venerdì 27 maggio 2016

Acting, sottoacting, acting di passaggio e dimensioni psicologiche

L'impianto vegetoterapeutico prevede l'impiego di acting che consistono in una serie di esercizi (agiti) ideati per indagarne le modalità di realizzazione, a seconda della fase evolutiva della relazione terapeutica, per ogni livello e settore muscolare. Gli specifici e discreti modi di eseguire gli acting, in vegetoterapia sono interpretati come gli specifici modi che fanno delle persone quello che sono. In pratica è come seguire la massima per cui si è quello che si fa e il modo in cui lo si fa.

Si ritiene che, per il paziente, ripercorrere analiticamente il modo specifico di agire e reagire, può richiamare alla memoria eventuali fissazioni corrispondenti ai modi in cui si è imparato a svolgere quelle azioni, influenzati dalle relazioni sociali primarie.

Queste fissazioni possono essere più o meno importanti a seconda degli eventi, della relazione, dell'età in cui si realizzano, della durata dell'evento ecc., e possono arrivare anche a configurarsi come veri e propri trauma.

Pensati originariamente da Reich, gli acting sono stati formalizzati da Navarro nel 1974 e, ancora oggi, vengono proposti invariati nella didattica vegetoterapeutica.
La loro esecuzione prevede l'impiego condizionato dal contesto relazionale (del setting) e dal suo momento storico-evolutivo anche se, ogni acting, è pensato standardizzato per essere eseguito ad un certo punto della terapia, per un certo periodo di tempo e per un certo numero di volte. Inoltre l'esecuzione rispetta la progressione cefalo/caudale (dalla testa ai piedi) e, mano a mano che si scende di livello muscolare, gli acting successivi sono coordinati e integrati progressivamente con i precedenti.


Queste indicazioni tecnico-operative, tramandate quasi solo oralmente e inalterate nella struttura e nella forma da quasi mezzo secolo, rappresentano il patentino del vegetoterapeuta; solo coloro che rispettano il modo e i tempi tradizionalmente descritti da Navarro, sembra che possano definirsi veri vegetoterapeuti.

Forse la solida (...ingombrante?) presenza delle indicazioni navarriane, unita alla complessa articolazione dell'impianto, ne ha impedito la modifica perché, per esempio, i vegetoterapeuti che si occupano di gruppi, sono stati obbligati a contaminare gli acting per realizzare una maggiore elasticità di esecuzione formale, indispensabile per una coralità di gruppo degli intenti e vissuti.


In realtà, pur essendo di più difficile rilevanza, la variabilità del setting s'imporrebbe anche negli incontri individuali in quanto, ogni strumento terapeutico, è frutto della storia e della cultura. Essendo la vegetoterapia nata in pieno periodo edipico, è legittimo pensare che l'attuale periodo narcisistico (Pietropolli Charmet, 2014) possa insistere per una modifica delle sue sembianze.

Di là della formalizzazione dell’impianto di Navarro, e del continuo richiamo all’attivazione di specifici siti cerebrali proposta dalla diagnosi psichiatrica, l’uso degli acting in relazione alle Dimensioni Psicologiche (DP) che il paziente sta vivendo nella relazione, si rivela essere una scelta strategicamente vincente, da un punto di vista psicoterapeutico e psicologico, per diversi motivi.


Intanto perché, si può dire, la scelta dell’acting viene a dipendere più dal vissuto controtranferale che dalla progressione preformalizzata. Nel tempo analitico del setting, e contrariamente ai desideri di onnipotenza di alcuni terapeuti, è solo dopo aver individuato automaticamente l’acting più funzionale in quel momento che il terapeuta tenta di dare un senso logico alla sua scelta. Queste razionalizzazioni, anche quando, e se, contribuiscono a rendere il controtransfert suscettibile di consapevolezza, lo possono fare sempre e solo dopo la sua emergenza (Vedi nota 1). 
cerchi A e B sono esattamente della stessa grandezza; ma, B viene ...
Illusione di Ebbinghaus: i due cerchi, A e B, sono uguali



Anche la ricerca di base testimonia di agiti che precedono la presa di decisione per cui sembra più probabile che la proposta di un acting sia effettuata affidandosi all’intuito piuttosto che al sapere formale in quanto molte condizioni della realtà si presentano, alla nostra percezione, in condizioni di forte ambiguità. 




E' probabile che ogni vegetoterapeuta, pur non essendone consapevole, già usi gli acting in relazione alle dimensioni psicologiche che il paziente sta vivendo nella relazione piuttosto che attenersi rigidamente alla progressione prescritta didatticamente. In genere si decide per l'acting più congeniale al momento... 

ILLUSIONI OTTICHE - Effetti Ottici, Vista, Inganno, Paradossi ...



Su queste suggestioni è possibile sostenere che, una volta appropriatosi della tecnica, un vegetoterapeuta deve coltivare altri requisiti, come l'abilità intuitiva e la creatività personale. Questi ultimi sono indispensabili per individuare le DP in gioco nella relazione terapeutica, a meno che non si decida per un’applicazione standard sempre e comunque.

Metodi che la vgt può utilizzare per coltivare la creatività e l’intuito, possono essere derivati dagli stessi acting se solo ci si concede una maggiore elasticità d’impiego. Un esempio può essere l’interpretazione dei sogni che, svolta con l'ausilio degli acting di vegetoterapia, prevede di stimolare un lavoro immaginativo associato ad un’attivazione oculare.


Forse proprio questo dovrebbe essere il compito della vgt: trovare modi affinchè, con strumenti che prevedono l’impiego del corpo, si possa pervenire all’elaborazione anche delle dimensioni psicologiche e cognitive. Del resto, oggi il costrutto di mente incarnata lo imporrebbe…

Avendo chiara la dimensione psicologica vissuta dal paziente nel contesto relazionale, si può pensare all’acting maggiormente funzionale in quel momento per quel paziente.


Quando la forma classicamente suggerita per l’esecuzione dell’acting si rivela di difficile realizzazione, il bravo e creativo vegetoterapeuta ricorre a 1) modi alternativi di esecuzione o/e 2) all'ideazione di esercizi da essi derivati.

