giovedì 26 marzo 2020

COVID19 Raccomandazioni psicologiche


COVID19. Raccomandazioni psicologiche per affrontare la pandemia

Il seguente elaborato è tratto dalle news che mi pervengono da Psyciencia.com e resoconta il lavoro che la facoltà di psicologia UBA di Buenos Aires ha fatto elaborando una guida di base per l’emergenza del coronavirus. È un breve vademecum per l’individuazione delle emozioni e dei comportamenti che possono emergere in questo frangente e formula alcuni consigli pratici su come proteggersi e come affrontare la situazione dal punto di vista psicologico.
In questo particolare momento mi sembra estremamente utile fornire uno strumento, facile da usare per tutti, che dia indicazioni pratiche e veloci su come comportarsi e come porsi rispetto a sé stessi e agli altri da un punto di vista psicologico.
Nel rendermi disponibile telefonicamente per coloro che desiderano condividere le loro difficoltà, sento giusto ospitare sul mio blog questo documento.
Si tenga presente che la traduzione non è letterale, né molto affidabile, perché mi ci sono dilettato personalmente con la poca conoscenza che mi ritrovo dello spagnolo. Ho cercato di attenermi ad una traduzione quasi letterale modificando il testo originale il meno possibile. Per i più esigenti la versione originale è disponibile in internet.

Giuseppe Ciardiello 3405638126
  
Sentimenti e pensieri associati al coronavirus

La nuova situazione di pandemia innesca stati notevolmente ansiosi.

L’elevato livello di incertezza che accompagna questa situazione, può provocare e poi alimentare uno stato di assorbimento ansioso che può costituire l’innesco per una nuova minaccia. La situazione determinatasi come conseguenza della pandemia è uno stressor ulteriore che può, a sua volta, incidere ulteriormente sulla qualità della vita.

Alcune emozioni che possono essere avvertite in questa situazione sono:

·       Paura: di perdere la salute per le possibili conseguenze della malattia, per la mancanza di risorse, per la mancanza di forniture di base.
La paura è un’emozione che può essere avvertita davanti ad una situazione percepita come nuova e minacciosa. Quando la si avverte è possibile che emergano pensieri come “può succedere a me” o “potrei contagiare la mia famiglia”. Analogamente possono apparire pensieri negativi associati alla propria morte o a quella di familiari, così come il timore di contagiare i propri cari e provocar loro un danno. Queste pensieri possono generare sentimenti funzionali quanto disfunzionali.
Tra le reazioni funzionali è possibile che appaiono condotte creative, attività formative e/o ricreative. Nel caso invece di reazioni disfunzionali – come quelle condotte che si possono aggregare per regolare le nostre emozioni negative - troviamo per esempio l’utilizzo compulsivo di notizie condivise.

·      Frustrazione: questo vissuto può comportare una sensazione di perdita della libertà, di difficoltà nel portare avanti progetti e attività personali.
Si possono presentare pensieri del tipo “non posso fare quello che ho sempre fatto”, “non posso finire il mio lavoro”, “desidero uscire ma non posso” accompagnati da forte rammarico.
Di fronte a questa situazione è necessario essere pazienti e persuadersi che bisogna imparare a generare nuove abitudini, magari speciali, rapportate alla specificità della situazione.

·         Rabbia: è un’emozione che di solito si prova quando si vive l’impressione che sta accadendo qualcosa di ingiusto.
Si possono avere pensieri del tipo: “non ho nessuna colpa per quanto sta accadendo. È il governo che avrebbe dovuto chiudere prima, doveva essere più veloce”, oppure “gli altri non rispettano la quarantena e ne approfittano”. Questo tipo di ideazione può produrre condotte irresponsabili come uscire di casa o litigare. Nei casi di reclamo legittimo è importante rivolgere le proprie osservazioni agli organi competenti utilizzando le vie ufficiali e non esporsi a situazioni anche solo potenzialmente violente.

·         Ambivalenza: è un’emozione che si può vivere come una sensazione di sollievo, per esempio nel restare in casa, contemporaneamente ad un’emozione di paura.
Ciò può suscitare pensieri come: “ora posso fare ciò che non ho mai fatto. Anche se mi farebbe piacere sapere quando finirà tutto questo”.

