Un
curioso, paradossale ed (in)evitabile equivoco
di Marcello Mannella
di Marcello Mannella
“Donde le cose hanno nascimento, ivi si
dissolvono secondo la necessità.
Pagano infatti la pena e scontano,
reciprocamente, la colpa commessa,
secondo
l’ordine del tempo.”
Anassimandro
Un
tema interpretativo che attraversa da tempo sottotraccia l’opera di Reich riscuotendo
una certa fortuna, è quello che, fondandosi su una particolare lettura di
alcuni momenti della sua riflessione, fa di lui un (inconsapevole) ricercatore
spirituale, tanto che la sua opera è a volte accostata alle grandi tradizioni
sapienziali di tutti i tempi.
Si sostiene
infatti che egli, avendo rifiutato la concezione riduzionista del reale,
essendo andato oltre un sentire e una rappresentazione egoica dell’esistenza,
avendo affermato la realtà di un oceano di energia cosmica primordiale che
tutto connetterebbe, avrebbe sostenuto con forza la necessità per il genere
umano di riscoprire, dopo essersene allontanato e pertanto smarrito, la sua
costitutiva dimensione esistenziale sovrapersonale.
Occorre dire che questa posizione interpretativa è
accompagnata da un’altra, speculare, che facendo centro intorno alla ricerca
fisica e medica orgonomica di Reich, sostiene, invece, una considerazione della
sua opera radicalmente scientifica e naturalistica. Pur se spesso contrastanti,
entrambe le posizioni interpretative condividono la convinzione dell’efficacia
e del carattere innovativo della dimensione propriamente clinico-terapeutica
(l’analisi del carattere e la vegetoterapia) della riflessione reichiana.
Ritengono però che la sua importanza sia tale soprattutto alla luce della
considerazione – già presente nello stesso Reich - che rappresenti un momento
di passaggio e di preparazione verso altre e risolutive esperienze. Entrambe le
posizioni interpretative sostengono infatti, ancora, la convinzione, in parte
condivisibile anche se spesso proposta con eccessiva enfasi, che l’attuale
condizione dell’umanità rappresenti un momento di transizione verso
un’ulteriore e decisiva tappa della sua evoluzione coscienziale.
Coloro che hanno privilegiato la ricerca orgonomica
sono generalmente sostenitori di una forma di utopismo di stampo positivistico
che trova espressione nel tentativo di individuare le poche e fondamentali
leggi dell’energia orgonica affinché, attraverso la loro conoscenza e
applicazione in ogni ambito, possano
realizzarsi le condizioni per un vivere sociale finalmente sano e armonico, terrestremente felice; quanti privilegiano e leggono l’opera di Reich
attraverso la considerazione che rappresenti per molti aspetti un’esperienza di
ricerca spirituale credono invece di poter cogliere in essa i presupposti e le
anticipazioni per la realizzazione di un nuovo stadio evolutivo, non più
biologico ma coscienziale, il solo capace di portare l’umanità oltre il caos e
la violenza che hanno caratterizzato la sua storia a causa delle
inconsapevolezze legate ad una rappresentazione frammentaria della realtà.
La ragione della coesistenza di queste due diverse e
contrastanti direzioni di pensiero trova, a mio avviso, spiegazione in un’altra
particolarità della riflessione reichiana. Parallelamente, infatti, ad una
chiara ispirazione olistica di fondo, la sua opera presenta la sopravvivenza di
una mentalità e di un linguaggio decisamente meccanicisti e scientisti. Si
viene così a determinare un effetto di stridente contrasto fra l’ispirazione
olistica del suo pensiero, per la quale i diversi aspetti della realtà sono
ricondotti ad un processo di funzionamento comune e il suo atteggiamento e
linguaggio meccanicisti e scientisti portati a ricondurre la complessità di
ogni esperienza ai suoi aspetti quantitativi e meccanici.
Ma torniamo a
portare l’attenzione al tema centrale della nostra discussione, quello che fa
di Reich un ricercatore spirituale. Sia chiaro, non voglio sostenere che nella
sua riflessione siano assolutamente assenti accenti e tematiche di tipo
spirituale, quanto piuttosto sottolinearne i caratteri del tutto particolari
che finiscono per configurarla come una vera e propria metafisica
panteistico-materialista, collocandola, per tanti aspetti, agli antipodi di
ogni autentica esperienza spirituale.