MODI ALTERNATIVI DI ESECUZIONE DEGLI ACTING


Le modifiche degli acting producono quelli che si possono definire acting di passaggio e sottoacting.

È molto probabile che queste modifiche facciano già parte del repertorio soggettivo di ogni terapeuta perché, ogni persona, appropriandosi di una tecnica o di una procedura, ne personalizza l’applicazione ideando modifiche funzionali alle specifiche relazioni.



Nell’impianto vegetoterapeutico gli acting andrebbero eseguiti anche tenendo conto a) del livello muscolare coinvolto nell’espressione della dimensione vissuta, b) del momento relazionale e c) della fase evolutiva che la relazione terapeutica sta attraversando.
Per cui anche il controllo, la coordinazione e l’integrazione del livello muscolare, nel particolare momento evolutivo della relazione, necessita di una sua maturità. Perciò nel passaggio agli acting successivi diventa indispensabile realizzare i passaggi cercando di realizzare una sintonia tra la fase evolutiva della relazione (la DP che si sta vivendo) e la capacità di agire gli acting ad essa corrispondenti.



In vgt si dice che un acting deve aver esaurito il suo potenziale evocativo per passare al successivo.

Ma a volte, pur essendo giunti a consapevolizzare le tematiche condizionanti, il passaggio da una DP all’altra, rimane difficile per cui, per qualche paziente è veramente oneoroso, se non impossibile, il passaggio repentino all’acting successivo.

Questa difficoltà sembra suggerire un’analogia con il costrutto di rottura e riparazione, invocato dai teorici della teoria dell’attaccamento che vedono, nel processo di riparazione adottato dalla figura primaria nel momento del riavvicinamento al bambino, un’efficace strumento relazionale.

Allora al vegetoterapeuta spetta il compito di ideare una transizione da un livello muscolare all’altro, da una fase all’altra e da una dimensione all’altra graduando acting trasformativo (nel senso che vadano ad assumere gradatamente la forma definitiva).
Questi potrebbero definirsi: acting di passaggio.

I sottoacting, invece, potrebbero essere quegli agiti che, dopo essere stati sperimentati in forma parcellizzata, realizzati insieme possono formare gli acting definitivi.

Mentre per esemplificare l’uso delle DP rimando i lettori ai miei lavori sul disturbo panico, per i sottoacting e gli acting di passaggio, mi riservo di approfondirne l’uso e la descrizione in lavori successivi.


Giuseppe Ciardiello


Nota 1: La totalità del nostro essere mentale prende delle decisioni, appoggiandosi alle sue articolazioni più diverse, e suggerisce alle diverse periferie di metterle in atto. Di queste decisioni, talvolta, ma non sempre, la coscienza si fa testimone o addirittura portavoce... si attribuiscono alla cosceinza funzioni che questa non appare avere. Siamo quindi solo testimoni delle decisioni, e delle loro conseguenti realizzazioni, che il nostro Sistema Nervoso prende per noi? Questa impopolare conclusione sembra al momento altamente probabile. (Boncinelli, 2010, pag. 237)

... stimoli invisibili (subliminali quindi inconsapevoli) possono attivare sia il talamo sia aree visive superiori della corteccia, scavalcando l'area primaria danneggiata (visione cieca). ... (pag. 84). In ogni momento i nostri sensi sono raggiunti da un massiccio flusso di stimoli; però la nostra mente cosciente sembra garantire l'accesso soltanto a una parte assai ridotta di questi ... In qualsiasi momento, tuttavia, il repertorio reale cosciente è sensibilmente limitato. (pa. 41) (Dehaen, 2014)


Bibliografia

Boncinelli, E., “Mi ritorno in mente”, Longanesi, 2010. 
Dehaene, S., “Coscienza e cervello. Come i neuroni codificano il pensiero”, Raffaello Cortina ed., 2014. 
Pietropolli Charmet, G., “Narciso innamorato”, BUR Rizzoli, 2014.

venerdì 6 maggio 2016

I movimenti oculari e la memoria incoscia

La vegetoterapia si avvale dei movimenti oculari per riattivare la memoria di eventi che sono stati dimenticati o ai quali non è stata data consapevolmente l'importanza che meritavano.

Ma, indipendentemente dai ricordi, sembra che il movimento degli occhi si leghi specificamente alla memoria relazionale.

Il sostegno empirico a questa convinzione viene da un team di ricercatori dell'Università della California a Davis, che ne parlano in un articolo pubblicato sulla rivista "Neuron".

Gli autori hanno ipotizzato che l'ippocampo, organo deputato a richiamare alla coscienza eventi passati, sia anche il luogo deputato alla loro gestione nell'espressione relazionale.

Per valutare questa ipotesi, Deborah Hannula e Charan Ranganath (http://www.cell.com/neuron/abstract/S0896-6273(09)00636-9) hanno utilizzato la RMSf per monitorare l'attività cerebrale di persone sottoposti alla visione di eventi in cui erano accoppiati volti e scene.

Poi venivano riproposte le scene e i volti separatamente con il compito di associarli scegliendo i volti da una serie di tre. Nel contempo venivano registrati i movimenti oculari.

Gli autori hanno verificato che i soggetti passavano più tempo a scrutare i volti mostrati associati alle scene, anche quando la scelta era sbagliata (affermando la mancata relazione quando invece il volto si associava).


Specie quest'ultimo punto dimostrerebbe che i movimenti oculari aumentano anche quando il ricordo è inconsapevole. Inoltre, che l'attivazione dell'ippocampo si correla alla tendenza delle persone ad osservare quel viso.

Pur considerando il cervello complessivamente coinvolto in ogni attività, quindi anche in quelle di rammemorazione, è stato osservato che l'ippocampo subiva un particolare incremento di attività alle risposte esatte.

A parte il ruolo che l'ippocampo può avere nella consapevolezza, il fatto che, anche quando il ricordo è impreciso il movimento degli occhi risulta più attivo, mostra che esiste un legame preciso con il ricordo inconsapevole e quindi, secondo i due autori, i movimenti oculari possono essere usati come un binario di entrata nella memoria per persone con difficoltà cognitive, per bambini e per quanti  mostrano difficoltà negli usuali test sulla memoria. Inoltre: "Il tracciamento degli occhi potrebbe essere usato per ottenere informazioni su eventi che hanno coinvolto le persone anche quando non ne hanno memoria cosciente o tentano di nascondere l'informazione". 


