Avevo quattordici anni quando, scoperto Reich (l’allievo di
Freud che ideò la Vegetoterapia), scoprii qualcosa che sentivo vivo e chiaro
nell’animo: l’aggressività che mi pervadeva non era naturale ma era la risposta
a quanto accadeva fuori di me.
Ero un adolescente insoddisfatto. Infagottato in
un corpo più grande e appariscente di me, mi sentivo strano e immaturo, per non
dire incapace; e questo mi frustrava. Mi rendeva insoddisfatto di qualunque
cosa.
Avevo qualche abilità! Mi piaceva leggere e questo mi rendeva più analitico dei ragazzi della mia età. Mi piaceva narrare storie. A
scuola, andavo bene in italiano!
Ma ero arrabbiato.
Reich spiegava, a chi lo leggeva, che la rabbia non era
riconducibile a un istinto innato.
Esisteva sì, la libido, ma questa era
riconducibile a un’istanza piuttosto che a un istinto. Che nell’uomo non
esisteva l’istinto, come quello degli uccelli per intenderci, per esempio le rondini che
sembrano ingegneri quando costruiscono il nido, senza essere andati
all’università.
Non so se avete mai visto i nidi che costruiscono gli
‘Inseparabili’. Quei pappagallini verdi che a Roma hanno invaso tutte le ville e alcuni
parcheggi arredati da grandi alberi. Sono nidi in condominio, enormi, con le
entrate nelle parti inferiori e laterali, forse per evitare che la pioggia li
allaghi.
Quello è l’istinto; costruiscono quei nidi ‘istintivamente’.
Ad un certo punto dello sviluppo si accoppiano e, scattato qualcosa che dà
l’avvio, la coppia comincia a costruire il nido conoscendo a priori la tecnica, che è sempre la stessa, migliore.
Noi uomini, alla nascita, non sappiamo nemmeno camminare e
per imparare ad andare in bicicletta dobbiamo aspettare diversi anni. Qualcuno
l’impara mai!
La nostra abilità sta nel saper imparare. E l’apprendimento
non è un istinto ma una facoltà mentale!
Le facoltà mentali, si sa, sono condizionate dalle emozioni
così, se siamo frustrati, insoddisfatti, scontenti, impariamo presto o a
sopportare o a reagire aggredendo o a scappare o a irrigidirci in un rifiuto
mal espresso. Dipende dai campioni di comportamento da cui abbiamo potuto
imparare. Dipende dai genitori, dagli amici, dagli insegnanti che appaiono nel
corso della nostra esistenza. Dipende dai maestri che ci insegnano a gestire la
rabbia o a costruire un buon Io.
Così qualche decina di anni fa ho incontrato il libro di
Ammon Gunter: ‘La dinamica di gruppo
dell’aggressività’, Astrolabio, 1970.
Quando è uscito questo libro avevo ventisette anni.
Disorientato da una realtà che non regala niente, mi stavo confrontando con un
Io che nuotava ancora in alto mare.
Questo dice Ammon: ‘Soltanto
chi è adattato nei confronti del proprio Io, nel senso che riconosce l’identità
del proprio Io ed il proprio valore, saprà anche delimitare se stesso nei
confronti di un altro Io rispettando e lasciando intatta l’altra personalità in
quanto diversa ed autonoma; solo una persona simile sarà libera da una
attrazione simbiotica e dall’attesa e dalla richiesta inconscia che l’altro
corrisponda completamente ai propri desideri e che, dal punto di vista
psicoanalitico, sia una specie di estensione del proprio Io.
Un dialogo costruttivo
è possibile soltanto se si riconosce e si lascia intatto l’altro e, vorrei
aggiungere, soprattutto il più debole.’. (Ammon, 1970, p. 33)
Soltanto chi si sente integro (tutto intero), ben formato e non teme di
perdere parti di sé, riesce a riconoscere l’altro nella sua integrità e riesce
a comunicargli le informazioni di cui è in possesso senza lederlo nella sua
identità e senza toccare la sua paura d’essere cambiato.
Ma io ero incerto e arrabbiato. Frustranti le mie relazioni,
anche intime, si improntavano al riscatto, in risposta al bisogno di ‘avere’ si coloravano del desiderio del potere (non della potenza, direbbe qualcuno un pò polemicamente). Non lo sapevo, non me ne rendevo conto ma la mia
aggressività spesso si manifestava come violenza anche nei miei desideri
sessuali e non. Desideri che stentavo a riconoscere come sete d’amore e bisogno
di riconoscimento.
