lunedì 14 dicembre 2015

Stress, panico e fobie. Quarta ed ultima parte.


La vegeoterapia

 

“Il concetto di embodiment può erroneamente far pensare a una mente che preesiste al corpo e successivamente se ne serve, abitandolo. In realtà mente e corpo sono due livelli di descrizione di una stessa realtà che manifesta proprietà diverse a seconda appunto del livello di descrizione prescelto e del linguaggio impiegato per descriverla. Un pensiero o un’idea, una percezione o un’immagine mentale non sono ovviamente né un muscolo né un neurone. Ma i loro contenuti sono inconcepibili a prescindere dalla nostra situata corporeità.”

(Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze. V. Gallese e M. Guerra, RaffaelloCortinaEditore, 2015)  

 

I sintomi che definiamo ansia, panico e fobia, designano quindi un disturbo relazionale alle fonti del quale è necessario risalire per comprendere il senso della disfunzione e per organizzare, in maniera coerente, gli interventi necessari.

Pur essendo generalmente vero che l’utilizzo di semplici esercizi respiratori hanno un effetto calmante, di fatto non sono utilizzabili nei momenti di crisi di panico o di altre manifestazioni ansiose dato che, l’effetto del disturbo, consiste proprio nella modifica dei parametri vegetativi più automatici dell’organismo.

Da questo punto di vista non bastano raccomandazioni e consigli per far fronte alle crisi d’ansia, di panico e fobie. È necessario prevenire questi disturbi perché, una volta attivatisi, diventa molto difficile contenerli e riportarli sotto la soglia critica senza agire un intervento medico (intendo: senza l’uso di farmaci. Questa difficile ripresa del controllo è quello che legittima l’interpretazione psichiatrica, anche se erroneamente visto l’indirizzo esclusivamente sintomatico). La stessa prevenzione non può ridursi alla precoce lettura delle avvisaglie perché la paura della paura è uno dei meccanismi più automatici che il nostro organismo utilizza nella dinamica della sopravvivenza. Anche dopo una sola volta, quest’automatismo interpretativo tiene ben lontani dal rischio di ricadere nell’esperienza. Una volta attivatosi, questo meccanismo rende temuto tutto quello che è spiacevole nel mondo che ci circonda, e quindi da evitare. Lo fa in automatico e in una maniera così massiva e inconsapevole da formare la base strutturante di alcune dinamiche comportamentali e arrivare anche a dare luogo a credenze. Sembra che la stessa superstizione possa esservi ricondotta (Frith, 2009).

Prevenire, allora, non può che voler dire curare e, nella relazione terapeutica, curare corrisponde all’individuazione delle fasi e degli stadi che la relazione stessa attraversa e, in questi parametri, agire comportamenti alternativi.

Una delle forme terapeutiche più promettenti, per quanto riguarda questi disturbi, è la vegetoterapia che, fin dai suoi esordi, è nata considerando l’intervento psicoterapeutico come strumento di cura. Pur ereditando un approccio psicanalitico, perché allievo di Freud, Reich si accorse presto dell’importanza di intervenire praticamente con i suoi pazienti e cominciò a proporre agiti specifici, durante le sedute, che i pazienti dovevano eseguire. L’esecuzione di questi agiti induceva vissuti analoghi, o simili, a quelli che accompagnavano i disturbi e questa riedizione permetteva un confronto dal quale si potevano dedurre spiegazioni dinamiche oppure sperimentare programmi di comportamento alternativi.

Grazie agli autori succedutisi, la vegetoterapia ha definito meglio il suo campo d’indagine ed è venuta costituendosi con un suo metodo univoco e coerente (Mannella, 2014).

(La vegetoterapia) Come tecnica terapeutica si è sviluppata ideando acting il più possibile simili a comportamenti primari. La logica che li sottende non è l’abreazione, ma la fine modulazione del gesto che, agito con un movimento e un ritmo congeniale alla necessità della persona (agente), permette la riedizione di esperienze congelate nell’organismo. … La VGT ha intuito il modo per poter proporre alle persone di ripercorrere metodicamente le esperienze che le hanno formate tenendo presente che ogni esperienza coinvolge l’organismo complessivo nell’espressione del suo aspetto comportamentale, cognitivo e biologico. … Nell’ambito terapeutico della VGT si realizza un dialogo primario non-verbale fatto di sensazioni e di ritmi, di contrazioni e morbidezze che rimandano alle memorie implicite e ai primi contatti non verbali, attivanti le parti profondamente radicate nella psiche della persona. (Ciardiello, 2012)

Fin dai suoi primi passi l’impianto vegetoterapeutico vede nel corpo la riedizione della mente e nella relazione il realizzarsi di strutture e forme tipicamente soggettive (vedi Analisi del carattere di Reich, 1933). Gli acting sono agiti che veicolano un’esperienza consapevole così da mettere sotto inchiesta il senso del proprio vissuto (infatti, nell’intento di stimolare la consapevolezza, che non viene esplicitamente raccomandata, ogni acting è indagato nei pensieri, nelle sensazioni e nei sentimenti che l’accompagnano).

Per ogni momento terapeutico la vegetoterapia si occupa di comprendere quali dimensioni psicologiche si sono organizzate per quella persona, in quel momento, in quella situazione; cerca di capirne le dinamiche relazionali, il senso della loro organizzazione psicofisica, l’origine storico evolutiva e, alla fine, cerca d’individuare gli acting opportuni per portare questi processi a consapevolezza e ad esame. In tal modo il lavoro vegetoterapeutico si rivela essere fondamentalmente un lavoro di decostruzione e ricostruzione dei vissuti relazionali, che non solo procede per fasi soggettive ma, proponendosi esperienzialmente, prevede un intervento interpretativo più sul versante dell’analogia che del simbolico. Le cose sono più “come se” piuttosto che “è così!” cosa che rende l’individuazione dell’acting adeguato più immediata e vicina al vissuto emozional-cognitivo.

Queste premesse epistemiche hanno permesso di considerare il panico come diverso dalle altre esperienze ansiose. È stato possibile ricostruire una genesi specifica che lo individua come disturbo relazionale e il cui esito insiste in dimensioni diverse da quelle degli altri due disturbi (Ciardiello, 2013). La certezza che esistano complesse configurazioni dimensionali specifiche, probabilmente ugualmente di tipo relazionale, anche per l’ansia, che sia o meno da stress, e per le fobie, fa ben sperare a proposito del fatto che anche l’apporto medicale riuscirà a differenziarsi per questi disturbi e arrivi ad offrire una gamma di interventi più specifici e mirati, ancorchè momentanei, per l’adeguato affiancamento all’intervento privilegiato: la psicoterapia.

 

Giuseppe Ciardiello

 

Bibliografia




Cipolletta, S., "Le dimensioni del movimento", Guerini Ed., 2004.

Frith, C., “Inventare la mente”, Raffaello Cortina Ed., 2009.

Infrasca, R., "Il disturbo da attacchi di panico", FrancoAngeli Ed., 2006.

Liotti, G., “La dimensione interpersonale della coscienza”, Carocci, 2009.

Mannella, M., “Wilhelm Reich. Il dramma e il genio”, Alpes, 2014.

Maturana, H., F., Varela, "L'albero della conoscenza", Garzanti, 1987.

Ruggieri, V. & Coll., (2011), Struttura dell’Io tra soggettività e fisiologia corporea. Roma: EUR.

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