E' di per sé evidente quanto questa ricerca vada nel senso della validazione anche del lavoro svolto con l'EMDR (Eyes Movement Desensitization and Reprocessing).

Per la vgt significa qualcosa in più perché ci si basa anche sulle contrazioni corporee. 

Quella delle contrazioni corporee come àncora di eventi storico emozionali, è una evenienza considerata anche dall'EMDR, anche se non è giunta ad una formalizzazione complessiva.
In questa tecnica è considerata la possibilità di sostituire le stimolazioni oculari con il taping, che è una sorta di autostimolazione ritmica, che ricerca l'àncora sensoriale aptica.

La convalida per l'utilizzo del complesso corporeo può venirci dalla fisiologia.

Si sa che la funzione attentiva coinvolge tutto il corpo, non si limita quindi ai movimenti oculari, generando una tensione generalizzata. Quando si è attenti aumenta la tensione miografica di moltissimi distretti corporei. L'esperienza immediata può essere data dalla stanchezza oculare (muscoli estrinseci ed intrinseci degli occhi), dalla stanchezza e irrigidimento dei muscoli zigomatici, a volte del risorio, dei pellicciai e, molto spesso, dal dolore generato dalla tensione dei muscoli del collo e della nuca.

Inoltre, l'atteggiamento attento si esprime anche nella postura.


E' possibile allora ipotizzare che, anche se la scienza si limita a parlare dei soli movimenti oculari, in presenza di elementi che si legano ad eventi relazionali specifici che a loro volta si legano ai movimenti oculari, anche altri distretti corporei si attivano in sintonia con i suddetti movimenti ed è possibile che si determini un legame con l'aumento di tensione miografica.

L'aumento di tensione darà una forma specifica al corpo e, se queste tensioni corrispondono agli eventi relazionali che le persone possono aver dimenticato, questa forma corrisponderà alla caratterialità (Navarro, "Caratterologia post-reichiana" 1991).

La carraterialità è qualcosa che dà forma agli individui e, proprio per questo, ogni individuo può facilmente osservarla negli altri ma non è consapevole della propria.

Il lavoro di vgt consiste anche nel sensibilizzare circa l'autosegnalazione periferica.
Si può diventare più consapevoli dei propri atteggiamenti, come quelli attentivi, oppure, non essendone consapevoli, quelle stesse tensioni,  che sono disfunzionali nella quotidianeità, diventano finestre di accesso agli eventi importanti. 

Giuseppe Ciardiello

mercoledì 4 maggio 2016

Sui bambini: i figli del futuro.

"I figli sono uno diverso dall'altro. Sembra un'affermazione ovvia, ma occorre ricordarlo sempre e con chiarezza: ogni bambino nasce con un proprio temperamento.
Per temperamento intendiamo l'insieme delle istanze biologiche e genetiche, i cosiddetti istinti, che guidano le prime reazioni dell'individuo verso l'ambiente. Il temperamento ha un ruolo attivo nello sviluppo del bambino e ne determina in gran parte lo stile comportamentale futuro. Ma è dall'incontro del temperamento con le condizioni ambientali - la famiglia e la società - che nasce l'Io: la sensazione, cioè, di essere un'unità distinta dal mondo esterno." ("Le madri non sbagliano mai", Giovanni Bollea, Feltrinelli, 1995).

Su queste stesse premesse Navarro comincia il suo testo: "Il concetto di temperamento lo si deve legare a quello di costituzione, cioè alle basi congenite dell'individuo. .. il periodo neo-natale, che termina con lo svezzamento, è un periodo temperamentale in cui da parte del neonato, più che una intenzionalità, vi è una reattività. Lo svezzamento implica un'entrata in funzione di tipo intenzionale della neuromuscolarità ed è quindi ovvio che, uno svezzamento precoce, peggio se mal fatto, anticipa pericolosamente e forzatamente l'attività neuromuscolare. Ed è la funzionalità neuromuscolare che provoca la formazione della caratterialità e poi del carattere." ("Caratterologia post-reichiana", Federico Navarro, Nuova Ipsa Ed., 1991)

L'infanzia non è sempre esistita. 

Sembra un'affermazione provocatoria ma è la realtà: 

"Durante tutto il Medioevo l'idea che l'infanzia fosse una componente della struttura sociale semplicemente non esisteva... Di vera e propria nascita dell'idea di infanzia si può parlare solo alla fine del XVIII secolo, con l'Illuminismo, che ne affermò, per la prima volta nella storia dell'umanità, alcuni "diritti", in verità molto più teorici che reali." (Bollea, idem) 

L'infanzia ha solo un secolo di vita, che è poco per il suo pieno sviluppo, ma si può dire lo stesso per le nostre intelligenze?

Si sa che dalle primissime esperienze si forma la mente del bambino e nascono le istanze psicologiche fondamentali che poi, nel corso dell'evoluzione, devono solo evolvere.

Saperlo però non mette gli adulti nella condizione di essere conseguenti nei rapporti con i bambini.

Sembra allora importante essere sollecitati a chiedersi costantemente chi si è, in loro presenza, e cosa si desidera per sé, da loro. Ancora troppo spesso questi bambini, che non sono "i nostri bambini" perché ci sono solo dati in prestito (Reich, Bambini del futuro), vengono visti come nostri o come oggetti per la felicità dei genitori.

I palinsesti televisivi, che raccontano le brutte notizie relative a queste piccole vittime, sembra non trovino il tempo né i modi per descrivere l'idoneo comportamento adulto da tenere. 
Su quali potrebbero essere i comportamenti capaci di prevenire malformazioni della caratterialità, anche quando ci si fida della saggezza della natura umana, non tutti possono dirsi maestri. Per questo è necessario avvalersi di chi li ama. 

Si può e si deve approfittare e ripetere come un mantra i loro suggerimenti:

Da "Le madri non sbagliano mai" di G. Bollea. 

