sabato 13 luglio 2024

'Holy Shoes' o: 'Esseri' di un'infinita tristezza!

 

Un film da tre stelle!

Preferenze di pubblico: due stelle!

Hmmmm... Film piuttosto scarso per impegnare distraendo da questo caldo estivo da 38 e più!

Però comunque, c'è altro da fare? No! Allora...

Al botteghino due operatori; anche noi siamo in due: una coppia di coniugi che in questa giornata di luglio attaccaticcia e asfissiante, ha preferito una scarpinata pomeridiana al trincerarsi nella bolla del condizionatore casalingo.

Ci siamo impegnati nella ricerca delle ombre dei palazzi per nasconderci ai raggi diretti. Sorpresi della chiusura inedita di alcuni 'nasoni' romani, siamo stati fortunati ad esserci fidati dell'intuito piuttosto che delle proiezioni del gradimento del pubblico. Perché il film che abbiamo visto, noi due soli in una sala enorme, fresca per un salutare condizionamento, se si vuole anche consumistico, ci ha schiaffeggiati con una tristezza infinita.




Holy Shoes (2023).

Diretto da Luigi di Capua. Attori bravissimi. In primis Carla Signoris, ma poi Simone Liberati, la deliziosa Ludovica Nasti, Denise Capezza, Orso Maria Guerrini e la brava Isabella Briganti. E tanti altri personaggi, ugualmente bravi, per un film corale a sottolineare i danni di una dipendenza mediatica e consumistica dove tutti gli eroi, macinati dalla pressione quotidiana, diventano antieroi.

Il film rappresenta la 'perversione consumistica' per eccellenza. Quella che opprime, come la cinepresa posta quasi sempre in primo piano, a sottolineare l'impellenza e la frenesia della vita vissuta a 'filo di lama'. I protagonisti sono impegnati tra possibilità e obbligo nei luoghi dove la discrezione diventa solitudine. In questi ambiti è relegato imprigionato ogni confronto con sé stessi. In questa solitudine  agiscono e vivono Filippo, Luciana, Bibbolino, Mei. Appesi a fili narrativi per i quali basta poco, un'indecisione, un piccolo timore o una patetica incertezza, un momento di compassione o empatia, per diventare reietti sociali. La dimensione paludosa di ogni metropoli e destino di ogni 'rassegnato'!

Per queste persone le 'scarpe magiche' sono la 'carota dell'asino' che, pur attratto dalla carota, lo è inconsapevolmente e in tale stato esaurisce la sua vanità. I personaggi s'impegnano intorno a storie che gravitano intorno all'oggetto del desiderio, le scarpe di cui il titolo, che sole sembrano dare senso e forma alle immagini proiettate del desiderio: dell'amore, del gioco, della passione, della relazione in tutte le sue forme, del riscatto sociale, della ribellione, della fuga, della malattia, della sanità, dell'emarginazione...

In tutte le forme della vita dove è venuta a mancare forse la forma dell'ideologia.

I colori 'stretti' e opachi, spenti malgrado la luminosità e l'ottima fotografia, sono testimoni di un'assenza di oggetti nascosti dall'angustia, dagli spazi psicologici troppo risicati per essere veramente godibili (dai personaggi rappresentati). Come quando Luciana confessa di non essersi mai accorta di poter prendere un brandy al bancone del bar, com'era d'abitudine per le prostitute dei suoi tempi, piuttosto che educatamente seduta a tavolino. O come quando la violenza di Tommaso a carico di due sue coetanee, per rubargli le scarpe, è resa inquadrando solo il volto di Bibbolino o quando la 'liberazione sessuale' di Luciana avviene in un angusta 'ritirata' pubblica o anche quando una carrozzella per invalidi stenta ad entrare in ascensore.

Questi oggetti che mancano, questi colori che mancano di definizione identitaria, rendono ambigua l'identità dell'oggetto del desiderio e lo caricando di ombre approssimative. Lo caricano così di colori spirituali che animano i pensieri dei personaggi. Diventano ambigui essi stessi nelle loro azioni proiettate che, alla fine, 'realizzano' solo vuoti scafandri per la loro identità.

E queste scarpe sono 'vuote'; involucri contenitori di desideri impalpabili e proiezioni fantasticate. Contenitori di spazi inverosimili in cui il 'desiderare' umano perde la sua significativa ricerca interiore per diventare esasperante e ossessiva soddisfazione materiale.

Si comprende allora come sia possibile che nella dimensione consumistica si realizzi compiutamente il disegno pragmatico delle ragioni economiche che, cancellando il senso della ricerca interiore, si misurano con l'unica dimensione che trovano economicamente gestibile: la nevrosi! 

E' in questa dimensione che trova senso l'uso inutile delle cose, il possesso di oggetti sempre più ingombranti, lo svolgimento di attività senza scopi, l'abilità artigianale senza competenza, il bere senza sete e mangiare senza fame.

Cosa c'è da meravigliarsi allora se qualche adulto/adolescente si tagliuzza, qualcun altro si autoinfligge punizioni e qualcun altro ancora pensa di risolvere i conflitti relazionali 'cancellando' la vita dell'altro?

Si recrimina per la violenza.

'Holy Shoes' non parla d'altro; non parla che di 'aggressività trascesa' nell'ambito della violenza e mai più riconosciuta. La violenza della solitudine parolaia, di quella del porno televisivo, di quella al bancone del bar, di quella della domenica chiusi in casa, di quella dei malati e degli invalidi, di quella delle rinunce...

A volte la nostra vita si carica di rinunce. A volte si eredita la 'rinuncia' quando il patto familiare è la promessa di assistere i genitori anziani o sostituirne la graduale dipartita. Quando la fedeltà all'altro diventa più importante di quella a sé stessi. Quando la conquista di un corpo diventa più importante dell'amore. Quando il potere sostituisce la potenza e l'intelligenza cede all'abilità.

In questi casi l'essere umano abdica al 'desiderio', lo travisa e lo confonde col bisogno. Abdica al proprio 'essere umano'; a ciò che lo distingue da quell'asino che vede solo la carota che gli hanno posto davanti agli occhi.


Giuseppe Ciardiello

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