·         Disorganizzazione: il fatto di non poter continuare con la propria routine comporta una disorganizzazione nella nostra struttura (psichica e corporea: nota del traduttore) che porta alla perdita del senso di controllo.
Costruitasi negli anni, la nostra autonomia necessita di un’ulteriore riorganizzazione. Diventa importante tener presente e confidare nella nostra capacità di riorganizzare una nuova struttura.
·         Noia: l’isolamento, drastico e improvviso, comporta una riduzione significativa della possibilità di condividere il tempo con altri; ciò comporta un’analoga importante riduzione delle attività ricreative e di svago.
Possono apparire pensieri del tipo “ora che faccio?”,  quando potrò uscire per divertirmi?”. In tal caso resta importante l’utilizzo degli strumenti digitali a nostra portata per continuare a tenersi in contatto e scambiare informazioni sullo stato fisico ed emotivo che la nuova situazione comporta.
Si tenga presente che si tratta di una situazione transitoria e che il comportamento di rispetto delle indicazioni è di per sé un’azione molto preziosa per sé e per l’intera comunità
·         Tristezza: questo sentimento può prodursi come conseguenza della rottura della quotidianità e può anche aggravarsi con l’isolamento e il continuo contatto con notizie negative.
Possono presentarsi pensieri del tipo “non ho voglia di fare niente” e si può avvertire un senso di inutilità di ogni cosa.
Si tenga ancora conto del fatto che è una situazione transitoria e che lo sforzo soggettivo fatto per rispettare le regole imposte, permetterà che si concluda il prima possibile. Si cerchino occasioni per condividere questi sentimenti con le persone con cui si convive e con gli altri utilizzando strumenti virtuali.

·         Sentimento di solitudine: la mancanza di contatti sociali può produrre sensazioni di vuoto interiore e solitudine che è ulteriormente grave come sensazione per le persone che già vivono da sole.
Possono apparire pensieri del tipo “mi sento (sono) solo”, “che faccio se mi succede qualcosa?”, “non c’è nessuno che mi aiuta”.
È importante tenere conto del fatto che ci sono altre persone nella stessa situazione e che può essere possibile stabilire nuove forme di contatto e di legami. Forse è possibile anche nel nostro immediato circondario (vicini, commercianti della zona, fornitori, ecc.), con cui di solito non ci si relaziona, o anche con l’utilizzo degli strumenti virtuali che fin’ora non si è utilizzati.

·    Sensazione di chiusura: l’isolamento può generare un sentimento di chiusura e di appesantimento fisico e psichico.
Possono apparire pensieri del tipo “desidero uscire per strada e incontrarmi con qualcuno”. 
Si ricordi ancora la transitorietà di questa situazione e che la possibilità di realizzare altre attività domestiche, magari lasciate a lungo in sospeso, sono utili per utilizzare ricreativamente e produttivamente il tempo.

·              Ansietà: la situazione può provocare sensazioni sgradevoli dovute all’incertezza.
In questi casi possono fare la loro comparsa condotte e pensieri che fuggono la realtà presentando soluzioni di isolamento e di rinuncia. Possono apparire pensieri del tipo “mi metto (rifugio nel) a dormire finché dura tutto questo”.
In questi casi è importante alimentare un comportamento routinario stabilendo una serie di attività, separate tra loro, durante il giorno.

Queste emozioni, sentimenti, pensieri e sensazioni possono essere elaborate innanzi tutto identificandole, accettandole e modificando quelle condotte e comportamenti che interferiscono con il confronto con la situazione reale.
Identificarli significa osservarli e comprenderli in tutti i loro aspetti, positivi e negativi! 

 

  





Inoltre, ci si può accorgere di avere pensieri simili:

Coronavirus, Distanze, Distanza, Mani, Metro“Non succederà nulla; quello che sta accadendo non mi toccherà. È tutta un’esagerazione.

Questi pensieri, che possono essere utili per calmare una persona, possono però anche condurla ad assumere comportamenti rischiosi per sé e per gli altri.
Si tenga tra l’altro presente che la condotta serve anche a modulare le emozioni rappresentando una via di scarico a ciò che si prova.

“È un evento catastrofico, incontrollabile, siamo completamente impotenti.”

L’emozione nascosta in questo pensiero è la disperazione e la sua comparsa rende difficile che la nostra condotta si mantenga stabile poiché, se niente funziona, non ha senso fare qualcosa.
È importante identificare e condividere questa emozione perché la sua presenza rende difficile riorganizzarsi, inventare una nuova routine e rispettare le norme socialmente stabilite.