Decalogo del padre ideale:

1. Essere se stessi e non "sepolcri imbiancati"
2. Essere disponibili nel gioco, nella discussione, nell'ascolto
3. Dare esempio di autocontrollo e di intransigenza sul piano morale
4. Dare sicurezza nelle piccole e grandi cose, per insegnare loro a vedere l'essenziale nei fatti positivi e negativi della vita
5. Non essere padre infallibile, ma padre che "alla fine" troverà una soluzione ai problemi della vita
6. Mantenere il segreto delle confidenze dei figli dopo i dieci anni, anche con la moglie, se i ragazzi lo desiderano
7. Essere autorevole e non autoritario, creando la stima con l'esempio
8. Controllare il proprio temperamento con i figli, esattamente come con gli estranei
9. Mostrare armonia, stima e concordanza pedagogica con la moglie davanti ai figli
10. Rendere almeno la cena un punto d'incontro per la famiglia, dove si possa conversare senza interferenze esterne

...e il decalogo che la famosa pedo-psichiatra Susan Isaacs suggerisce alle mamme:

1. Non dire semplicemente "non devi fare questo" se puoi aggiungere "ma fai quest'altro"
2. Non chiamarli "capricci" quando si tratta soltanto di cose che disturbano
3. Non interrompere qualsiasi cosa faccia il bambino senza dargli un preavviso
4. Non "portare" a passeggio il bambino, ma vai a passeggio "con" lui
5. Non esitare a fare delle eccezioni alle regole
6. Non prendere in giro il bambino e non fare dei sarcasmi: ridi "con" lui, e non "di" lui
7. Non fare mostra del bambino agli altri e non farne un giocattolo
8. Non credere che il bambino capisca ciò che gli dici solo per il fatto che tu lo capisci
9. Mantieni le tue promesse e non farle quando sai di non poterle mantenere
10. Non mentire e non sfuggire alle domande





Alla fine di questo pensiero ai bambini  un caro ringraziamento va ai colleghi SIAR
per l'impegno donato a questo tema. 


Giuseppe Ciardiello









domenica 1 maggio 2016

Il lavoro del (sul) sogno in vegetoterapia

Il mondo dei sogni

I sogni hanno sempre assunto un posto, al contempo, importante e discreto nella vita delle persone perché quando ci si sveglia, nel cuore della notte, mentre che si sta sognando, la ripresa del sonno è facilitata riagganciandosi alle ultime scene del sogno mentre, al contrario, in caso di incubi è necessario agganciarsi ad elementi diversi dalle ultime immagini.

L'ipotesi dinamica più semplice, che cerca di spiegare il senso di questo evento, si basa sull'idea che la psiche, durante il sonno, si adagia in un'elaborazione specifica del materiale profondo, inconscio, colorandosi di quella specificità e restandone impressa.
Il mondo onirico allora s'impone all'attenzione rivelandosi reale allo stesso modo della realtà quotidiana, perché vissuto profondamente e viva partecipazione, e diventa interessante il fatto che, pur essendo il sogno materiale fantastico creato da un'elaborazione mentale spontanea e senza contatti con la realtà, riesce a influire su comportamenti reali (emessi): il risveglio e il riaddormentamento.

Addirittura volte il sogno è più reale della stessa realtà.

Allo stesso modo in cui provoca il risveglio e l'addormentamento, il sogno colora di sé anche lo spirito, l'anima del sognatore. Infatti può capitare di svegliarsi contenti e allegri mentre altre volte ci si sveglia avendo un diavolo per capello senza sapersene spiegare il motivo che può risiedere nelle elaborazioni mentali che cercano di dare un senso agli eventi di vita.


Il sogno rappresenta anche il tentativo di elaborare modalità personali e soggettive per risolvere i problemi:

"A prescindere da quanto oscuro possa sembrare, un sogno fa parte delle nostre risposte a quel che ci accade nella realtà durante il giorno; rispecchia la situazione che ci provoca angoscia o conflitti, ma di questi sentimenti non siamo ancora consapevoli sul piano cosciente" (R. Langs, "Decodificare i propri sogni", DeAgostini ed., 1989).

I luoghi del sogno

Anche considerando che la scena del sogno si realizza nella mente, e che nel contempo sono escluse le innervazioni sensoriali che dalla periferia collegano il corpo al cervello, il luogo del suo svolgimento coinvolge il corpo intero in quanto proscenio dell'intera rappresentazione.

Nel momento della produzione onirica l'organismo intero si raccoglie e si focalizza sia nello svolgimento della trama sia nello scopo che la storia che si sta svolgendo cerca di raggiungere.
Ponendosi, il corpo, come "osservatore partecipante", per la mente tutto diventa possibile e, potendosi finalmente preoccupare solo di temi cari, si mette alla ricerca di soluzioni per gli intrighi relazionali e per le storie che sono importanti per il regista, che in questo contesto è confuso con lo spettatore.

Gli strumenti del sogno

Per realizzare questi scopi la mente si avvale di tutte le strategie di cui è capace trovando anche nel fantastico una possibile soluzione.
Venendo meno il vincolo dovuto ai processi razionali, e alle regole logico matematiche che caratterizzano i processi condivisi come reali, la mente recupera autonomamente tutti i processi alternativi come modalità soggettive di elaborazione.

Quando la mente si abbandona, cedendo al mondo onirico ricompone anche i reami dei processi interattivi che, nel contesto della realtà, appaiono disfunzionali e tra loro distanti e che, grazie al fantastico, al metaforico, al surreale, all'allegorico, al simbolico, all'immaginario, che emergono quanto più si cede al sonno, possono letteralmente creare, dalle ombre, oggetti che gradatamente prendono colore e forma fino a suscitare sensazioni di verità.

I movimenti rapidi degli occhi (REM - Rapid Eye Movement), rilevabili in tutti gli studi di polisonnografia, sono movimenti che si ripropongono sia durante l'attività onirica sia da svegli (M. Mancia, "Sonno e sogno", Ed. Laterza, 2006; Hobson, "La scienza dei sogni. Alla scoperta dei segreti dei sogni", Ed. Mondadori, 2003).