Quanti leggono la sua opera attraverso la
considerazione che essa rappresenti un’esperienza di ricerca spirituale fanno
riferimento all’affermazione dell’esistenza di un oceano di energia orgonica
cosmica, spesso accostata al concetto e alla realtà del ki della tradizione cinese, e alla logica
olistica del pensiero funzionale. Ma soprattutto interpretano, in maniera del
tutto particolare, una figura centrale
della sua riflessione, quella di potenza orgastica. Essi considerano
l’esperienza dell’orgasmo come un’esperienza in cui, nell’acme del piacere
sessuale, caduta ogni forma di controllo mentale, ci si abbandona al flusso
delle sensazioni di piacere che sorgono spontaneamente e, in un profondo
vissuto fusionale con l’amante, si perviene alla realizzazione di un’esperienza
di coscienza allargata capace di farci cogliere il carattere unitario della
realtà. L’esperienza del piacere orgastico rappresenterebbe, pertanto, a loro
parere, la cifra del carattere sovrapersonale e spirituale dell’opera di Reich,
mentre l’affermazione della realtà dell’uomo
genitale - una sorta di uomo risvegliato - costituirebbe
l’auspicio dell’avvento di un nuovo tipo antropologico, di un’umanità
finalmente in grado di attuare una modalità esistenziale funzionale, cioè in grado di vivere in profonda sintonia con la
natura dentro e fuori di sé.
E’ proprio qui
che essi, a mio parere, cadono in un paradossale equivoco interpretativo.
Cerchiamo di chiarirne le ragioni. Concettualmente definito nel periodo
psicoanalitico quando Reich si confrontava con Freud circa il problema
dell’eziologia delle nevrosi, tale concetto ha finito con l’assumere
progressivamente significati che esulano dalla consueta considerazione
dell’esperienza sessuale. Il concetto di potenza orgastica si è venuto infatti
a costituire come espressione dello stesso processo della vita[1],
il filo rosso capace di connettere
tutta la vita vivente, per essere considerato infine espressione di una
funzione naturale ancora più originaria e cosmica, quella della superimposizione[2]
che connetterebbe invece, a parere di Reich, la natura nella sua totalità,
vivente e non vivente.
E’ ne La
funzione dell’orgasmo (1927) che Reich aveva esposto la sua concezione
dell’esperienza del piacere sessuale. Con il concetto di potenza orgastica,
egli aveva inteso la capacità di abbandonarsi, all’acme del piacere sessuale,
“senza alcuna inibizione, al flusso dell’energia biologica, la capacità di
scaricare l’eccitazione sessuale accumulata, attraverso contrazioni piacevoli
involontarie del corpo.”[3]
La distanza che separava Reich dai suoi colleghi psicoanalisti era ormai
enorme: con il concetto di orgasmo egli intendeva qualcosa di qualitativamente
nuovo e diverso, che comprendeva ma non si risolveva nella potenza erettiva e
in quella eiaculativa. L’esperienza del piacere poteva scaturire esclusivamente
dalla profonda sintonia degli amanti, si alimentava del loro abbraccio tenero e
sensuale, del profondo desiderio reciproco.
