organizza ed è strutturalmente organizzato da processi capaci di produrre effetti mentali in modo identico in ogni essere umano. Questo vale per tutti gli esseri! Dal mondo vegetale in poi, tutti gli esseri si differenziano per gli effetti che queste strutture, tutte uguali, riproducono.
Questa
vita vissuta in automatico ci rende inconsapevolmente visibili agli altri differenziando
quei tratti che rendono unici e che altrimenti, se così non fosse,
confonderebbero le diverse identità uniformando l’origine culturale, familiare,
di gruppo e di provenienza di ognuno.
L’uguaglianza
e la diversità, o per meglio dire l’essere ugualmente diversi, è una
caratteristica naturale e appartiene alla natura molto più di quanto si possa
immaginare.
Si
nasce uguali, tutti allo stesso modo, con lo stesso corredo genetico e con le
stesse competenze maturate nell’arco della gestazione. Eppure, si è tutti
ugualmente diversi come le tegole di un tetto, gli acini di un grappolo d’uva,
le ciliege, le corolle delle margherite, i gusci svuotati dei ricci di mare…
In
natura tutto si somiglia e si replica diversificandosi in individui che, in
quanto tali, sanciscono contemporaneamente la differenza e l’appartenenza. Si appartiene
(a un gruppo, a un’istituzione, a una famiglia ecc.) in quanto uguali ma ci si
riconosce perché diversi.
I neuroni specchio
Alla
nascita si è composti da organi e funzioni massive che necessitano di
modulazione e calibrazione relazionale. Per questo la natura ci ha forniti di
sistemi capaci di produrre la comprensione delle differenze e formulare pensieri,
idee e costrutti logici. Esistono neuroni, nel nostro sistema nervoso centrale,
capaci di attivarsi come se fossero sollecitati da ciò che si osserva. Ciò
permette di riprodurre configurazioni nervose corrispondenti a quelle che si
sarebbero attivate se fossimo stati noi, in prima persona, a compiere quelle
azioni. Tale configurazione è come un’eco che permette di capire lo svolgersi dell’azione
(Rizzolatti, Vozza, 2008)
Ma
capire lo svolgimento di un’azione non ne comporta necessariamente la
comprensione. Possiamo capire che alcune persone stanno ridendo ma per provare
la stessa emozione, e comprenderla nel senso di poterla spiegare e raccontare
come un evento significativo, è necessario ricostruire un senso emotivo che è
specifico per ogni occasione.
Da
questo punto di vista è possibile che i neuroni specchio da soli rendano comprensibili
i bisogni ma non i desideri che attengono a stati e livelli diversi e per la
cui formazione partecipa la fantasia e l’immaginazione.
Come
nell’amore e nel sesso!
E
qual’è la differenza? Semplice: se si ha bisogno di nutrirsi, di riempire lo
stomaco, per cui qualsiasi alimento va bene, si è in presenza di un bisogno. Se
invece c’è necessità di una cena romantica, a lume di candela, si può dire che questo
sia un desiderio.
Questo
ci fa dire che la ‘scopata’ non
appartiene all’amore… a meno che il bisogno di scopare non si è trasformato in
desiderio nel crogiolo della condivisione fantasmatica di coppia.
Ma
se questa fantasia è individuale e si impone nella dinamica relazionale così che
la reciprocità è una finta o una forzatura, allora si è davanti ad un sopruso,
al rischio di una manipolazione, di una sopraffazione, forse anche
inconsapevole ma non per questo giustificabile.
Perché
anche nei giochi dell’amore si è tutti ugualmente diversi e questa diversità
impone la condivisione delle fantasie e la co-costruzione di storie partecipate.
Fantasie costruite insieme e modulate dai reciproci bisogni e desideri.
Quando
invece si realizza la fantasia di uno solo degli attori in gioco, e anche se
questa fantasia si realizza con la partecipazione dell’altro che la consente, la
tollera o la permette, di fatto resta un abuso perché rimane un agito di coppia
dove le dimensioni psicologiche attivate restano confuse e non permettono una
chiarificazione integrativa.
Non
permettono il sentimento dell’amore!
Le emozioni
Tutta
la natura umana procede per integrazioni e differenziazioni. Le stesse emozioni
che albergano nel corpo alla nascita sono una serie di sensazioni gratificanti
e afflittive. Nel corso del tempo si impara a riconoscerle e a dargli un nome
così da potersi comunicare ciò che si suscita reciprocamente.
Spesso
si rimane poco curiosi di queste cose accontentandosi di termini generici come
quando tuttto confluisce nel termine emozione.
Mi
sono emozionato vedendo un film, mi sono emozionato alla partita, mi provochi
un’emozione profonda…
Tutte
le emozioni possono essere nominate, hanno sempre un nome anche se è vero che
possiamo viverne di talmente confuse da non poterle distinguere. A volte la
coloritura è imprecisa e può avvalersi di sensi e significati diversi, come nel
caso della gelosia e dell’invidia o come nel caso della rabbia e della collera,
dell’odio e del rancore. Ma un nome ce l’hanno sempre.
Anche la violenza spesso non si capisce perché
si è confusi nel dargli un nome.
Non si conosce la differenza tra La violenza,
la passione, la sensualità, l’amore, l’amicizia, l’aggressività. Ogni espressione
veemente rischia di essere interpretata come violenza così come ogni
atteggiamento violento, di possesso, isolamento, sopraffazione, rischia di
essere interpretato come un atto di desiderio e di passione.