Questa similitudine significa che c'è un'analogia tra l'attività cerebrale da svegli e quella di quando si sogna. Ciò vuole anche dire che queste due forme processuali del nostro cervello, pur agendo allo stesso modo, realizzano due diverse dimensioni.
Queste due dimensioni generano due vissuti che interpretano due verità diverse.

In tal modo qualunque tipo di pensiero, prodotto da processi cerebrali simili, per superare l'esame della realtà deve essere sottoposto alla condivisione relazionale.
Sarà solo nel momento della condivisione che un pensiero, un'idea, una fantasia, potrà confermarsi nel suo aspetto di realtà o di fantasia o  allucinazione. 

Il materiale del sogno

I sogni poi s'impongono all'attenzione anche perché si occupano principalmente di relazioni e di fatti reali.

I temi umani, anche quando prendono a pretesto eventi pratici della quotidianeità, sono sempre confusi con eventi di relazione e sembra proprio che l'inconscio di ognuno tenga prioritariamente conto di eventi che propongono problemi relazionali.

In questo non c'è niente di strano! 
Ognuno, concepito in una relazione, nel migliore dei casi è venuto al mondo ed è cresciuto sotto l'ombra accudente di una relazione e, nel corso della vita, continua a coltivare e cercare relazioni che richiamano quelle da cui proviene, in un continuo tentativo di riparazione

Per la sua importanza e persistenza nel corso della vita, la relazione può essere considerata la matrice biologica che dà forma alla psiche e che, attraverso i sogni, elabora gli intrecci del materiale che alberga la mente.
Questa caratteristica rende i sogni sempre attuali e, anche quando, seguendo le indicazioni di Freud, riusciamo a risalire al materiale infantile simbolicamente rappresentato nel sogno, l'intreccio ultimo rimanderà a situazioni problematiche vissute nel quotidiano.

"Ricordare un sogno è come scoprire all'improvviso che ci si trova sulla vetta di un monte: sai dove sei, ma non sai come ci sei finito, e non sai per quale motivo ci sei andato; non riesci nemmeno a capire quale sia la tua posizione precisa in quel momento. Per scoprire quello che sta succedendo devi tornare sui tuoi passi, scendere dal monte e rifare a ritroso il percorso fino al punto in cui tutto ha avuto inizio" (Langs, id.).

Anche parlare dei sogni, sui sogni, obbliga ad usi metaforici perché sognare è (ri)trovarsi in un mondo nuovo ogni volta e, contemporaneamente, in un mondo antico.

Ma, se i sogni sono autoprodotti e composti da materiale antico e nuovo, e comunque di propria appartenenza, cos'è che rende così estraneo, per ogni persona, il prodotto di questa funzione?

Il vecchio saggio

Mauro Mancia ha trovato le parole per raccontare del mondo parallelo di ognuno e cercare di rispondere a questa domanda!
Come al solito discreto e incisivo, ha messo in elegante corsivo alcuni punti punti nodali in un paragrafo del suo libro: "Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert", Boringhieri, 2004.

(F)attori terapeutici nel teatro della memoria.

Le esperienze traumatiche precoci inevitabilmente promuoveranno l'organizzazione di fantasie e difese che, archiviate nella memoria implicita, faranno parte di un nucleo inconscio del Sé del bambino, che condizionerà i suoi affetti, le sue emozioni, le sue cognizioni, i suoi comportamenti e il suo carattere anche da adulto.
L'inconscio di cui sto parlando non è legato alla rimozione, ma è espressione di un'archiviazione che avviene in forma preverbale e presimbolica, e resta pertanto al di fuori della coscienza e della significazione linguistica, anche se può avere altre e varie modalità di espressione extra e infraverbale.
... questo concetto di inconscio è radicato nel modello implicito della mente e si riferisce a esperienze che non vanno incontro a rimozione a causa della formazione incompleta delle strutture necessarie alla memoria esplicita e in particolare dell'immaturità neuronale dell'ippocampo. Questo inconscio non rimosso non potrà emergere nella relazione psicoanalitica attraverso la sola narrazione, ma può essere espresso, oltre che nelle rappresentazioni del sogno, attraverso varie modalità comunicative extra e intraverbali che potranno costituire degli enactment nel tranfert. (pag. 70)


La mia riflessione vuole proporre un vertice di osservazione e di interpretazione incentrato sulle fantasie, rappresentazione e difese depositate nella memoria implicita del paziente. Questo vertice resta nella sostanza ricostruttivo, ma parte dell'esperienza del <<qui e ora>> della seduta e quindi da un lavoro essenzialmente costruttivo, basato sul transfert e sul sogno. (pag. 71)


Un particolare interesse potrebbe avere anche l'emergere di una <<conoscenza relazionale implicita>> relativo al modello implicito della mente del paziente in quei particolari momenti di incontro descritti dal gruppo di Boston, che permetterà alla coppia psicoanalitica di condividere tale conoscenza.

Si tratta tuttavia di una ricostruzione sui generis, dal momento che le esperienze archiviate in questo sistema di memoria non possono comunque essere <<ricordate>>. Possono solo essere emotivamente rivissute e <<agite>>   nella relazione intersoggettiva, o rappresentate nel sogno, teatro per eccellenza della memoria (implicita ed esplicita), il cui sipario è aperto sul transfert.
Il sogno può costituire una rappresentazione privilegiata per cogliere sia le fantasie, gli affetti e le difese che si manifestano nel transfert sia i momenti ricostruttivi collegati alle esperienze preverbali e presimboliche che caratterizzano il modello implicito della mente del paziente. La funzione del sogno è infatti anche quella di rappresentare pittograficamente e simbolicamente esperienze all'origine presimboliche. La loro intepretazione favorirà il processo ricostruttivo necessario alla psiche per migliorare le proprie capacità di mentalizzare e rendere quindi pensabili, anche se non ricordabili, esperienze all'origine non pensabili.

