L'impianto vegetoterapeutico prevede
l'impiego di acting che consistono in una serie di esercizi (agiti)
ideati per indagarne le modalità di realizzazione, a seconda della fase
evolutiva della relazione terapeutica, per ogni livello e settore
muscolare. Gli specifici e discreti modi di eseguire gli acting, in
vegetoterapia sono interpretati come gli specifici modi che fanno delle persone
quello che sono. In pratica è come seguire la massima per cui si è quello che si fa e il modo in cui lo si fa.
Si ritiene che, per il paziente, ripercorrere
analiticamente il modo specifico di agire e reagire, può richiamare alla
memoria eventuali fissazioni corrispondenti ai
modi in cui si è imparato a svolgere quelle azioni, influenzati dalle relazioni
sociali primarie.
Queste fissazioni possono essere più o
meno importanti a seconda degli eventi, della relazione, dell'età in cui si
realizzano, della durata dell'evento ecc., e possono arrivare anche
a configurarsi come veri e propri trauma.
Pensati originariamente da Reich,
gli acting sono stati formalizzati da Navarro nel 1974 e, ancora
oggi, vengono proposti invariati nella didattica vegetoterapeutica.
La loro esecuzione prevede l'impiego condizionato
dal contesto relazionale (del setting) e dal suo momento storico-evolutivo
anche se, ogni acting, è pensato standardizzato per essere eseguito ad un
certo punto della terapia, per un certo periodo di tempo e per un certo numero
di volte. Inoltre l'esecuzione rispetta la progressione cefalo/caudale (dalla
testa ai piedi) e, mano a mano che si scende di livello muscolare, gli acting
successivi sono coordinati e integrati progressivamente con i precedenti.
Queste indicazioni tecnico-operative,
tramandate quasi solo oralmente e inalterate nella struttura e nella forma da
quasi mezzo secolo, rappresentano il patentino
del vegetoterapeuta; solo coloro che rispettano il modo e i tempi
tradizionalmente descritti da Navarro, sembra che possano definirsi veri vegetoterapeuti.
Forse la solida (...ingombrante?) presenza
delle indicazioni navarriane, unita alla complessa articolazione dell'impianto,
ne ha impedito la modifica perché, per esempio, i vegetoterapeuti che si
occupano di gruppi, sono stati obbligati a contaminare gli acting per
realizzare una maggiore elasticità di esecuzione formale, indispensabile per una
coralità di gruppo degli intenti e vissuti.
In realtà, pur essendo di più difficile
rilevanza, la variabilità del setting s'imporrebbe anche negli incontri
individuali in quanto, ogni strumento terapeutico, è frutto della storia e
della cultura. Essendo la vegetoterapia nata in pieno periodo edipico, è
legittimo pensare che l'attuale periodo narcisistico (Pietropolli Charmet, 2014) possa
insistere per una modifica delle sue sembianze.
Di là della formalizzazione
dell’impianto di Navarro, e del continuo richiamo all’attivazione di specifici
siti cerebrali proposta dalla diagnosi psichiatrica, l’uso degli acting in
relazione alle Dimensioni Psicologiche
(DP) che il paziente sta vivendo nella relazione, si rivela essere una scelta
strategicamente vincente, da un punto di vista psicoterapeutico e psicologico,
per diversi motivi.
Intanto perché, si può dire, la scelta dell’acting viene a dipendere più dal vissuto controtranferale che dalla progressione preformalizzata. Nel tempo analitico del setting, e contrariamente ai desideri di onnipotenza di alcuni terapeuti, è solo dopo aver individuato automaticamente l’acting più funzionale in quel momento che il terapeuta tenta di dare un senso logico alla sua scelta. Queste razionalizzazioni, anche quando, e se, contribuiscono a rendere il controtransfert suscettibile di consapevolezza, lo possono fare sempre e solo dopo la sua emergenza (Vedi nota 1).
Illusione di Ebbinghaus: i due cerchi, A e B, sono uguali |
Anche la ricerca di base testimonia di agiti che precedono la presa di decisione per cui sembra più probabile che la proposta di un acting sia effettuata affidandosi all’intuito piuttosto che al sapere formale in quanto molte condizioni della realtà si presentano, alla nostra percezione, in condizioni di forte ambiguità.
E' probabile che ogni vegetoterapeuta, pur non essendone consapevole, già usi gli acting in relazione alle dimensioni psicologiche che il paziente sta vivendo nella relazione piuttosto che attenersi rigidamente alla progressione prescritta didatticamente. In genere si decide per l'acting più congeniale al momento...
Su queste suggestioni è possibile sostenere che, una volta appropriatosi della tecnica, un vegetoterapeuta deve coltivare altri requisiti, come l'abilità intuitiva e la creatività personale. Questi ultimi sono indispensabili per individuare le DP in gioco nella relazione terapeutica, a meno che non si decida per un’applicazione standard sempre e comunque.
