martedì 27 ottobre 2015

Aggressività e violenza



Quale comportamento è violento e quale aggressivo?
Sono ambedue da condannare o è necessario accettarli ambedue?
Quando e quale dei due può essere utile o dannoso?
E' possibile distinguere, in comportamenti normali, le manifestazioni violente dalle aggressive?
Ed è possibile prevedere una degenerazione di questi comportamenti?


Pur riconoscendo naturalmente una differenza sostanziale tra l'aggressività e la violenza, nel linguaggio quotidiano i comportamenti corrispondenti a questi due aspetti temperamentali si sovrappongono così che, anche le interpretazioni delle emozioni corrispondenti, subiscono lo stesso destino sovrapponendosi a loro volta.
L'esito finale di queste sovrapposizioni rischia di essere il misconoscimento sia di ciò che si vive sia di ciò che si vede espresso nel comportamento degli altri, col corrispondente rischio di fraintendimenti relazionali. Così si possono accettare comportamenti violenti, perché apparentemente aggressivi, e rifiutare quelli sanamente aggressivi perché apparentemente violenti.


Anche il modo di fare politica, che dovrebbe essere la massima espressione della civiltà di un popolo ed il mezzo relazionale educativo per eccellenza, non rende semplice questa distinzione perché, anche nelle immagini proposte dai diversi media, si sovrappongono sempre di più espressioni aggressive veicolanti messaggi violenti ed offensivi che alimentano sempre più imago ambigue e difficilmente definibili in maniera univoca.


Alla luce di queste spinte sembra quasi anacronistico e inutile cercare una distinzione semantica per termini così semplici e quotidiani, ma questo solo perché si è perso il senso della necessità di adottare un atteggiamento di comprensione, anche per le cose vicine e quotidiane, come se fossero nuove, originali ed estranee e perciò meritevoli di attenzione.


Allora i tentativi di assumere oggi, a fronte di tante notizie relative alle violenze quotidiane, atteggiamenti che difendano i comportamenti cosiddetti aggressivi, potrebbero sembrare di rottura e provocazione. Invece si potrebbe partire proprio dai classici antropologici per scoprire che Lorenz equiparava l’aggressività alla nutrizione, alla fuga e alla procreazione e che, contrariamente alla guerra, riteneva l’aggressività innata in quanto indispensabile alla sopravvivenza (aggressività difensiva), all’evoluzione (aggressività adattiva) e alla maturazione dell’individuo (aggressività esplorativa).


Su queste esposizioni si può convenire sul fatto che per ogni relazione è anche necessario ed opportuno saper assumere comportamenti disinvolti, sciolti e non inibiti e che, in tanti momenti relazionali, come nelle schermaglie amorose, nei giochi dei bimbi, nella partecipazione sportiva, nella realizzazione artistica ecc. ci sono momenti in cui è necessario agire spontaneamente e senza tanti riguardi ai canoni sociali sanciti, almeno quando questi prescrivono comportamenti eccessivamente riguardosi, e che l'importante diventa la condivisione e il riconoscimento degli altri come persone.


Il problema è che a volte, e purtroppo sempre più spesso, anche l'aggressività si carica di violenza e diseduca rispetto agli aspetti distruttivi o di conservazione.


A proposito della distruttività, un indice di individuazione discriminante potrebbe essere lo scopo per cui il comportamento è agito.


Mentre l'aggressività si realizza anche nella preservazione dell'oggetto di relazione, come quando i bambini molto piccoli imparano a non mordere il capezzolo dal quale succhiano oppure quando imparano ad affermare sé stessi rispettando l'individualità e l'esigenza degli altri, la violenza si esprime sempre nel distruggere l'oggetto del rapporto, sia quando è un oggetto reale sia quando è un oggetto fantasmatizzato (una persona).
 
In un mondo globalizzante è sempre più necessario rispettare le diversità di significato, come quello di adgredior che rimanda alla vitalità, per preservare il buono relazionale che caratterizza l'individuo. Senza le opportune, anche se a volte pedanti, distinzioni ci sarebbe il rischio reale della massificazione che comporterebbe la demonizzazione anche degli aspetti gioiosi circa la capacità e il piacere di godere, anche con veemenza quando è il caso ed è possibile, di quei piccoli grandi momenti di aggressività, di decisione, di affermatività, di perentorietà, di coraggio e di energia che devono caratterizzare il proprio diritto a vivere.


Un richiamo ai modi di essere violenti, impliciti in quelle modalità relazionali che negano o non tengono conto della soggettività dell'altro, è suggerito nel seguente articolo:


http://www.analisi-reichiana.it/psicoterapiaanaliticareichiana/index.php/23-rivista/numero-2-2015/166-e-amore-cio-che-e-nel-tuo-cervello


Giuseppe Ciardiello



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