Ciò non significa che il lavoro sulla memoria dichiarativa non abbia alcun ruolo nel processo ricostruttivo e terapeutico dell'analisi. ... ci sono evidenze che le due forme di memoria possono influenzarsi reciprocamente nello sviluppo. Quindi, come il modello implicito può condizionare l'apprendimento e la memoria esplicita, così il lavoro di ricostruzione che passa per la memoria autobiografica può facilitare l'emergere nel transfert e nei sogni delle esperienze più arcaiche depositate nella memoria implicita. (pag. 72/73)

La magia del sogno 

Ci si può chiedere, a questo punto, a proposito del sogno e della sua lettura, se non sia proprio grazie alla sua utilizzazione che le psicoterapie corporee possano arrivare a recuperare, in modo più funzionale e creativo, i processi cognitivi al corpo e alle sue funzioni?

Si potrebbe dire che forse è stato il privilegio riservato dalla psicoanalisi all'attività cognitiva ad aver spinto nell'angolo del corporeo la vegetoterapia (vgt) e le consorelle che, alla ricerca di una identità propriamente corporea, non hanno avvertito la necessità di arrivare a formulare una modalità, propria ed alternativa, di lettura corporea dei processi cognitivi, indispensabile per una concezione organismica complessa. 

Le terapie corporee sono nate con un bagaglio strumentale limitato per quanto riguarda l'attenzione ai processi cognitivi dei vissuti emozionali; sono cresciute privilegiando l'aspetto corporeo e, nel corso dell'analisi, limitando volutamente l'indagine cognitiva alle sensazioni sperimentate, alle emozioni vissute e ai pensieri di cui ci si è accorti che sono passati per la testa. 

Le domande proposte dopo gli esercizi o gli acting, sono generiche e poco attente sia ai processi sottostanti al pensiero sia al modo in cui questi pensieri si realizzano. 
Sono maggiormente attente a stimolare l'attenzione sensoriale ed emotiva anche quando, a fine esperienza, vengono suggerite indagini simboliche, associative ed interpretative; indagini che richiamano tecniche psicoanalitiche classiche.

Ma ogni volta che ci si avvicina al sogno se ne scopre un aspetto magico. 

Questa magia vale anche per la vgt che, in questo caso, si può avvalere della possibilità di usare i movimenti oculari per le elaborazioni delle immagini, dei vissuti e dei modi in cui questi vissuti sono realizzati (processati). 
L'intervento dell'operatore si può limitare a stimolare l'arricchimento delle scene, con le domande nate dalla sua curiosità e interesse, piuttosto che preoccuparsi dell'analisi. 

Inoltre, agendo sui movimenti oculari e prestando attenzione agli aspetti  analogici e metaforici, si può realizzare un'interpretazione complementare a quella simbolica e associativa.

In che modo?

La lateralizzazione degli occhi

Il sogno (come funzione) è legata alla funzione visiva, ma non alla vista... La <<luce>> che illumina i nostri sogni che cosa è ... se non la luce energetica interiore? ("Caratterologia post-reichiana", F. Navarro, Nuova Ipsa, 1991)

Navarro è stato il primo, e forse l'unico, a tentare anche un inquadramento alternativo delle funzioni cognitive in ambito corporeo.

Primo cultore reichiano a formalizzare la vegetoterapia, è stato anche il primo ad introdurre la necessità di proporre analisi metaforiche e analogiche piuttosto che simboliche.
L'intento era quello di guardare agli agiti degli acting come a movimenti analoghi, o simili, a quelli svolti in età infantili per poterne indagare il senso originario. 
Nella similitudine di quei movimenti, svolti in terapia alla presenza del terapeuta, con gli stessi movimenti svolti nella prima e primissima infanzia, si dovrebbe cogliere un analogo senso relazionale. L'indagine del vissuto antico, rapportato a quello attuale con il terapeuta, potrebbe dar luogo ad una o più narrazioni capaci di mettere ordine e coerenza in sentimenti e sensazioni poco o per nulla rappresentabili (come suggerito dal vecchio saggio dei sogni).

La metafora e l'analogia sono elementi complementari del simbolo.

Mentre il simbolo racchiude in sè molteplici significati, ma sempre quelli, la metafora e l'analogia colgono il senso della similitudine che, in quanto tale, varia a seconda del contesto. Il senso e il significato del simbolo, una volta stabiliti, restano immodificabili mente l'oggetto metaforico e analogico si caratterizzano per la loro plasticità divenendo soggettivi per eccellenza.

Questa particolare valenza rende questi due elementi particolarmente adatti all'uso interpretativo sia dei sogni sia delle esperienze corporee in quanto sono prodotti da eventi soggettivi, vissuti nel tempo attuale piuttosto che antico. Ambedue gli elementi potranno essere affiancati dalla ricerca teorica predisponente una spiegazione "come se". 

Il metodo d'indagine con cui decodificare i messaggi onirici attuali, lo apprendiamo da Langs in "Decodificare i propri sogni".




Può essere chiesto: "In questo momento della mia vita, è come se....!" e, a seguire, il racconto del sogno.



Pur nel suo sviluppo fantastico, il sogno racconterà le peripezie e le vicissitudini che il sognatore sperimenta in relazione alla sua realtà.

Il movimento laterale degli occhi è uno degli acting oculari formalizzati da Navarro. In vgt viene proposto con l'ausilio di una penna luminosa che, oltre ad avere un effetto di focalizzazione sensoriale visiva, influisce anche sulla stimolazione dell'epifisi (l'epifisi, ghiandola posta proprio dietro il chiasma ottico, al centro del cervello, ha un suo ruolo anche nella regolazione circadiana influendo sulla produzione di melatonina).

Per il lavoro sul sogno è possibile utilizzare anche le proprie dita, poste ad una distanza concordata con il sognatore, che sono spostate, con movimento ritmico, da un lato all'altro della testa del sognatore che le segue col solo movimento pupillare.

Il film nella testa

I sogni vengono ricordati come storie e, per raccontarli/celi, è necessario trasformarli in narrazioni. 

Quando i sogni sono raccontati, viene spontaneo fornirli di un senso logico anche quando la storia sembra non rappresentabile e gli oggetti sono solo immagini ideate per significare emozioni.
Il senso emozionale delle immagini a volte rende difficile descriverle perché assumono forme fantasmagoriche ma, ciononostante, l'esito finale sarà sempre un racconto che, in forma verbale o scritta, avrà un senso.