Ciò che risulta
però sorprendente nella descrizione reichiana dell’esperienza del piacere
sessuale è il fatto che egli, dopo aver significativamente portato l’attenzione
alla qualità della relazione fra gli amanti, sposti progressivamente l’accento
sugli aspetti fisiologici del processo, considerandoli basilari. A suo parere
occorreva bandire ogni fantasia, purificare la sessualità da ogni miscuglio di
eccitazione non genitale, occorreva, a suo dire, cristallizzarla. Gli amanti, allora, piuttosto che vivere il loro
incontro nel segno dell’arte erotica e impegnarsi nel gioco di alimentare il
proprio e altrui piacere, dovevano rivolgere la loro attenzione al flusso delle
propriocezioni. Essi vivono pertanto insieme l’esperienza del piacere fino alle
soglie dell’acme, dopo di che la relazione lascia il posto alla convulsione
orgastica in cui si diventa un frammento di natura pulsante, dimentichi di sé e
dell’altro: “In due organismi viventi l’orgasmo è un evento che accade e non qualcosa che bisogna
‘raggiungere’. E’ come l’improvvisa protusione di protoplasma di un’ameba in
movimento;”[4]
“L’orgasmo non è un fatto psichico, ma al contrario un fenomeno che si verifica
esclusivamente con la riduzione di tutta l’attività psichica alla funzione
vegetativa primordiale;”[5]“Nell’orgasmo
non siamo altro che una massa di protoplasma che si contrae;”[6]
“Il vivente nell’orgasmo, non è altro che una parte della natura pulsante.”[7] “Ciò che intendo è l’esperienza psichica,
l’esperienza psichica primaria dell’unione di due organismi […] E’ l’esperienza
della perdita del nostro ego, del nostro intero mondo spirituale.”[8]
Al contrario, dunque, delle esperienze sapienziali che
hanno individuato nella sessualità una via per portare gli uomini ad un più
alto stato di coscienza e far vivere loro, attraverso l’esperienza del
superamento del proprio io fenomenico, la consapevolezza del carattere e
dell’unità spirituale di tutta l’esistenza, per Reich invece nell’estasi
orgastica accade la riduzione dell’umana esistenza ad un frammento pulsante ed
indifferenziato di energia cosmica primordiale. Delle funzioni superiori,
spirituali, dell’uomo non ne è più nulla, la sua esistenza è ricondotta ad uno
stato, se fosse realmente possibile, addirittura prebiologico, prevegetativo.
Ora, occorre
dire che se è sicuramente fondamentale nell’esperienza sessuale la capacità di
abbandono alle sensazioni di piacere senza esercitare alcuna funzione di
controllo, è altrettanto vero che non è plausibile, né auspicabile, che si
possa vivere un’esperienza di piacere così come egli la descrive. In Reich
l’esperienza del piacere non ha più niente di psichico, di umano, ma accade
quando ogni forma di coscienza si silenzia
nel pulsare meramente energetico del corpo, e si riafferma, annullato il
principio di individuazione, uno stato dell’essere antecedente ogni differenziazione
e quindi di unità e armonia. La descrizione dell’esperienza dell’orgasmo è
emblematica del suo sentire olistico che lo porta a vagheggiare l’anelito
fusionale con la natura primigenia e la sessualità, pertanto, si carica
oltremodo di significati filosofico-metafisici.
La visione reichiana
dell’orgasmo risente, a mio avviso, delle suggestioni della filosofia
panteistico-naturalistica di Giordano Bruno.[9]
Il filosofo è il cantore della natura nella sua infinita potenza creativa. La
sua filosofia è un coraggioso ripensamento della tradizione
filosofico-religiosa neoplatonica: le ipostasi divine dell’Uno, dell’Intelletto
e dell’Anima del mondo, piuttosto che disporsi in un ordine gerarchico nella
graduale perdita di essere, di luce e di perfezione, fino alla zona d’ombra
rappresentata dalla materia, sono fuse insieme nella suprema realtà della
natura, che come Uno-Universo ricomprende in sé ogni opposizione e distinzione.
Dio, per Bruno, è l’universale animazione della natura, è lo spirito universale
che interno alla natura stessa, specifica la materia in un’infinità di forme. Ma pur amando la natura in tutti i
suoi aspetti, il fine del suo filosofare è l’immedesimazione con la sua
infinita potenza creativa. Il filosofo è allora colui che animato da passione
va alla sua ricerca e brama di divenire tutt’uno con essa. E’ ne Gli eroici
furori, con il mito di Atteone, che Bruno esemplifica mirabilmente
l’immedesimazione con la natura naturante. Il mito narra del cacciatore Atteone
che andando a caccia in luoghi inconsueti sorprende Diana, simbolo della natura,
della sua creatività, intenta a fare il bagno. Per la sua colpa sarà trasformato
in cervo e i suoi cani lo sbraneranno. Fuor di metafora, il mito vuol
significare che il filosofo nel suo appassionato amore per la natura,
compresane la verità, annulla la realtà apparente del principio di
individuazione, divenendo tutt’uno con essa, identificandosi con la sua
creatività primigenia.