Forse questo accade perché si è troppo
distratti per occuparci di quello che accade nell’intimità del rapporto. Si è
talmente presi dal passato e dal futuro che ogni elemento del presente, per diventare
degno di attenzione, deve appartenere ai tempi del passato.
Forse, come dicono i buddisti, è veramente
questa assenza al momento presente a destinarci ad una presenza fantasticata in
cui si vive alla costante presenza di oggetti non reali, costruiti solo nella
mente e che, manipolati adeguatamente, possono renderci vittime anche
consenzienti della violenza altrui. Bisogni di riscatto del passato e desideri di
riparazione del futuro vengono usati come occhiali capaci di dare un colore
allettante alla vita. Solo che spesso non ci si accorge di indossarli o ci se
ne dimentica perché, come lenti a contatto, sono diventati parti di noi.
Così si diventa oggetti manipolabili
incapaci di vedere che la realtà è diversa dalla nostra speranza, dai nostri
bisogni e desideri e ci si distrae dalla parte reale di sé perdendo il senso di
appartenere a sé stessi.
Eppure è questo senso di appartenere a
sé stessi che rende la vita degna di essere vissuta.
Solo che questa dimensione, come il
rispetto di sé, la dignità, l’amore di sé non sono strutture o organi del
nostro corpo ma sono funzioni che esistono solo quando vengono svolte, esercitate
ed agite.
Quando queste funzioni non vengono
esercitate semplicemente smettono di esistere… e noi con loro!
La proiezione
Quando il mondo interno diventa così attraente
perché fatto di bisogni, rende anche un cattivo servizio al fenomeno della
proiezione.
Tale funzione, al pari delle altre, deriva
dalla biologia del nostro organismo come quando siamo in grado di proiettare alla
periferia del corpo sensazioni che costruiamo a livello centrale (immaginazione
e fantasie). Un semplice esempio è dato dalle persone affette da cecità che proiettano
la capacità di vedere sui polpastrelli delle proprie dita o addirittura sulla
punta di un bastone.
L’immaginazione e la fantasia sono funzioni
che si avvalgono delle funzioni emotive. Come accennato più sopra parlando dei
neuroni specchio, le emozioni contribuiscono a dare senso alle immagini e alle
azioni umane che, alla luce della modulazione emozionale, diventano
soggettivamente comprensibili e si possono comprendere.
Si può dire che tutti gli stimoli sono
emotigeni nel senso che, quando è necessario interpretare uno stimolo come per
esempio un urlo, un rumore improvviso, uno scricchiolio nel buio di una strada,
di fatto lo si fa a seconda dell’emozione che si associa in automatico a quegli
eventi. Perciò, se nella storia personale le urla si sono associate alla
violenza, ogni volta che sentiamo un urlo è possibile che si risvegli in noi
anche il timore che la violenza sollecita. E quando queste associazioni non
sono comprese ci rendono facilmente manipolabili.
Perciò vivere di bisogni, e non
riconoscere gli automatismi che ci contraddistinguono, rischia di falsare le
relazioni e di mettere incondizionatamente in mano ad altri la nostra felicità.
Le persone abusanti sono acute e molto bravi
nell’individuare fin dai primi incontri le potenziali vittime intuendo subito quali
sono i bisogni essenziali di queste persone e usando la loro emotività per
manipolarli (Heryigoien, 2005, Filippini, 2005).
Smettere di
giustificarsi, finalmente arrabbiarsi e, riconoscendosi vittima di un
sortilegio relazionale, accettare di farsi aiutare da chi non è direttamente
coinvolto, sono le strategie suggerite da Herigoyen nel suo bel libro con cui
mostra i modi diretti e indiretti con cui fin troppo spesso ci si lascia
sopraffare.
Disambiguarsi
Si può venire fuori dall’ambiguità
quando impariamo a
leggere i messaggi sia verbali che quelli non verbali. Come dobbiamo imparare a
distinguere le emozioni, allo stesso modo bisogna imparare a distinguere, e
quindi a leggere, i messaggi che i corpi lanciano. Perché non ci sia confusione
né ambiguità sia il corpo che le parole devono procedere con lo stesso ritmo, lo
stesso timbro, la stessa vibrazione.
I gesti d’amore si rivelano nel
sostegno, nella cura, nella condivisione, nell’appoggio, nell’affidarsi, nel
chiedere, nello scambio, nella ricerca, nella proposta dei giochi, nella loro
condivisione, nel rispetto delle regole, nel loro svolgersi, nel donare, nel
passeggiare, nell’assumere un aspetto e un’espressione per ogni emozione…
Rispettare/si è guardarsi reciprocamente
negli occhi affermando sé stessi e, riconoscendo la diversità dell’altro, essere
consapevoli del fatto che: la differenza
più grande tra esseri umani, quella che una volta accettata ci consente di
accettare qualsiasi altra differenza umana riconoscendoci ugualmente diversi, è
quella tra maschi e femmine, uomini e donne, realtà maschile e realtà femminile.
Bibliografia
S. Filippini, “Relazioni perverse. La violenza psicologica
nella coppia”, FrancoAngeli, 2005.
M., Gazzaniga, “Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio”, Codice
ed., 2013.
M. F. Hirigoyen, “Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro”,
Saggi Mondadori, 2015.
G. Rizzolatti, L. Vozza, “Nella mente degli altri”, Zanichelli,
2008.
Giuseppe Ciardiello
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