Questa (ri)costruzione si realizza pur essendo consapevoli che, qualunque forma narrativa, sacrifica parte di quanto sperimentato.

Dopo il racconto il sogno viene scomposto in scene come se fossero fotogrammi cinematografici.

Come tali, i fotogrammi daranno forma ad un contesto, assumeranno un colore, una luminosità; gli oggetti componenti la scena si posizioneranno ad una certa distanza reciproca, avranno uno spessore, ci sarà un'ampiezza dell'intera scena e ci saranno sottogruppi. Oppure ci saranno oggetti o colori o spazi che, inenarrabili, potranno essere ricondotti a sensazioni, emozioni, impressioni di diverso tipo ecc...

L'arricchimento degli elementi narrati non avviene spontaneamente in quanto il narratore non è consapevole della limitatezza del racconto. Sarà necessaria la sollecitazione dell'ascoltatore che, se veramente interessato e incuriosito dall'azione onirica, ne provocherà e sosterrà una ricostruzione comprensibile.
Curiosamente, lo stesso narratore ne avrà poi una comprensione più completa e finanche diversa.

L'acting della lateralizzazione guida lo sguardo dell'autore del sogno che, contemporaneamente, deve cercare di tenere ferma l'attenzione sul fotogramma prescelto.
Il compito sarà quindi quello di:

a) tenere ferma l'immagine del fotogramma senza però opporsi ad un suo b) eventuale cambiamento spontaneo mentre 
c) gli occhi seguono le dita dell'operatore.

In pratica al sognatore sono chiesti due compiti, apparentemente banali, ma che nella realtà sono impossibili da eseguire sia per la loro contemporaneità sia perché in conflitto. 

Da un lato, siccome il nostro cervello non conosce soste nei suoi processi elaborativi, cercare di tenere ferma un'immagine mentale risulta un compito difficile o che può essere eseguito solo per pochi momenti. 
Questo perché è solo per pochi istanti che è possibile governare i processi mentali corrispondenti alla produzione di immagini ferme.
Come il pesce che, per restare vivo deve costantemente muoversi nel fluido in cui è immerso, il nostro cervello funziona sempre ed è caratterizzato proprio dalle attività specifiche (funzioni) prodotte da quel tipo di movimento.
Anche l'attività conosciuta come il dolce far niente si caratterizza per una modalità particolare di funzionamento, che è quella di default.

Quindi, sarà per il suo modo d'essere intrinseco, un processo in costante evoluzione, che il cervello produrrà un cambiamento automatico dell'immagine mentale, malgrado l'impegno alla richiesta dell'operatore. 

Inoltre, da alcune ricerche psicofisiologiche (V. Ruggieri, "L'esperienza estetica. Fondamenti psicofisiologici per un'educazione estetica", Ed. Armando, 1997), risulta che, i prodotti dell'immaginazione, sono sempre accompagnati da un movimento pupillare reale. Immaginare per esempio che, un oggetto in lontananza si avvicina, ingrandendosi nella nostra immaginazione, produce di riflesso una dilatazione pupillare.
Perciò, chiedere ad una persona di tenere ferma un'immagine mentale muovendo le pupille, comporta un impegno impossibile da realizzare perché anche la rappresentazione mentale di un'immagine, per potersi produrre, prende a prestito dai neuroni motori le modalità processuali.
E' in pratica un compito impossibile vedere, con gli occhi della mente, un'immagine ferma mentre si muovono gli occhi perché il movimento virtuale, degli occhi della mente, si realizza sull'analogo movimento pupillare.
  
Seguendo le istruzioni, al modificarsi dell'immagine il sognatore deve solo essere attento a quanto accade nel suo teatro mentale: al tipo di modifiche delle immagini, ai colori, le dimensioni, le sensazioni, emozioni o qualunque altra operazione avvenga.

Per il sognatore sarà quindi come essere spettatore di un film che, prodottosi autonomamente, diviene oggetto del suo personale racconto.

In termini dinamici è come formulare un'implicita richiesta: alla parte consapevole di sé si chiede di mettersi da parte ed osservare cosa e come, l'altra parte di sé, quella inconsapevole, sente di volere e poter produrre. 

Fiabe personali
  
Nella nostra cultura l'aspetto creativo della personalità non è sempre incentivato e, fin dall'inizio del periodo scolastico, sembra che l'obiettivo principale da perseguire sia la realizzazione delle basi della logica matematica e lineare. 
Gli aspetti spontanei della logica parallela, della spontaneità e dell'intuito, il più delle volte vengono considerati caotici e disfunzionali.

Di conseguenza la fantasia, l'intelligenza emotiva, la capacità manipolativa, la valorizzazione della diversità, il piacere della soggettività e l'incanto dell'immaginazione, sono spesso sacrificati alla necessità dell'assimilazione delle idee, delle teorie, delle regole e dell'omologazione.

L'acquisizione di quest'abitudine rende apparentemente difficile realizzare la modifica spontanea delle immagini del sogno.

Nel corso del gioco interpretativo che si sta proponendo, si scopre che, la modifica spontanea delle immagini autoprodotte, è una modalità di funzionamento cerebrale a cui si è persa l'abitudine e che, per certi versi, anche se può apparire sconosciuta, è però possibile recuperare.
Sarà necessario qualche tentativo andato a vuoto, tentativo che magari qualcuno chiamerà resistenze, perché le proprie fiabe e i propri racconti ricomincino a prendere corpo e assumino forme originali.

Le immagini riprendono a cambiare quando si scopre che gli oggetti del lavoro sono immagini proprie, rappresentanti propri vissuti, indiscutibili, e che sono capaci di descrivere eventi emozionali attuali.
Ci si accorge, allora, che quelle immagini rappresentano gli eventi maggiormente significativi del periodo attuale della propria vita e che, accompagnandosi ai significati irrisolti derivanti anche dal passato, sono impegnate nella ricerca di una soluzione coerente, affidabile, funzionale, ecologica ed emozionalmente soddisfacente.