Come non vedere
allora nella concezione dell’orgasmo di Reich la trascrizione in termini
materialistici della vicenda dell’appassionato amore di Atteone, del suo
ardente anelito fusionale con Diana? La visione della natura di Reich ha
spiccati caratteri panteistico-materialistici - piuttosto che vitalistici come
quella di Bruno - e insieme una forte connotazione in senso finalistico e
olistico. Il finalismo che anima la sua concezione della natura è innanzitutto
chiaramente palesato nella sua considerazione del processo della conoscenza
umana che, in una sorta di trasposizione naturalistica dell’hegeliana Fenomenologia
dello spirito, sottende il movimento dell’energia orgonica a pervenire alla
coscienza di sé. Così come nella filosofia di Hegel, nella figura
fenomenologica della coscienza infelice,
lo spirito, attraverso le vicissitudini della coscienza finita umana,
interpreta il suo dolore come conseguenza della sua scissione dalla coscienza
infinita divina e anela pertanto a ricongiungervisi superando ogni frattura;
così, nel pensiero di Reich, nell’esperienza della conoscenza umana l’energia
orgonica imprigionata nella finitudine della corporeità anela a pervenire alla
comprensione del suo carattere universale.
In Superimposizione cosmica Reich afferma che
“sussiste e prorompe in noi una sete di conoscenza più forte di qualsiasi
pensiero filosofico, sia esso vita-positivo o vita-negativo. Questa divorante
ansia di conoscere può essere sentita come anelito che si propaga fuori dei
sensi per andare oltre la struttura materiale del corpo e ci consente di capire
che cosa vi è di razionale nella visione metafisica dell’esistenza. […] La sete
di conoscere esprime i tentativi disperati, a volte, da parte dell’energia
orgonica entro l’organismo vivente, a comprendere se stessa, a divenire
consapevole di sé. E nel comprendere i propri modi e i propri mezzi di essere,
essa impara a capire l’oceano di energia orgonica cosmica che circonda il
prorompere e l’indagare delle emozioni.”[10]
In quest’ottica profondamente finalistica, al processo della conoscenza si
affianca l’esperienza del processo sessuale.
Sempre in Superimposizione
cosmica, delineando uno scenario cosmologico, Reich sostiene che le diverse
particelle di energia orgonica massa-esente nel loro movimento spiraleggiante
si fondono dando origine alla materia inerte. Ma una volta imprigionata,
l’energia orgonica tende a fuoriuscire, a
erompere dal sacco, per ricongiungersi nuovamente all’oceano di energia orgonica
cosmica. L’amplesso genitale assolve, a suo parere, a questa funzione; ed è qui
che il parossismo finalistico di Reich raggiunge il culmine. Egli sostiene,
infatti, che gli stessi genitali umani avrebbero assunto la loro configurazione
non in quanto forma atta a portare il seme maschile all’interno del corpo
femminile, ma perché solo così sarebbe stato possibile realizzare la funzione
della superimposizione. Sarebbe pertanto l’anelito dell’energia orgonica a
ritornare all’oceano di energia orgonica cosmica a determinare la
configurazione dei genitali, lo struggimento amoroso e la forma eterosessuale
della sessualità.