“Devo approfittare della situazione per fare tutto ciò che ho in sospeso, devo guadagnare tempo…”

L’emozione rappresenta l’ansia che si produce nell’avvertire un senso di perdita di qualcosa (tempo, occasioni, opportunità). È possibile che induca ad essere iperattivi come anche potrebbe nascondere sentimenti di sfinimento e fallimento.

Monitorare costantemente il numero delle persone infette e decedute rischia 
di alimentare un preconcetto negativo che tende ad aumentare il disagio rendendo 
più difficile regolarsi circa la propria salute. 
Accettare questa situazione per quella che è, implica anche guardare a questi fenomeni 
imponderabili come parte della natura ed essere più in contatto con l’attuale situazione 
senza costruire proiezioni fantastiche.



In questa situazione stabilire una meta è un’ottima strategia ma è anche importante che questa strategia conservi un contatto con la realtà; imporsi obiettivi molto impegnativi rischia di contribuire a generare la sensazione di non riuscire ad eseguire i compiti che ci si è prefissi.















Raccomandazioni e consigli per aiutarsi a controllare l’ansietà in relazione al coronavirus:
·        mantenere il proprio ritmo circadiano (ciclo sonno/veglia)
·        non sottoporsi ad eccessive notizie relative alla pandemia. Cercare di consultare solo fonti verificabili (organismi ufficiali, istituzioni di prestigio e fonti fidate) e solo in momenti stabiliti della giornata (per esempio in un’ora stabilita della giornata o della sera). Evitare di farlo  appena svegli o prima di andare a dormire.
·      anche se non si lascia la propria abitazione, la mattina togliersi il pigiama e l’abbigliamento notturno e indossare un abbigliamento diurno per sottolineare la discontinuità e organizzare i cicli della giornata.
·     proporsi di imparare qualcosa di nuovo utilizzando i tutorial o corsi online. Oggi ce ne sono molti, gratuiti e di qualità.
·   organizzarsi per fare una serie di esercizi fisici in casa periodicamente, sempre tenendo presente l’eccezionalità della situazione.
·        approfittare delle occasioni in cui ci si può esporre alla natura e alla luce solare ma sempre badando a che la cosa sia possibile senza trasgredire alle norme stabilite.
·     curare la salute alimentandosi bene e mantenendosi idratato (bere almeno due litri d’acqua al giorno).
·     mantenere le reti sociali curando in particolare la condivisione dei contenuti emozionali con familiari e amici utilizzando tutti i media a portata di mano.
·   limitarsi nel seguire gruppi di chat che diffondono notizie che, promuovendo pensieri negativi e catastrofici, mettono la nostra mente sotto sforzo. Tra l’altro si sa che molte di queste notizie sono false o erronee.
·   si sia premurosi con sé stessi e i propri stati emozionali. Si tenga presente che cambi di routine così bruschi, uniti all'incertezza e la minaccia di pandemia, influenzano il nostro stato emozionale indipendentemente da quanto si è sani. Ricordando che accade lo stesso agli altri, è necessario essere tolleranti con sé stessi quanto con gli altri.
·     le persone che siamo sono esseri abitudinari, sociali e che privilegiano la prevedibilità. Si tenga presente che la pandemia in poche settimane ha modificato tutto questo
·    questa modifica necessita dello sviluppo di un comportamento flessibile e capace di adattarsi velocemente a questa nuova situazione per poterla affrontare positivamente
·   fornirsi di una nuova abitudine è una sfida che richiede notevole flessibilità. Bisogna pertanto tenere in conto che un cambio di routine così brusco richiede un grande sforzo fisico e mentale.
·      Se si hanno figli è importante parlargli dell’evento incorso. Gli si spieghino le informazioni ufficiali di cui si è a conoscenza circa il coronavirus utilizzando un linguaggio adeguato e in maniera onesta. Si ricordi inoltre che tutti i nostri cari osservano e leggono i nostri comportamenti ed emozioni.
·        Un buon esempio di comunicazione circa l’importanza dell’igiene delle mani è disponibile al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=H6EMAreCOYE.
·    Sia i bambini sia gli adulti necessitano di conservare spazi di gioco e divertimento che promuovono emozioni positive individuali e di gruppo.
·      Specialmente se si vive in famiglia con spazi ristretti non si esageri con i compiti. Si tenga presente che già sottostare ad una quarantena è stressante e faticoso di per sé e come tale è già una prova preziosa di sostenibilità. Molto utile si rivela la condivisione delle impressioni e dei sentimenti, che possono accompagnare la condotta responsabile, e che tenga conto dello sforzo di ognuno.
·      Quando opportuno o necessario si approfitti di ulteriore aiuto. Se ci si sente molto nervoso, triste, ansioso o che la situazione che si sta sperimentando danneggia o penalizza qualche aspetto della propria vita, si cerchi un professionista della salute mentale con l’intento di escogitare modi costruttivi e congeniali di affrontare le avversità.  



