Seconda parte.
La diagnosi
Una corretta diagnosi non dovrebbe
occuparsi solo dei sintomi ma dovrebbe prevedere anche d’individuare i motivi
del loro formarsi! Uno stato febbrile è solo l’indice di una malattia che può
esprimersi anche in altre forme. Pur partendo dai sintomi, l’obiettivo della
cura è quello di andare all’origine della febbre cercando di rimediare intervenendo
sulla causa. Purtroppo spesso non è possibile risalire alle cause, come accade
nel caso delle manifestazioni ansiose, nel panico e nelle fobie; sarebbe allora
necessario formulare ipotesi che, cercando di spiegarne le cause, cercassero d’individuare,
nella dinamica psicologica storica ed evolutiva, il costituirsi dei sintomi.
In un'occhiata d'insieme invece, nello
specifico di queste tre evenienze, colpisce la similitudine sintomatica cui si
fa di regola riferimento. I sintomi di irrequietezza motoria, sudorazione,
tremori, bocca secca, mancanza d'aria, tachicardia, nodo alla gola, disturbi
intestinali, nausea, cefalea, sudorazione, vampate, brividi, oppressione
toracica, vertigini, depersonalizzazione e derealizzazione, si possono
presentare per tutti i tipi di disturbi d'ansia. Accade che esiste una
predilezione soggettiva, che non è dato sapere da cosa dipende. Ognuno coltiva
alcuni specifici disturbi, somatici o psichici: disturbi del sonno, di distraibilità,
di affaticabilità, di preoccupazione, tensione, apprensione, preoccupazione,
eccessiva vigilanza, impazienza, ecc., e malgrado questa diversità i sintomi
vengono trattati, quasi per tutti i casi, allo stesso modo, con pochi tentativi
di analisi differenziale. Tra l’altro, se quello di guardare solo ai sintomi
può essere visto come un atteggiamento semplicistico, ad aggravare i rischi di
un errore diagnostico c’è il fatto che, per questi tre disturbi dell’arco
ansioso, non è nemmeno possibile definire il grado di familiarità. Cioè, dato
che in quest’arco si presentano più frequentemente quelle persone i cui
familiari prossimi sono stati soggetti allo stesso tipo di disturbo, non si
capisce fino a che punto queste persone ereditano
i disturbi per simpatia, per trasmissione genetica o li costruiscono ex novo.
Le caratteristiche di questi
disturbi sono, quindi, complesse e contemporanee non esistendo una gerarchia
temporale né un ordine discreto per cui dal disturbo più leggero si passi al
più invasivo. I sintomi, fisici e psichici, si specificano reciprocamente e si
determinano realizzando un accoppiamento strutturale (Maturana e Varela
1984) apparentemente casuale. E si potrebbe ipotizzare che, proprio in questa
casualità, si realizzi l'eredità familiare, quella in cui gioca un ruolo
importante la … sistematica e prolungata esposizione del bambino ad una
figura genitoriale ansiogena (Infrasca, 2006). Già questi soli dati dovrebbero
bastare ad orientare l’indagine diagnostica anche sulla relazione almeno quanto
sulle componenti neurochimiche. Trascurare l’aspetto relazionale rende molto
più difficile individuare le cause a monte di un disturbo di questo genere e,
inoltre, comporta il rischio di confondere il sintomo con la malattia. Ancora,
si corre il rischio di guardare ai pazienti come se fossero loro stessi il
disturbo e non i semplici portatori
di eventi (processi) disturbanti le relazioni. Un esempio emblematico può
essere quello dell’anginofobia. In questo caso il sintomo portante è la
difficoltà di ingoiare alcuni determinati cibi o i cibi in genere. Chi ne
soffre si dichiara ovviamente attratto dalla necessità e desiderio di eliminare
il sintomo. Di contro, lasciano perplessi quegli interventi che, colludendo con
la domanda, vedono solo nella prescrizione medica, intesa ad ottenere una
remissione a volte anche evidentemente lontana dal realizzarsi, la soluzione
del problema; e ciò anche in evidente assenza di un disturbo d'organo.
Allora, quale lettura diagnostica
adottare?
Giuseppe Ciardiello
Bibliografia
Infrasca, R., "Il disturbo da attacchi di panico",
FrancoAngeli Ed., 2006.
Bibliografia
Maturana, H., F., Varela, "L'albero della conoscenza",
Garzanti, 1987.
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