Per comprendere, allora, la funzione del riflesso
dell’orgasmo[11]
occorre, a suo parere, andare al di là delle interpretazioni materialistiche e
finalistiche che la riconducono all’espulsione del seme e considerarla
piuttosto dal punto di vista bioenergetico-funzionale:
“L’orgone, concentrato nel genitale e tendente in avanti, non riesce a
fuoriuscire dalla membrana. V’è una SOLA
possibilità di sgorgare nella direzione desiderata: mediante il congiungimento
con un secondo organismo […] Vediamo che nella superimposizione degli
orgonomi e nella compenetrazione dei genitali, l’estremità sollecitata e perciò
‘insoddisfatta’ può far defluire le proprie onde d’eccitazione orgonotica nella
loro naturale direzione.”[12]
“I movimenti somatici pre-orgastici ed in particolare i guizzi orgastici
rappresentano gli estremi tentativi dell’orgone massa-esente dei due organismi,
di congiungersi insieme, di COMPENETRARSI. […] Lo struggimento orgastico che tiene un ruolo tanto importante nella
vita animale si palesa dunque come espressione di questo ‘tendere elevandosi
fuori di se stessi’, come ‘anelito’ ad uscire dalla stretta sacca del proprio
organismo. Forse qui si trova la soluzione dell’enigma per cui, tanto
spesso, l’immagine della morte rappresenta l’orgasmo. Anche nella morte
l’energia biologica fuoriesce dai confini del materiale sacco fisico che la
tiene imprigionata. L’irrazionale concetto religioso circa la ‘morte
liberatrice’, l’aldilà ‘di redenzione’ acquista in tal modo fondamento reale.
La funzione che, nell’organismo naturalmente funzionante viene assolta nella
superimposizione sessuale, nell’organismo corazzato ricompare sotto forma di
principio concettuale del nirvana oppure dell’idea mistica di redenzione.
L’organismo religioso, corazzato, lo esprime direttamente: vorrebbe ‘liberare la
sua anima dalla carne’. L’‘anima’ rappresenta l’eccitazione orgonotica; la
‘carne’, i tessuti che la circoscrivono.”[13]
Reich ci propone, dunque, la lettura, nei termini delle
dinamiche dell’energia orgonica, dell’esperienza sessuale umana e insieme di
quei motivi religiosi che enfatizzano l’importanza della dimensione
trascendente dell’anima mentre giudicano
negativamente la dimensione sensibile della sua esistenza. Non sembra, però,
rendersi conto che potrebbe valere anche il reciproco e leggere, pertanto, lo
scenario fisico-cosmologico da lui delineato, l’ipotesi della tendenza alla
superimposizione dell’energia orgonica e l’anelito a ripristinare la sua
condizione originaria, come la sopravvivenza dell’antico motivo religioso
orfico-pitagorico del viaggio che l’anima, caduta nella prigione del corpo e
spinta dalla nostalgia per la sua patria celeste, deve intraprendere per
purificarsi e liberarsi delle suggestioni della dimensione sensibile del
vivere. A tal proposito sono assai significative le affermazioni in cui si
sostiene che “tutte le funzioni del vivente […] hanno origine dal contrasto
primigenio fra l’orgonome materiale e quello energetico”[14],
o in cui si afferma che “il vivente ebbe origine dalla natura non vivente,
quale particolare degenerazione.”[15]
Sono qui chiaramente riproposti in forma particolare il
motivo del contrasto fra lo spirito e la carne e il tema della natura sensibile
come caduta o degenerazione della realtà spirituale. E’ sorprendente constatare
che il Reich della maturità sia pervenuto a negare alcuni fondamentali
presupposti della sua riflessione.
Ricordiamo che un tema dominante il suo pensiero fin dagli inizi è quello
dell’identità funzionale di mente e corpo. Il giovane Reich aveva profondamente
sentito il tema nietzschiano del superamento del tradimento del corpo e della
terra e come Nietzsche aveva provato a ricongiungere cielo e terra[16].
Ora quel dissidio e quel dualismo sembrano essere riaffermati.
Ancora: il
giovane psicoanalista Reich aveva duramente polemizzato con Freud circa la
supposta esistenza dell’istinto di morte. Il motivo del loro contendere ruotava
intorno alla natura del male e del dolore: essi erano connaturati all’umana
esistenza o piuttosto da considerarsi il
frutto della sua inconsapevolezza? Il
Reich maturo sembra, in qualche modo, dare ragione al suo antico maestro.
Infatti se è vero che in Freud il male
ha origine nella realtà biologica della pulsione di morte, mentre in Reich assume i contorni di un male metafisico, come conseguenza della
perdita dell’originario stato di armonia della pulsazione orgonica cosmica a
seguito della comparsa della materia inerte che imprigiona l’orgonome energetico; per entrambi comunque il male è una potenza
che sovrasta l’umana esistenza.