mercoledì 18 marzo 2020

Covid 19. Il lungo vissuto dell'attesa


Il tempo dell’attesa


Un viaggio si intraprende con l’intenzione di raggiungere una meta. Ma i protagonisti di un viaggio sono segnati dal percorso non dalla meta.

(‘Il designer in azienda’, F. Bianco e L Rampini, FrancoAngeli ed., 2017)


Introduzione

Il brutto dell’attesa è il non sapere quanto tempo potrà durare.

In questo periodo di forzata ‘clausura’ (marzo 2020),  in cui si è confinati in casa in attesa che ‘tutto passi’ e il corona virus si allontani, o si estingua per mancanza di persone da infettare, può accadere di vivere il senso di impotenza come contrappunto al senso di onnipotenza coltivato e alimentato convenzionalmente.

Nella nostra società si è sempre sollecitata la cura e l’espressione della forza e del coraggio nel confronto con l’esistenza e, in linea con quest’indicazione, un messaggio sociale chiaro e condiviso è stato quello di figurarsi di essere un combattente.

Questa prescrizione ha portato con sé il rischio, per chi non ce la faceva, di sentirsi un debole o vigliacco.

Al contrario, l’idea di soprassedere, di lasciar correre e di lasciar passare l’acqua che prima o poi porterà il cadavere del tuo nemico’, non è stata sempre accolta con favore al punto d’essere considerata, a volte, come un pretesto per chi aveva un comportamento pavido.

Quindi porsi in attesa su un fiume ad osservare passare l’acqua, ha da sempre rappresentato ‘solo’ un messaggio filosofico che qualche (astrusa?) dottrina indica come strada da intraprendere per una vita di saggezza. Magari la si è potuta immaginare praticabile negli anni della vecchiaia, e quindi di là da venire, in quel periodo lontano dal momento attuale e dalla foga degli anni dell’arrivismo.
Quel che resta certo è che la nostra società è una società consumistica dove ‘il tempo è danaro’ e l’attesa viene vista come incertezza, titubanza, mancanza di idee chiare e confusione di obiettivi. E coloro che indugiano generano impazienza e rischiano di essere considerati indolenti e  pigri, se gli va bene, se no sono persone che andavano corretto fin da piccoli e andavano educati a ‘… smetterla di stare sempre con la testa tra le nuvole’, ma che tanto ormai sono destinati a non saper cogliere il ‘principio di realtà’.

Il minimo che possono comportare questi pre-giudizi sono i sensi di colpa che alimentano costanti sentimenti di inadeguatezza in tante persone.

La forza dell’attesa

Non serve dire tanti se, Ma la risposta so qual è: Passar di mano ed aspettare.  Julio Iglesias, Passar di mano  #citazioni #UnaCitazioneAlGiorno #7gennaio #Aspettare #JulioIglesiasAllora forse, questo periodo di forte limitazione del movimento, che l’intero paese sta vivendo, potrebbe servire a problematizzare il tema dell'attesa e si potrebbe indirizzare l’attenzione, non solo sul senso che il periodo dell’attesa può avere per ognuno (giusto, sbagliato, noioso, insulso), ma anche sui modi che ognuno ha di trascorrere questo ‘tempo passato in attesa’.
Così forse sarebbe anche possibile che, sperimentando ritmi e spazi diversi da quelli consueti, ci si potrebbe ravvedere e recuperare questa grande dimensione che, costantemente denigrata, necessita di una legittima riparazione.