Il libro di Ammon descrive in maniera molto più dettagliata da quanto espresso da Reich: ‘In vent’anni
di esperienze ho avuto ripetutamente occasione di osservare nei miei pazienti
processi distruttivi rivolti contro se stessi o contro l’ambiente. … Non sono
però riuscito a trovare tracce di un istinto di distruzione o di morte innato,
costituzionale. Ciò che poteva sembrare un simile istinto di distruzione, poteva
trovare una spiegazione nella psicodinamica e nella storia della vita del
paziente. … A mio avviso l’aggressività distruttiva va sempre intesa come una
reazione alla frustrazione.’ (id., p. 11)
La repressione reprime tutte le forze, anche quelle
semplicemente espressive e amorevoli. Ogni repressione è violenza ma questa chiarezza, pur colpendomi
molto, non si definì in maniera incisiva. Ma credo che non avvenne neanche nei
colleghi che questo libro hanno letto perché nessuno me ne ha mai parlato. O io non ho mai capito?
Come mai? Come è possibile che una dichiarazione così
evidente non riceva l’importanza che riveste nemmeno in ambito reichiano dove
si parla tanto di amore, sesso e energia?
È un libro emarginato forse perché mette in discussione
l’ideologia dominante e il punto di vista di un personaggio dalle dimensioni di
Freud?
Occorre dare un senso a questa deriva, se di deriva si
tratta ancorché sociale: ‘L’esperienza
mostra che l’asservimento ad una ideologia costituisce spesso l’ostacolo più
difficile per la psicoterapia e che può addirittura renderla impossibile. A mio
avviso la dinamica dell’ideologia è affine alla dinamica del pregiudizio.
(Id., p.16).
Domanda: esiste un pregiudizio nei confronti dell’ideologia
freudiana?
Difficile negarlo… I cultori della teoria reichiana si sono
sempre sentiti un po’ come i fratelli piccoli di Freud. Un pò impacciati abbiamo voluto definirci Analisti forse perché la psicoterapia ci andava stretta. Diciamoli pregiudizi di contorno, come le verdure che non contano o che apparentemente non sono la sostanza. Ma comunque pregiudizi.
L’aggressività distruttiva, che per Ammon si differenzia da
quella costruttiva (ad-gredi), si manifesta specialmente nei gruppi, e quindi
nella società sotto forma di guerre, quando la creatività è inibita o
soppressa: ‘Perché la psicoterapia, sia
individuale che di gruppo, abbia successo, è molto importante che venga data al
paziente la possibilità di manifestare la propria aggressività. Solo se gli è
consentito di manifestare la sua aggressività, sia nel senso della
distruttività che nel senso del costruttivo ad-gredi, la terapia potrà dare
risultati positivi.(id., p.18). Almeno in terapia, sì, cerchiamo di essere onesti e sinceri. Siamo aggressivi quando mangiamo, quando giochiamo, quando vogliamo essere bravi, quando gareggiamo per dimostrare di sapere più degli altri. Lo siamo nelle manifestazioni d'amore e in quelle d'amicizia.
Ma sappiamo anche distinguere la violenza?
L’aggressività distruttiva preferisco chiamarla violenza che
si può esprimere nei comportamenti ma anche nelle parole, nei gesti, nel modo
di guidare l’auto e nel dare gentilmente (?) la precedenza. Perciò quando
la guerra s’impone in una società è probabile che anche una qualche forma di
espressività creativa è stata sacrificata e che, anche nei gruppi medi o
piccoli che siano, l’informazione ha smesso di rivestire la funzione per cui è stata creata (la messa in comune del
sapere). In tal caso siamo già davanti all’espressione di qualcosa di alieno
perché reattivo rispetto alla nostra integralità. Quell’istanza che definiamo
NOI, non si accorge dell’estraneazione e del conflitto che lo vive. Noi non ci
accorgiamo di vivere in conflitto e quello che striscia sotto la pelle è un IO
folle fatto solo di reazioni e pensieri che si costruiscono al di là della
consapevolezza. Nello sguardo appare un Io rabbioso e carente, malato di un
desiderio di potere insoddisfacibile, perché costituzionalmente vuoto, che
nelle relazioni cerca solo il riscatto.
‘In termini psicoanalitici si può dire che
nell’aggressività distruttiva l’uomo non è consapevole dei suoi motivi.
L’aggressività sta sotto il dominio e il controllo dell’Io, mentre la
distruttività non lo è. L’aggressività non presenta conflitti, mentre la
distruttività è generata da un conflitto. Per finire vorrei presentare un
modello della psicodinamica dell’aggressività distruttiva, basato
sull’esperienza che ho fatto su alcune centinaia di sofferenti psichici durante
gli ultimi vent’anni.
Nello sviluppo
infantile di questi pazienti ho riscontrato la seguente dinamica familiare: la
sessualità infantile precoce era stata respinta dai genitori, e come essa
l’ad-gradi, l’esplorazione e la sperimentazione della prima infanzia. … In
sintesi si può dire che l’aggressività distruttiva impedisce ed inibisce qualsiasi
tentativo di autorealizzazione, di attività lavorativa e di amore. L’ad-gredi
invece consente l’attività, l’amore e quindi l’autorealizzazione. (id.
p.22)
In questi strani tempi di minacciosi preludi catastrofici, come molti, anch’io ho l’impressione di star vivendo l’esordio di una nuova era. Forse qualcosa sta
cambiando davvero nei cuori trepidi dell'umanità.