Metodi che la vgt può utilizzare
per coltivare la creatività e l’intuito, possono essere derivati dagli stessi
acting se solo ci si concede una maggiore elasticità d’impiego. Un esempio può
essere l’interpretazione dei sogni che, svolta con l'ausilio degli acting
di vegetoterapia, prevede di stimolare un lavoro immaginativo associato ad
un’attivazione oculare.
Forse proprio questo dovrebbe
essere il compito della vgt: trovare modi affinchè, con strumenti che prevedono
l’impiego del corpo, si possa pervenire all’elaborazione anche delle dimensioni
psicologiche e cognitive. Del resto, oggi il costrutto di mente incarnata lo imporrebbe…
Avendo chiara la dimensione
psicologica vissuta dal paziente nel contesto relazionale, si può pensare all’acting
maggiormente funzionale in quel momento per quel paziente.
Quando la forma classicamente
suggerita per l’esecuzione dell’acting si rivela di difficile realizzazione, il
bravo e creativo vegetoterapeuta ricorre a 1) modi alternativi
di esecuzione o/e 2) all'ideazione di esercizi da essi
derivati.
MODI ALTERNATIVI DI ESECUZIONE DEGLI ACTING
Le modifiche degli acting producono
quelli che si possono definire acting di passaggio e sottoacting.
È molto probabile che queste
modifiche facciano già parte del repertorio soggettivo di ogni terapeuta perché, ogni
persona, appropriandosi di una tecnica o di una procedura, ne personalizza
l’applicazione ideando modifiche funzionali alle specifiche relazioni.
Nell’impianto vegetoterapeutico gli acting andrebbero eseguiti anche tenendo conto a) del livello muscolare coinvolto nell’espressione della dimensione vissuta, b) del momento relazionale e c) della fase evolutiva che la relazione terapeutica sta attraversando.
Per cui anche il controllo, la
coordinazione e l’integrazione del livello muscolare, nel particolare momento
evolutivo della relazione, necessita di una sua maturità. Perciò nel passaggio agli acting successivi diventa indispensabile realizzare i passaggi cercando di realizzare una sintonia tra la fase evolutiva della relazione (la DP che si sta vivendo) e la
capacità di agire gli acting ad essa corrispondenti.
In vgt si dice che un acting deve aver esaurito il suo potenziale evocativo per passare al successivo.
Ma a volte, pur essendo giunti a consapevolizzare
le tematiche condizionanti, il passaggio da una DP all’altra, rimane difficile
per cui, per qualche paziente è veramente oneoroso, se non impossibile, il passaggio
repentino all’acting successivo.
Questa difficoltà sembra suggerire
un’analogia con il costrutto di rottura e
riparazione, invocato dai teorici della teoria dell’attaccamento che vedono,
nel processo di riparazione adottato dalla figura primaria nel momento del
riavvicinamento al bambino, un’efficace strumento relazionale.
Allora al vegetoterapeuta spetta
il compito di ideare una transizione da un livello muscolare all’altro, da una
fase all’altra e da una dimensione all’altra graduando acting trasformativo
(nel senso che vadano ad assumere gradatamente la forma definitiva).
Questi potrebbero definirsi: acting di passaggio.
I sottoacting, invece, potrebbero essere quegli agiti che, dopo
essere stati sperimentati in forma parcellizzata, realizzati insieme possono
formare gli acting definitivi.
Mentre per esemplificare l’uso
delle DP rimando i lettori ai miei lavori sul disturbo panico, per i
sottoacting e gli acting di passaggio, mi riservo di approfondirne l’uso e la
descrizione in lavori successivi.
Giuseppe Ciardiello
Nota 1: La totalità del nostro essere mentale prende delle decisioni, appoggiandosi alle sue articolazioni più diverse, e suggerisce alle diverse periferie di metterle in atto. Di queste decisioni, talvolta, ma non sempre, la coscienza si fa testimone o addirittura portavoce... si attribuiscono alla cosceinza funzioni che questa non appare avere. Siamo quindi solo testimoni delle decisioni, e delle loro conseguenti realizzazioni, che il nostro Sistema Nervoso prende per noi? Questa impopolare conclusione sembra al momento altamente probabile. (Boncinelli, 2010, pag. 237)
... stimoli invisibili (subliminali quindi inconsapevoli) possono attivare sia il talamo sia aree visive superiori della corteccia, scavalcando l'area primaria danneggiata (visione cieca). ... (pag. 84). In ogni momento i nostri sensi sono raggiunti da un massiccio flusso di stimoli; però la nostra mente cosciente sembra garantire l'accesso soltanto a una parte assai ridotta di questi ... In qualsiasi momento, tuttavia, il repertorio reale cosciente è sensibilmente limitato. (pa. 41) (Dehaen, 2014)
Bibliografia
Boncinelli, E., “Mi ritorno in mente”, Longanesi, 2010.
Dehaene, S., “Coscienza e cervello. Come i neuroni codificano il pensiero”,
Raffaello Cortina ed., 2014.
Pietropolli Charmet, G., “Narciso innamorato”, BUR Rizzoli, 2014.
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