L'aspettare forzatamente (che il periodo di quarantena passi, che venga il nostro turno al supermercato, che il raffreddore si attenui) che il tempo trascorri sta già insegnando alcune pratiche cui non si era più abituati: per esempio che si può anche evitare di forzare le attività che richiedono due minuti in uno e che il tempo non solo trascorre ma, nel suo trascorrere, ha un suo reale valore.
Sta insegnando che saper aspettare significa essere in possesso di una capacità particolare e che chi indugia non è necessariamente pavido o indeciso ma che, per certi versi, saper indugiare significa avere un un talento, un’attitudine positiva piuttosto che una debolezza.
Il problema sta nel farlo con competenza così che possa rivelarsi un pregio che, allo stesso modo di una strategia di combattimento, possa essere utilizzato attivamente nell’at-tendere verso lo scopo prefisso.

L’arte dell’attesa è stata una strategia che l’uomo ha dovuto imparare a realizzare fin dai primordi della sua esistenza mentre aspettava che l’animale uscisse dalla tana, che i pesci entrassero nelle nasse, che il sole nascesse e i fiori sbocciassero, che gli orti dessero i frutti e le api raccogliessero il nettare.
Ha dovuto sviluppare quest’abilità per tutte le attività che, per essere apprese e poi svolte, richiedono tempi e metodi e che, nella pazienza e nell'apparente  tedio, alimentano la creatività. Così si è imparato ad aspettare il tempo necessario, dopo aver impastato la farina e acceso un forno, che il pane cuocia e che i biscotti non brucino. E si è anche imparato che, nelle battaglie e negli assedi di fortezze, città e castelli, bisognava saper aspettare che l’aggredito soccombesse per il lungo logorio.

Così è l’Eroe a sapere e l’artigiano, l’uomo d’armi, a conoscere segreti che fanno presagire che quando l’attesa è faticosa non dipende dal 'che cosa si sta aspettando' ma dal modo in cui l'attesa si realizza. Il contadino sa intuitivamente che l'attesa può logorare tanto l’assediato quanto l’assediante e che risparmia solo colui che sa aspettare nel modo migliore

In un contesto dove tutti aspettano qualcosa è risparmiato colui che sa creare e trovare strategie alternative di ascolto e di osservazione degli eventi, delle storie, e di ciò che sta accadendo così che la stessa attesa si rivela essere attività.

L’attesa

Un modo per mettersi in attesa senza logorarsi è suggerito dalle tradizioni sapienziali che insegnano il fatto che, per sostenere lunghi periodi di immobilità fisica, è sufficiente prestare una costante attenzione alla consapevolezza del momento presente o presenza mentale[i].
Interessante è notare che, anche negli studi sull’intelligenza svolti dalla ricerca neuropsicologica, la capacità attentiva si rivela come l’attitudine maggiormente importante per l’intelligenza. 
Particolarmente interessante sono le ricerche sull’attenzione sostenuta[ii] che, non potendo essere esercitata per lunghissimi periodi di tempo senza affaticamento, va curata e protetta. 

E' evidente che il pensiero costante ad uno scopo recluta tutto l’organismo e lo pone in uno stato di tensione che lo porta prima all’affaticamento e poi all’esaurimento, fisico e psichico. Tale tensione solitamente non è avvertita perché subliminale ma genera comunque un depauperamento energetico. 
È per questo che nella vita normale, pur essendo necessario conoscere lo scopo di ciò che si sta facendo, per evitare di esaurirsi è necessario imparare strategie di recupero energetico. Una di queste è quella di imparare a staccare il pensiero dall’obiettivo portando  l’attenzione sulle stesse procedure adottate per raggiungerlo.

Allo stesso modo del perseguimento dell’obiettivo, anche questa strategia non va però realizzata con accanimento ma rispettandone i tempi di ideazione, cosa si può fare, a sua volta, osservandone le modalità, cioè il modo in cui si arriva a prestare attenzione al modo strategico ideato per realizzare lo scopo.

Ma perché ci sia un rispetto adeguato dei tempi e ritmi, personalmente penso sia necessaria la presenza di un’altra variabile importante: la ‘spensieratezza’.

La spensieratezza non è necessariamente l’assenza di pensiero, o il volgersi del pensiero ad aspetti ludici e superficiali distaccandosi dalla realtà (mind/wandering). La spensieratezza va recuperata alla capacità di essere attenti e presenti senza obblighi né assilli e si lega alla fiducia perché solo quando si ha fiducia si può essere rilassati pur lasciandosi avvolgere e coinvolgere dagli accadimenti.