Mi capita
sempre più spesso di incontrare persone dolci, che non aspirano al potere e che mostrano una forza intima
definita e decisa. Che perseguono con rettitudine principi decorosi di amicizia
e donatività malgrado la disarmonia spicciola quotidiana in cui ci si sperimenta e che ci scopre preda inerme.
Che poi, nonostante questi cambiamenti relazionali, capiti ancora che anche in questi
contesti si esprimano ogni tanto lotte di potere, mi sembra normale e,
senza voler rinnovare alcuna caccia alle streghe, forse dovremmo tutti imparare dal Dalai Lama e vedere in questi piccoli mostri, oltre agli strenui
tentativi della società malata di asservirci, i maestri che ci mettono alla
prova per fortificarci e rinsaldarci nella convinzione di stare agendo nella
giusta direzione.
Perciò nei conflitti, che sorgono nelle relazioni e nei gruppi, non bisogna sprecare energie nella reazione ma cercare di comprendere cosa nella nostra comunicazione non è andata per il
verso giusto.
… e correggerla!
PS: ma Ammon non è il solo ad avere scritto di istinto, aggressività e violenza. Un altro bel libro, un pò più intenso e mirato a diverse ricerche sull'aggressività, anche quelle che studiano i comportamenti aggressivi di persone intermediari di richieste altrui (coloro che sono aggressivi perché gli viene chiesto da una persona di rango gerarchico superiore), è: 'Aggressività', di Mauro Fornaro del 2004 edito da il Centro Scientifico Editore.
Solo un piccolo passo di questo libro a sostegno di quanto sostenuto da Ammon e Reich: 'Anzitutto l'istinto va distinto dal semplice impulso, o spinta, come ricorda Eibl-Eibelsfeldt, essendo questi altri "meccanismi motivanti", che spingono dall'interno dell'organismo e richiedono una qualche azione evolutiva. L'istinto appare invece un programma o modulo comportamentale a disposizione dell'individuo che, una volta innescatosi in certe condizioni scatenanti, prevede sequenze d'azione prefissate; inoltre esso è preformato, nel senso che fin dalla prima esecuzione si manifesta nella sua forma completa e definitiva (e non per aggiustamenti successivi della sequenza comportamentale); infine, generalmente, l'esecuzione è piuttosto rigida, stereotipata, piegandosi scarsamente alla variazione delle circostanze ambientali. Pertanto l'istinto, se per definizione ha le caratteristiche testé elencate, è senz'altro innato, ereditato e selezionato nella filogenesi. (p.56)
Ma veniamo alla rivalutazione umana per quanto concerne alle reazioni istintive nell'uomo.
...Pure nell'uomo esistono comportamenti istintivi, ad esempio le reazioni di paura del bambino intorno all'ottavo mese di fronte all'estraneo, l'atteggiamento di difesa già alla seconda settimana di vita, quando gli si mostra su unp scherma una macchia che, ingrandendosi, dà l'illusione di un oggetto che gli viene addosso.
La questione appropriata nel caso dell'uomo è, secondo noi, se si può includere nella definizione di istinto l'esecuzione dei tipi di comportamento aggressivo di cui sopra: la caccia e comunque l'uccisione di animali a fini alimentari; i conflitti per il territorio, per l'accaparramento di beni (cause prime di lotte tra singoli, tra gruppi e di guerre tra umani); le contese per l'accoppiamento sessuale, le contese per la gerarchia nel gruppo (carriera, posizione di comando, di leadership nella società) ecc. Che ci siano spinte e motivazioni nella direzione di questi tipi di comportamento, non c'è dubbio; che la loro esecuzione sia in toto dettata da programmi filogenetici, preformati e rigidi, quali sono gli istinti, è assai improbabile. Tanto grande infatti è il peso dell'apprendimento e della cultura nell'esecuzione di questi tipi di comportamento, tanto grande poi è la variabilità nelle modalità esecutive individuali e di gruppo. inoltre le circostanze innescanti non paiono così cogenti come nel caso dei comportamenti analoghi nelle specie animali. (p. 57)
Quindi, in sintesi:
In questo senso non c'è un istinto aggressivo, perché "non esiste una regola di condotta universale nel comportamento competitivo e predatorio" (Wilson, 1975: Sociobiologia. La nuova sintesi., Zanichelli, 1979). Piuttosto, a seconda delle circostanze e delle convenienze, si attua l'uno piuttosto che l'altro programma comportamentale. E in varie occasioni può essere più utile , all'individuo o al suo gruppo, rinunciare all'aggressione, o al contrario esercitarla nelle forme più aberranti. (p. 60)
Giuseppe Ciardiello