lunedì 1 marzo 2021

La psicoterapia e le sue tecniche

 A proposito della nostra epoca di tante tecniche psicoterapeutiche

La scoperta di tante tecniche psicoterapeutiche derivanti dal buddhismo (MBSR, Mindfulness, Insight Dialogue, Mindfulness relazionale ecc.) e dal cognitivismo (EMDR, Terapia Metacognitiva, Therapy Remediation, Emotional Freedom Technicques ecc.) ripropongono un tema delicato per gli psicoterapeuti e psicologi.

Lo psicoterapeuta è un professionista che, alla pari di altri, che si occupano di salute o è un particolare tipo di professionista? Cioè a dire, i medici, gli insegnanti, i badanti, gli assistenti sociali necessitano di tanta professionalità e di apprendere tecniche specifiche ma a nessuno di loro è chiesto un ulteriore impegno che affianchi la professione, vale a dire di essere altruisti, compassionevoli, caritatevoli e di fare prestazioni gratuite. Tra tutti i professionisti gli psicologi continuano ad essere visti come quelli che devono mostrarsi amici al punto che anche la compassione oggi è promossa a tecnica psicoterapeutica.

Dovendo far diventare danaro la sensibilità, il sostegno e la compassione, diventa allora legittimo per questi professionisti imporsi d’imparare tutte le tecniche che emergono sotto la spinta dei cambiamenti culturali. Le molteplici offerte fanni il pari con il dubbio d’essere capaci di rapportarsi alla mutevole realtà forse perché mancanti della chiave vincente che, fantasticamente, può risiedere nell’ultima tecnica psicoterapeutica, magari proveniente dall’America. E un’altra domanda è se è veramente necessario, per essere un buon terapeuta, imparare tante tecniche o se non sia meglio approfondire la propria tecnica e cercare di perfezionarla con l’esperienza del proprio bagaglio professionale.

È ovvio che credo sia più valida la seconda opzione perché, immersi come siamo in un campo culturale, una volta appresa una tecnica cambia con noi nel corso dell’intera esistenza e tutto ciò che la cultura impone evolutivamente, l’impone anche alla nostra tecnica. Quindi, sempre che si sia disposti ad ascoltarla, si abbia fiducia nel proprio operato e si sia sufficientemente aperti per sperimentare nuove opportunità, la  tecnica in cui ci si è formati è quella che andrebbe coltivata e perfezionata.

Anche la Vegetoterapia (Vgt), in quanto tecnica, ha sofferto questi aspetti.

Nata dall’attenzione selettiva al corpo nell’ambito della psicoanalisi, e ancora carica di romanticismo seppure all’ombra dell’illuminismo, in quel luogo corporeo la Vgt ha cercato le dimensioni sovraindividuali e spirituali che voleva trovare. L’energia orgonica, individuata da Reich, testimonia bisogni filosofici assolutistici che mettono in comunicazione l’uomo col cosmo. Questa esigenza ha spostato l’attenzione dall’individuale al sovraindividuale e ideando una relazione cosmica ha baipassato la relazione umana e lo scambio intersoggettivo.

Il recupero degli aspetti cognitivi e relazionali nell’ambito della Vgt sarebbe un aspetto importante dell’aggiornamento tecnico e operativo di questa disciplina terapeutica. Oggi si sa che non è sufficiente la semplice somministrazione degli acting per arrivare alla scoperta di traumi più o meno complessi o per stimolare, nelle persone che vi si sottopongono, il racconto spontaneo delle esperienze ricordate e farne una nuova edizione.

Allo stesso modo, la sudditanza alla psicoanalisi ha impedito alla Vgt di avvalersi dei propri costrutti attaccandosi ai valori analitici anche quando quella ha cercato nella relazione nuove dinamiche psichiche. Così, anche quando la psicoanalisi si è fatta ‘relazionale’, la Vgt è rimasta fissata nell’approccio intrasoggettivo lasciando lo sguardo immobile sul soggetto terapeutico e la diagnosi esasperatamente energetica. Le cause dei blocchi e della cattiva circolazione energetica ha continuato ad essere addebitata alle contrazioni fisiche personali e si è sempre evitato di cercare nelle dinamiche relazionali i motivi del disagio. Così anche le interazioni, verbali e non verbali tra diversi interlocutori, sono ancora oggi ricondotte ad espressioni caratteriali piuttosto che occasionali o contestuali.

In tal caso le distonie, le disfunzioni e le nevrosi restano relative al singolo.

Uno sguardo al passato, agli scritti di egregi autori che hanno preceduto questi nostri anni cmplessi, penso sia necessario e opportuno anche perché si rispolveri il bisogno del cambiamento.

Per esempio ‘l’interpretazione dei sogni con l’ausilio di acting di Vgt’ dimostra l’effettiva possibilità di adeguare uno strumento tecnico tradizionale, come la Vgt appunto, alle nuove esigenze emotive e culturali dell’epoca moderna. In questo modo non c’è bisogno di rifarsi al passato né è necessario una conoscenza dettagliata dei simboli e delle dinamiche analitiche perché il soggetto è invitato a fare tutto da solo; agire sul suo sogno, con le sue competenze e conoscenze culturali di gruppo ristretto e allargato dando un senso personale ai resoconti e alle nuove evenienze. Ciò accresce l’autostima e la fiducia nella propria creatività.

Lo sguardo alla propria tecnica terapeutica deve quindi modernizzarsi. La tecnica appresa nel corso degli studi deve essere arricchita con le proprie esperienze di vita professionale e personale. È necessario che l’ambito d’intervento si ampli assumendosi in prima persona il coraggio di ideare operazioni in cui anche i semplici acting siano usati per aspetti e dimensioni anche relazionali. Così si pone in primo piano ciò che fin’ora è sfuggito: la cura della fantasia e della creatività.

Questi due processi sono gli unici che possono facilitare la comprensione della comunicazione intercorporea.

Anche nella semplice comunicazione corporea accade qualcosa, tra i protagonisti, che va al di là delle parole e della possibilità di essere narrato. Quel qualcosa ha a che fare sia con l’apprendimento (implicito) sia con il ‘saper come fare’ che “… comporta una conoscenza simbolica o per immagini che consente a fatti o esperienze di essere portati alla piena consapevolezza in assenza delle cose cui rimandano” (p. 365, ‘Le forme di intersoggettività’ L., Carli e C. Rodini, a cura di, RaffelloCortina, 2008). È evidente allora la necessità per l’analizzato di riappropriarsi della propria capacità simbolica e narrativa che è condizione terapeutica, a sua volta, perché si crei un ‘sapere trasversale’ che rende possibile ripensare alla propria esperienza decostruendola per poi ricostruirla con nuove possibilità narrative (p. 30, ‘Lo sguardo e l’azione’, di O., Rossi, EUR, 2009).

Ogni strumento terapeutico ha necessità di essere ripensato per essere adeguato ai tempi e alle esperienze che, formando gli uomini, formano gli stessi strumenti con cui noi, questi uomini, agiscono percepiscono e costruiscono il reale.

Giuseppe Ciardiello














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