Dato tutto ciò appare
palese che interpretare la sua opera alla luce di supposti significati
di ricerca spirituale è equivocare profondamente il senso della sua
riflessione. Nella sua architettura di pensiero, e in maniera decisamente
accentuata nella sua riflessione matura, dell’uomo, delle sue funzioni
superiori, della sua costitutiva libertà di incamminarsi in un impervio e
personale percorso di ricerca dei possibili significati sovrarazionali e
sovrapersonali dell’esistenza, non vi è più
traccia. Nella sua visione panteistico-materialista dell’esistenza non si
tratta di realizzare una nuova condizione coscienziale-esistenziale
dell’umanità, quanto piuttosto di rivolgersi al passato, di ripristinare una
condizione dell’essere primigenia, antecedente il turbamento provocato dalla caduta dell’energia orgonica
(dell’anima) nella stretta sacca dell’organismo (del corpo) che così la
imprigiona.
Legato alla visione illuminista
di una natura stabile, definita ed armoniosa, Reich disconosce ogni
possibilità di evoluzione e nega all’uomo
ogni senso e funzione, annullandone la specificità ontologica. L’unica
funzione che sembra disposto a riconoscergli è paradossale e negativa: quella
di operare per superare la caduta e riparare la colpa del principio di
individuazione, di porre, cioè, fine al turbamento che la vita manifesta e
l’individualità umana – la cui
condizione proprio per questo non può che essere contrassegnata dal dolore
- hanno provocato all’unità
indifferenziata e perciò armoniosa della natura primigenia.
[1]
“La funzione dell’orgasmo rientra dunque nel novero del quadriritmo: tensione-carica-scarica-distensione.
Abbreviando: ‘funzione t-c’. Gli studi fatti ci hanno confermato che la
funzione t-c non è peculiare soltanto dell’orgasmo. [ ] Ma anche la divisione della cellula obbedisce a questo quadriritmo, non meno
del movimento dei protozoi e dei metazoi di ogni specie. [ ] La
formula dell’orgasmo diventa la formula della vita.” W. Reich, La biopatia
del cancro, Sugarco, p. 31.
[2]
Il concetto di superimposizione non è chiaramente definito da Reich. Esso
sembra indicare sia la dinamica delle particelle di energia orgonica
massa-esente che nel loro muoversi vorticoso si incontrano, si attraggono e si
fondono (si superimpongono) dando origine alla materia inerte, sia assumere
la significazione finalistica della
tendenza dell’energia orgonica imprigionata nell’involucro materiale a
fuoriuscire attraverso l’amplesso sessuale dalla stretta sacca che la contiene
al fine di ricongiungersi con l’oceano di energia orgonica cosmica primordiale.
Si veda W.Reich, Superimposizione cosmica, Sugarco, 1975.
[3]
W. Reich, La funzione dell’orgasmo, Sugarco,1985, p. 116.
[4]
W. Reich, L’assassinio di Cristo, Sugarco, 1994, p. 53.
[5]
W.Reich, La funzione dell’orgasmo, op. cit., p. 145.
[6]
Ibidem, p. 349.
[7]
W. Reich, Analisi del carattere, Sugarco, 1994, p. 479.
[8]
W. Reich, Reich parla di Freud, Sugarco, 1952, p. 41.
[9]
Reich conobbe e amò particolarmente la filosofia di Bruno. A Bruno dedicò un
capitolo dell’Assassinio di Cristo.
[10]
W. Reich, Superimposizione cosmica, op. cit., p. 147.
[11]
Nel riflesso dell’orgasmo “l’organismo […] ‘si abbandona’ completamente alle
sue sensazioni organiche e alle pulsazioni somatiche involontarie del corpo”.
W. Reich, Analisi del carattere, op. cit., p. 448.
[12]
W. Reich, Superimposizione cosmica, op. cit., p. 78.
[13] Ibidem, pp. 79/80.
[14] Ibidem, p. 81.
[15] Ibidem.
[16]
Si veda M. Mannella, rivista
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