Se per l’attuazione di questi piani sono distanti e difficili gli insegnamenti sapienziali, allora si può fare riferimento a Winnicott per avere un riferimento più occidentale e capire quanto il processo dell’attenzione ‘non focalizzata’ appartiene naturalmente a tutti e ci guida fin da piccoli[iii]
Proprio osservando i giochi dei bambini si potrebbe imparare, cercando di recuperarli, quei modi di partecipare alle azioni così coinvolgenti, come quando si immergono nell’esperienza fino a dimenticare di mangiare o di tornare a casa per andare in bagno.

In queste attività ludiche sono presenti dimensioni che crescendo si diluiscono e poi spariscono. 
Per esempio la passione e la capacità di esultare sono dimensioni psicologiche che smettono di esistere con l’avanzare dell’età. Esse comprendono una partecipazione totale dell’organismo che non si stancherebbe mai di essere presente e attento se solo si riuscisse a non dimenticarle o a recuperarle.

Di fatto è nell’assorbimento con i loro giochi che i bambini imparano e i loro non sono solo voli fantastici. Sono anche viaggi in un vissuto creato in quel momento, da ognuno di loro, con caratteristiche che conferiscono a quel momento una unicità non replicabile.

È la creatività del vissuto personale che si esprime incondizionatamente.

È quell’estro di fantasia e giocosità che dona il senso del ‘piacere’ e che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
È quello che poi si continua a cercare nel corso dell’intera esistenza e che rimane solo come anelito nelle diverse attività adulte. È quella semplice capacità di gioire che si disperde man mano che si cresce e si diventa consapevoli della propria adultità.

l'attesa - foto artistiche di LunaandSam su EtsyDa questo punto di vista ‘saper attendere’ non è più solo aspettare che il tempo passi ma rappresenta anche la capacità di cogliere le occasioni di disimpegno per riprendere contatto con le proprie fantasie, con i propri giochi pindarici, con le proprie gioie e piaceri che si è sacrificati al dio del rendimento  e della prestazione.

Rappresenta l’occasione per meglio osservarsi, per guardarsi dentro e da fuori scoprire che si è soli o insieme, e che si è rimasti coinvolti, anche da grandi e pur senza desiderarlo, in giochi individuali, di coppia o di gruppo che ci possono stare stretti o  larghi. Che questi momenti e spazi si sanno e si possono comunque vivere oppure, al contrario, che fanno paura e non si è capaci di viverli perché, quando ci si accorge di essere soli, si può scoprire di non saper più vivere da soli e ci si può svuotare d’aria fino a sentirsi persi nella propria individualità.

Ci si può scoprire soli e aver paura anche di stare da soli.

Il rispetto dell’attesa

Quella di saper aspettare è una dimensione importante in ogni attività ma nell’attività psicoterapeutica lo è in maniera particolare.

Nello spazio analitico l’attesa, e il saper attendere, acquistano un valore che semplifica e delucida il senso del rispetto laddove il senso di ogni psicoterapia è dato dalla capacità di tradurre il tempo dell’attesa, del saper aspettare appunto, nella comprensione dell’individuo.

Sin dal concepimento l’organismo umano si realizza eseguendo ritmi che soddisfano bisogni intrinseci dell’individuo e di cui la persona non è consapevole.
Nel corso dell’evoluzione questi bisogni si modificano incorporando messaggi ed esigenze ambientali che trasformano l’individuo in una persona con un suo carattere, una sua forma (fisica e mentale) un suo ritmo (di apprendimento, nutritivo, respiratorio ecc.) ed una sua modalità di relazionarsi.
Quest’ultima modalità sarà quella che, cristallizzandosi, impedisce alla persona di continuare ad imparare ad imparare (questa ripetizione non è un refuso. Nota dell’autore) nel corso dell’intera esistenza. Ciò accade perché il modo in cui si apprende ad interagire nelle prime esperienze neonatali sarà quello che più facilmente, e consuetudinariamente, verrà utilizzato nelle relazioni.
L’abitudine e la consuetudine, come tutte le routine, saranno una garanzia ma anche un limite perché, pur soddisfacendo una economia generale (così facendo l’organismo si adatta ad una sopravvivenza fatta del minimo impegno e massimo rendimento) in realtà tale garanzia si concretizza solo capitalizzandosi in una economia prestazionale che l'organismo, così facendo, sostiene.

Di contro ciò comporta un irrigidimento delle modalità di apprendimento e delle modalità di relazione che, configurandosi come espressioni caratteriali, modificano anche l’attitudine di imparare ad imparare.