Le vere soluzioni saranno quelle che faranno stare bene, indipendentemente dal senso logico di cui si avvarranno, e per qualunque cosa questa affermazione vorrà dire.

Il transfert

Nel sogno, sia da svegli che dormienti, per la realizzazione degli eventi onirici vengono solitamente usate le soluzioni più fantastiche che, usando come mezzo di lettura gli strumenti metaforici e analogici, possono essere trasferite agli eventi di vita reali del sognatore, in ragione del "come se..".


I vissuti derivanti da queste esperienze s'impongono all'elaborazione e colorano gli sviluppi degli eventi.

Alla fine accade qualcosa di ulteriormente magico quando gli eventi arrivano a configurarsi come soluzione di problemi che, preliminarmente, non si prospettavano nemmeno come oggetti problematici (consapevoli, evidentemente).

E' come dire che, prima dell'elaborazione onirica, non si sospettava nemmeno che alcuni temi potessero impegnare in maniera così problematica; l'elaborazione, agendo sulla fluidificazione del movimento oculare, e sull'induzione del movimento alle scene proposte, fa scoprire che gli aspetti e i processi inconsapevoli della personalità ne erano ingolfati!

Un'ulteriore elemento d'interesse sarà stimolato dai vissuti che si formeranno rispetto alle narrazioni e alle immagini: durante il lavoro interpretativo ci si accorgerà dello svilupparsi di un certo tipo di affetto nei confronti dei processi dell'attività cerebrale, nei confronti delle immagini prodotte ex novo e di quelle ereditate dal sogno.

E' possibile che il transfert del sognatore, sentimento che nei rapporti sociali è solitamente proiettato dentro l'operatore, con questo lavoro sia curiosamente indirizzato sul materiale onirico, e quindi sul materiale oggetto del lavoro, piuttosto che sull'altro della coppia?

Ipotesi curiosa...! 

Il laboratorio

La nascita della psicoanalisi si fa risalire all'Interpretazione dei sogni di Freud nel 1899.

Ancora oggi l'interpretazione dei sogni, diurni e notturni,  è uno dei metodi maggiormente usato nelle stanze d'analisi e continua a rappresentare la strada privilegiata d'accesso all'inconscio.

Meno riconosciuto è il fatto che rappresenta anche la strada privilegiata d'accesso alla creatività e alle modalità soggettive di costruzione della realtà.

Per la vgt il movimento oculare consente di passare dalla semplice produzione dei sogni alla loro elaborazione con la chiamata in causa della spontaneità del sognatore. Con l'ausilio degli acting oculari si accede ai processi mentali, e quindi cognitivi, che connettono in maniera più puntuale, e soggettivamente convalidata, i processi corporei a quelli di pensiero.

Il presente articolo rappresenta una sintesi, peraltro molto approssimativa, di un lavoro in itinere ancora lontano dal potersi ritenere concluso.

Svoltosi per un periodo di due anni, sotto forma di laboratorio didattico condotto dal sottoscritto, si intende riprenderlo sotto forma di laboratorio sul sogno aperto a chiunque voglia interrogarsi sui propri vissuti e sulle proprie reazioni alle situazioni della vita. Anche a quelle che a volte sembrano inspiegabili! 

Gli incontri avranno una cadenza bimensile; cominceranno dal prossimo mese di ottobre in via Domodossola, 29 a Roma. Dureranno tre ore e avranno un costo di 20 euro ad incontro.

Per partecipare è necessario contattare il conduttore al numero: 3405638126






Giuseppe Ciardiello











Il posto della mente

Le neuroscienze hanno solo confermato quello che i maestri ci avevano già raccontato:

... che gli alberi hanno una chioma!
"Nelle mie lezioni ho sempre sostenuto che la vera nascita ha luogo verso la terza settimana dopo il parto. In questi primi giorni di vita, la diade madre-figlio costituisce, infatti, un'entità a sé. Il ritmo dei rapporti è ancora fetale: uno chiede e l'altra risponde con messaggi subliminali che solo loro capiscono; poi, a poco a poco, la madre comincia a dare significato ai "segnali fisici" del bambino e, tra la terza e la quarta settimana, parte il "computer umano" e la madre inizia a creare la "mente" di suo figlio: ecco la radice oscura e affascinante della nascita dell'intelligenza umana." (pag. 11)"

"Nel primo anno emozioni e sentimenti sono l'alimento della vita affettiva del bambino: è dal loro intreccio che nasce la capacità di amare e di essere amato. Il linguaggio dei sentimenti precede quello della parola. Ed è attraverso lo sviluppo affettivo che il bambino impara a poco a poco a pensare e a parlare." (pag. 12)

("Le madri non sbagliano mai", G. Bollea, Feltrinelli, 1995)

Quando le madri cominciano "a dare significato ai "segnali fisici" del bambino", significa anche che hanno individuato il luogo dove si realizza questa creazione.

L'amigdala, l'ipotalamo, il corpo calloso e tutti gli altri agglomerati neuronali che compongono il cervello, corrispondono agli organi che producono le funzioni che, aggregandosi, creano la mente.

... la creano ma non la formano; o la costruiscono! ed è tutto molto semplice: la mente sta al cervello come la chioma dell'albero alle foglie.

...ho cercare di trovare la chioma nelle foglie...
La mente è una funzione che emerge da tutte le funzioni, come la chioma dalle foglie!

La mente non è localizzabile e, come per l'albero, se si è sul ramo non la si vede anche se sono le basi da cui emerge e che cominciano a formarsi dal concepimento.

Queste basi, però, sono anche parti del corpo con cui interagiamo e con cui s'impara a distinguere gli oggetti (il biberon) dalle persone (la tetta).

Dalle sensazioni ed emozioni nasce la necessità di raccontarsi.

Nasce il bisogno di appropriarsi e inventarsi un modo capace di dire del contatto (con-tatto).

Nel lavoro terapeutico, a volte solo con i poeti si può descrivere con sufficiente pienezza il senso di tutto il cercare. E a volte ancora si avverte che, un lavoro come la vegetoterapia, è tutto questo in progressione inversa!

Giuseppe Ciardiello