Ma fortunatamente, caratteriale non vuol dire immodificabile e lo sanno gli operatori della salute mentale che sono coloro che, presto o tardi, imparano a fare del saper aspettare e dell’imparare ad imparare gli strumenti principe dell’aiuto psicologico.

Capita spesso di rivolgersi alla psicoterapia per diversi motivi che, in qualche modo, possono essere ricondotti soprattutto al bisogno di allentare le maglie della capacità di apprendimento che, nel corso del tempo tendono un po’ ad irrigidirsi. Per esempio, quando ci si rende conto di non riuscire a venir fuori da pensieri assillanti, da modalità di relazione ridondanti, da schemi mentali fissi che danno sempre gli stessi risultati e ci si rende conto di aver dimenticato come si impara (ad aprire una nuova finestra nella mente e qual è il profumo dell’aria pulita e il gusto della vicinanza amicale o intima, d’amicizia o d’amore), allora si avverte, e a volte anche si coglie, il bisogno di dover imparare a guardare la realtà in modi diversi da quelli abituali e di dover anche re/imparare modi nuovi per imparare.

Da queste esperienze sorge una domanda complessa che, appartenendo all'organismo nel suo complesso, si rivela sovradeterminata rispetto a tutti gli indirizzi di psicoterapia cui spetta il compito della risposta.

Ma in realtà per rispondere a questa domanda non esistono strumenti codificati e anche gli psicoterapeuti, il più delle volte, si devono adoperare da soli ed imparare di propria iniziativa a sviluppare una nuova capacità d’osservazione che, come per i bambini, sia correlata e non distinta dall’assorbimento esperienziale gaudioso.

Negli anni dei giochi di formazione professionale gli psicoterapeuti imparano da soli ad aspettare e, mentre aspettano, ad essere orecchie ed occhi. Imparano a ri/diventare curiosi del modo in cui le persone si relazionano, di come si raccontano, di come respirano mentre fanno le cose che fanno e come, così facendo, osservano, ascoltano e annusano il tempo che passa. Re/imparano ad at/tendere che le persone trovino la fiducia nello spazio analitico, che vi si adattino a proprio modo dispiegando il loro modo di sognare la vita e costruire l’esistenza che è soggettivo, individuale e personale.

Quando anche per gli psicoterapeuti arriva il momento dell’attesa, accade un pò come per tutti ai tempi del COVID 19. Ci si accorge drammaticamente dell’improvvisa sparizione dei rituali catartici, svuotati e poi dissoltisi nel tempo delle tecnologie avanzate. Si scopre la frequente inconsapevolezza della sofferenza come dell’amore e nella vita, come in terapia, si scopre la necessità di un cambio di registro e che è necessario smetterla di affannarsi nella corsa e che è necessario fermarsi.

Rallentare, indugiare, fermarsi e respirare. 

Paradossalmente è solo nei momenti di vuoto che si impara la pienezza dell'attesa e a fornire alle proprie attitudini la perspicacia dell’indugio, dimensione in cui è possibile cogliere il rispetto del ritmo e del tempo delle modalità di passaggio. Di quei momenti soggettivamente unici di transito, da cui è puntellata la nostra crescita, e che da un momento all’altro, da una sponda all’altra e da una separazione a un approdo, danno conto di una soggettività che, avendo perso il salvagente dei riti, cerca in una relazione la riparazione per riprendere a imparare e per continuare ad essere.


Giuseppe Ciardiello


[i] Questa strategia, a volte chiamata della ‘nuda’ o ‘pura’ attenzione, consiste in una “chiara e sicura consapevolezza di ciò che realmente avviene a noi e in noi, nei successivi momenti di percezione ”. Differisce dalla nostra ordinaria modalità percettiva in quanto è distaccata e ricettiva, e permette di registrare accuratamente qualunque cosa accada nella mente e nel corpo, distinguendo attentamente le reazioni mentali ed emotive degli eventi in sé e per sé. (M. Epstein, ‘Psicoterapia senza l’Io’, Astrolabio, 2008, p. 141)
[ii] la capacità di sostenere la prontezza di risposta agli stimoli per il tempo richiesto da un compito
[iii] (Winnicott) prendendo le mosse dall’esperienza infantile, il suo discorso riesce a spiegare qualcosa che anche il buddhismo, a modo suo, sottolinea: lo stato della nuda attenzione ci è connaturato. (M. Epstein, 2008, p. 145)